Un composto chimico trovato negli squali pescecane, ha il potenziale per ridurre la formazione di proteine tossiche legate allo sviluppo del morbo di Parkinson, secondo una nuova ricerca. Pubblicato negli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze, lo studio rivela che squalamina ha fermato l’accumulo e la tossicità della proteina alfa-sinucleina (α-sinucleina) nei modelli di nematodi della malattia di Parkinson e delle cellule neuronali umane. Nelle persone con Parkinson, la α-sinucleina forma “ammassi” che possono causare la morte delle cellule cerebrali. I ricercatori sono a caccia di composti che possono bloccare la formazione di questi aggregati, per curare o prevenire la malattia. Nel nuovo studio, il coautore dott. Michael Zasloff, professore di Chirurgia e Pediatria alla Georgetown University School of Medicine di Washington, DC, e i colleghi suggeriscono che la squalamina potrebbe essere un potenziale candidato. La squalamina è un composto della famiglia degli steroidi, presente nei tessuti dello squalo pescecane. Scoperto per la prima volta all’inizio del 1990 dal Dr. Zasloff, la squalamina ha dimostrato di possedere forti proprietà antimicrobiche e antivirali.
Per questa ultima ricerca, il team ha deciso di determinare in che modo la squalamina ha influenzato l’accumulo e la tossicità dell’α-sinucleina. In primo luogo, i ricercatori hanno condotto una serie di esperimenti in vitro per vedere come la squalamina interagisce con α-sinucleina e le vescicole lipidiche. Precedenti studi hanno dimostrato che le vescicole – piccole strutture a membrana racchiuse nelle cellule – svolgono un ruolo chiave nell’innescare l’accumulo di α-sinucleina nei neuroni. Il team ha scoperto che la squalamina blocca l’accumulo di α-sinucleina impedendo alla proteina di legarsi a vescicole lipidiche caricate negativamente, dove solitamente si formano aggregati di α-sinucleina. Successivamente, i ricercatori hanno applicato la squalamina a cellule neuronali umane esposte a aggregati α-sinucleina preformati. Hanno scoperto che il composto di squalo bloccava gli aggregati di α-sinucleina dal legame con la membrana esterna delle cellule, impedendo così la tossicità della proteina.
Il team ha quindi testato squalamina sul verme Caenorhabditis elegans. Il primo studio di sequenziamento dell’intero genoma di C. elegans ha mostrato che gli ascaridi condividono almeno il 40% dei loro geni con gli esseri umani, rendendoli un modello ideale per la malattia umana. In questo studio, i ricercatori hanno modificato geneticamente il C. elegans per sovraesprimere α-sinucleina nelle loro cellule muscolari, il che li farebbe paralizzare mentre si sviluppavano. Tuttavia, quando i ricercatori hanno somministrato squalamina al C. elegans per via orale, hanno scoperto che il composto ha bloccato gli aggregati di α-sinucleina dalla formazione e ha impedito gli effetti tossici della proteina. Nel complesso, i ricercatori ritengono che il loro studio suggerisca che squalamina abbia il potenziale per prevenire l’accumulo di α-sinucleina. Sono in procinto di organizzare una trial clinico per testare il composto in pazienti con malattia di Parkinson.
Il team osserva che ci sono una serie di domande che dovrebbero essere affrontate dalla ricerca futura prima che la squalamina possa essere considerata un trattamento fattibile per il Parkinson. Ad esempio, non è chiaro se la squalamina possa colpire aree cerebrali suscettibili di accumulo di α-sinucleina se assunte per via orale. Il coautore dello studio, il prof. Michele Vendruscolo, del Dipartimento di Chimica dell’Università di Cambridge nel Regno Unito, afferma: “Nel presente contesto, la nostra scelta di studiare la squalamina è stata motivata dall’osservazione che questa molecola è in grado di entrare nelle cellule e spostare le proteine che sono legate alla faccia citoplasmatica delle membrane plasmatiche, suggerendo che potrebbe influenzare l’inizio dell’aggregazione della α-sinucleina. Suggeriamo che il composto potrebbe offrire benefici attraverso l’intestino. Mirare all’alfa-sinucleina nell’intestino può forse in alcuni casi essere sufficiente a ritardare la progressione di altri aspetti del morbo di Parkinson, almeno per i sintomi riguardanti il sistema nervoso periferico”.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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