E’ nota a tutti l’opzione di utilizzo della chemioterapia in caso di patologie oncologiche conclamate. Non sempre può rivelarsi necessario usare farmaci tradizionali nella lotta contro i tumori. Spesso si può ricorrere alla radioterapia mirata o alle cosiddette “terapie biologiche”, anche se ciò non è applicabile alla totalità delle tipologie di cancro. Quando queste si rivelano molto aggressive, e la probabilità di metastatizzazzione è elevata, l’uso di molecole altrettanto aggressive si rivela necessario per evitare l’exitus a breve termine. Per aggredire le cellule tumorali esistono diverse categorie di farmaci appositi. Una classe molto impiegata è quella degli “anti-metaboliti”, analoghi modificati delle basi del DNA e di altri composti essenziali alla vitalità cellulare. Poi ci sono gli “alchilanti”, sostanze che provocano direttamente lesioni al DNA, che per l’estenzione del danno indotto dovrebbero causare morte cellulare a breve termine. Gli “antibiotici citotossici” sono un’altra classe molto attiva contro i carcinomi e possono venire utilizzati in associazione ad un’altra classi di farmaci, gli “anti-mitotici”, che interferiscono col processo di divisione cellulare (o mitosi).
Esiste, infine, un gruppo di farmaci (miscellanea) che non hanno azione specifica, e che includono gli steroidi cortisonici, gli anti-estrogeni e gli anti-androgeni. Questi sono attivi in genere solo contro tumori che producono ormoni o che fanno parte del sistema endocrino. Per il resto, i chemioterapici, sono delle vere e proprie “tossine” che, purtroppo, non sanno distinguere completamente fra una cellula tumorale o una sana. Si è riusciti ad individuare quali classi di farmaci sono più specifici per ogni tipologia di tumore, migliorare le vie di somministrazione, le tempistiche e a minimizzare gli effetti collaterali. Un detto di Paul Ehrlich, microbiologo del scolo scorso, era “per sconfiggere le cellule tumorali serve una pallottola magica”. Ovviamente si riferiva ad una qualche molecola che sapesse esattamente dove andare a colpire, senza uccidere le cellule sane circostanti. A distanza di un secolo da quella frase, forse ci siamo. Da almeno 10 anni, dei trials clinici controllati vedono protagonisti una classe di composti che si sono evoluti dalle sempre maggiori conoscenze sulle vie di “trasduzione del segnale”. Si tratta di tutti i passaggi che dalla superficie delle cellule, portano un messaggio ormonale o di crescita fino al DNA per stimolare la divisione cellulare. Una volta coniato il primo “INIB”, a ruota seguono gli altri con prefissi che generalmente indicano il bersaglio cellulare specifico.
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Il melanoma è uno dei tumori più aggressivi e genera metastasi con velocità incredibile. Molto spesso esso porta la mutazione V600E a carico della proteina B-Raf, che sta nel mezzo fra recettori di superficie e proteine del nucleo cellulare. Per primo è stato sintetizzato il SORAFENIB, poi è stato elaborato il derivato più selettvo DABRAFENIB. Essi non hanno sostituito totalmente la chemioterapia specifica del melanoma, ma hanno permesso di sostituire le componenti più tossiche in uso per questo tumore, gli agenti alchilanti. La loro tollerabilità si è dimostrata molto buona, gli effetti collaterali sono molto contenuti e la somministrazione è periodica (da una compressa alla settimana a due al mese). Per la leucemia mielode cronica (LMC), la forma più diffusa che colpisce i globuli bianchi o granulociti, la mediana di sopravvivenza a 5 anni si è riusciti ad estenderla dall’originale 18 all’odierno 85%.
Tuttavia la chemioterapia ciclica è un obbligo per garantire la sopravvivenza del paziente. Per questa forma è stato ampiamente sperimentato il NILOTINIB, un antagonista della chimera genetica BCR-ABL. Questa proteina è in realtà il prodotto di fusione di due geni, generando una proteina che stimola senza fine la moltiplicazione cellulare. Il nilotinib è uno dei suoi inibitori specifici più selettivi finora sintetizzati, anche migliore dell’originale IMATINIB o Gleevec, il capostipite di questa classe di farmaci. A differenza di questo, infatti, il nilotinib attacca anche le forme di BCR-ABL insensibili al farmaco originario (mutazioni secondarie). In caso di ulteriore inefficacia, al suo posto è disponibile il BOSUTINIB. Una terza opzione per la LLC è l’IBRUTINIB, un inibitore diretto della chinasi di Bruton (Btk), che è essenziale alle risposte cellulari dei linfociti B. E’ già presente in commercio disponibile col brandname di Imbrutiva.
Il carcinoma polmonare, così diffuso ed altrettanto aggressivo, ha due nuovi nemici: GEFITINIB ed ERLOTINIB. Presenti già in commercio con i nomi di Tarceva e Iressa, rispettivamente, questi sono due inibitori selettivi del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR). Questa proteina è molto attiva nei carcinomi polmonare broncogeno e a grandi cellule (NSCLC), spesso risulta anche mutata, il che rende il tumore molto propenso alla metastatizzazione. Erlotinib è attivo anche contro il carcinoma pancreatico, il secondo “mostro” aggressivo fra tutti i tumori, che ancora oggi conduce a morte in quasi la totalità dei casi. Per la chemioterapia di questa forma, l’erlotinib si associa alla gem-citabina, che permette un sinergismo d’azione e un’assunzione di dosi minore per ambo i farmaci. Per il carcionma mammario, invece, è disponibile da tempo il LAPATINIB, inibitore del recettore HER-2 che di solito è sovraprodotto dalle cellule tumorali di questo carcinoma. Il farmaco è già presente in commercio col nome di Tykerb, è abbastanza ben tollerato ed ha il vantaggio di agire anche sulle forme tumorali resistenti agli antiestrogeni o che addirittura non esprimono il recettore dell’estradiolo (ER-alfa).
Questo pone il lapatinib uno o due passi avanti rispetto alla chemioterapia anti-ormonale che ha caratterizzato la cura del carcinoma mammario. In caso di forme mutate della proteina HER-2, è disponibile persino un suo antagonista specifico, il NERATINIB, che è già sottoposto ad ampi trials clinici controllati. Il carcinoma renale è una neoplasia notoriamente aggressiva, di norma resistente alla classica chemioterapia ed alla radioterapia. Ebbene, da qualche anno è possibile spostare la preferenza dai derivati del fluoro-uracile al SUNITINIB, un inibitore diretto contro recettore del fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGFR1). Analisi successive hanno rivelato che esso colpisce anche i recettori c-RET e VEGRF, coinvolti nell’angiogenesi e nel carcinoma tiroideo. Originariamente questo inibitore era stato sviluppato per i tumori gastrointestinali, ma ha mostrato efficacia verso questa neoplasia. In seconda linea, il carcinoma renale è sensibile anche all’AXITINIB, un composto approvato ufficialmente nel 2012. Esso interferisce con le azioni dei fattori angiogenetici (VEGF-1/-2/-3), che permettono la metastatizzazione di un tumore.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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