Introduzione
La malattia di Huntington è una neurodegenerazione autosomica dominante che porta a morte le cellule cerebrali dello striato, della corteccia e poi del talamo negli stadi finali della malattia. Le manifestazioni cliniche iniziali includono disturbi dell’umore, della personlaità, seguiti dopo da declino cognitivo che possono arrivare alla demenza. Associate vi sono manifestazioni motorie come bradicinesia, movimenti coreiformi, rigidità ed in alcuni pazienti anche distonìa. L’anomalìa genetica coinvolge il gene HTT che codifica la proteina huntingtina. Nella HD, questa viene sintetizzata con una ripetizione amminoacidica nella parte iniziale della proteina (poli-glutammina), che fa acquisire alla proteina proprietà tossica. Nonostante i grandi progressi fatti dalla biologia molecolare, non è ancora chiaro come la huntingtina mutata (mHtt) determina i suoi effetti tossici sui neuroni. Diverse pubblicazioni hanno supportato evidenze a favore di meccanismi dipendenti dallo stress ossidativo; eppure trials clinici con molecole antiossidanti sono stati per la maggior parte inconcludenti. E’ importante sottolineare che mentre eventi come l’aggregazione proteica, il malfunzionamento dei mitocondri e disturbi della trascrizione genica sono stati legati alla patogenesi della malattia, non è ancora chiaro per gli studiosi se lo stress ossidativo sia a monte o a valle di questi fenomeni, cioè se sia la causa primaria o derivi in conseguenza delle azioni tossiche della mHtt.
Cos’è lo stress ossidativo?
Di base lo stress ossidativo può essere definite come uno sbilanciamento tra ossidanti ed antiossidanti a favore dei primi, sufficiente a provocare danno cellulare che può essere anche mortale. Gli ossidanti (radicali liberi) sono molecole ad emivita molto breve (qualche secondo) che hanno la capacità di attaccare molecole come acidi grassi insaturi, proteine e gli acidi nucleici. Le cellule producono questi ossidanti sottofoma di radicali dell’ossigeno (ROS), dell’azoto (RNS) e dei lipidi (RLS); questi ultimi derivano dal danno primario dei ROS ed RNS. Gli RLS sono prodotti lipidici ossidati che includono la HNE, l’acroleina e la malonil-dialdèide. La maggiore sorgente di ossidanti cellulare sono i mitocondri; altre sorgenti significative di ossidanti sono i perossisomi, il reticolo endoplasmatico e alcune ossidasi delle membrane cellulari. Per limitare il danno biologico, le cellule sono dotate di molecole protettive, la più abbondante delle quali è il glutatione (GSH), seguito da vari enzimi e proteine. Le più conosciute sono la catalasi, le superoxide dismutasi (SODs), le peroxiredoxine (PRXs), la glutatione perossidasi (GPX), la glutatione reduttasi (GR), le glutatione trasferasi (GSTs), le glutaredoxine (GRXs), le thioredoxine (TRXs) e le tioredoxina reduttasi (TRXRs). Inutile ricordare che le cellule si servono anche di vitamine antiossidanti assunte con l’alimentazione come la vitamina C e la vitamina E, che hanno una buona azione protettiva diretta.
Metalli: come sono implicati?
Un numero crescente di ricerche suggerisce che fra i meccanismi patogenetici della HD ci sia l’accumulo cerebrale di metalli, come il ferro ed il rame, dovuto a loro dissociazione dalle proteine che li contengono. Effettivamente, nelle biopsie dei tessuto cerebrale di pazienti deceduti per HD, la concentrazione di rame e ferro nei neuroni è a livelli di tossicità. Uno studio recente si è avvalso della risonanza magnetica (RMN), per evidenziare che i gangli della base cerebrale dei pazienti con HD hanno un alto tasso di ferro. La cosa interessante è che la sua concentrazione è direttamente correlata alla gravità della malattia o alla minore o maggiore mutazione della huntingtina. Per fronteggiare il problema, ci sono stati alcuni gruppi di ricerca che hanno pensato di impiegare dei chelanti per metalli come opzione farmacologia per la malattia. Un grosso problema a monte di essi, comunque, è che anche se essi hanno buona affinità per lo ione metallico, spesso non riescono ad attraversare la barriera emato-encefalica (BEE).
Questa struttura, infatti, non lascia passare né proteine né molecole semplici oltre una certa dimensione. Per di più, preferisce far passare molecole che si sciolgono nei lipidi e non nell’acqua. Per esempio, la deferoxamina (Desferal) se somministrato ai topi R6/2 (modello di HD) direttamente per via cranica sembra migliorare i sintomi della malattia, ma per via endovenosa è quasi privo di effetto. Ecco che ci si è concentrate a sviluppare chelanti più idrofobi, come il clioquinolo ed il PTB2, che sono stati testai anche per la malattia di Alzheimer. Dato per via orale, il clioquinolo (chelante per ferro e rame), in effetti rallenta la progressione della malattia nei topi R6/2. Il suo derivato PBT2 è ancora più idrofobo, passa facilmente la BEE ed è entrato in commercio. Appena un anno fa, è stato testato su una decina di pazienti con HD allo stadio intermedio con livelli di sicurezza e di tollerabilità buoni. I risultati sono stati promettenti, ma necessitano di trials clinici più ampi.
Ci sono markers pr la HD?
Il santo Graal per lo stress ossidativo sarebbe trovare un marker ideale che dimostri senza equivoci che il danno biologico effettivamente sia avvenuto. Sfortunatamente, nessuno degli strumenti correnti di misurazione incontra i giusti criteri per un marker ideale, I markers correntemente accettati sono prodotti di degradazione di grassi, proteine ed acidi nucleici; anche essi sono stati esaminati nel contesto dell’HD. La 8-OHdG, è il marker più comunemente usato per rilevare un danno al DNA. Nonostante le limitazioni tecniche, markers come proteine carbonilate, 3-nitrotirosina, malonil-dialdeide, 8-OHdG, 3-OHK e TBARS sono stati investigate nel contesto cella malattia di Huntington, per lo più in modelli di laboratorio.
Bisogna però sottolineare che la loro presenza è da guardare con cautela, per la stessa ragione detta prima: non si sa ancora se essi derivino per un meccanismo di stress ossidativo puro, o indotto dalla stessa morte delle cellule cerebrali. Tuttavia, nei cervelli di pazienti deceduti per la malattia, i livelli di rotture del DNA, malonil-dialdeide e lipofuscina (proteine e lipidi ossidati) sono tutti maggiori della norma. Una speranza viene da uno studio recente, che ha scoperto livelli più alti di malonil-dialdeide e prodotti ossidati avanzati (AOPP) nel sangue di pazienti sintomatici, prodotti che non c’erano nei corrispettivi individui sani. In particolare, gli AOPP avevano un’alta correlazione con la gravità dei sintomi motori.
Terapia antiossidante per la HD: è fattibile?
A causa della presenza di stress ossidativo nella progressione della malattia di Huntington, alcuni gruppi di scienziati hanno sostenuto l’ipotesi che questo abbia un parte importante nel determinare la malattia. Tuttavia, il fallimento finora di modificare la progressione della HD con uso di antiossidanti, ha fatto sorgere dubbi al riguardo. Le ragioni per questo fallimento potrebbero essere molteplici. Potrebbero includere una scarsa comprensione dei bersagli degli antiossidanti stessi, la probabilità che ci siano più tipi di radicali liberi e che l’antiossidante usato non sia in grado di contrastarli tutti. Non da meno, è anche possibile che questi antiossidanti influenzino il normale sistema redox del cervello e che questo entri in conflitto con i loro reali bersagli nelle cellule malate.
Infine, e questo è più che probabile, l’antiossidante non raggiunge concentrazioni cerebrali sufficienti a svolgere il suo lavoro, vuoi per dosaggio somministrato insufficiente, vuoi per l’ostacolo creato dalla barriera emato-encefalica (BEE). Varrebbe, dunque lo stesso principio dei chelanti per metalli: se sono idrofobi passano meglio la BEE e raggiungono il cervello. Ma se l’antiossidante testato è solubile in acqua (idrofilo) ed il suo dosaggio è insufficiente, non si avrà mai una risposta biologica significativa. Gli unici antiossidanti idrofobi sono l’acido lipoico, il coenzima Q e la vitamina E. Trials clinici volti a testare l’efficacia di queste vitamine sono stati effettuati in via preliminare (vedere articolo “Malattia di Huntington: antiossidanti sotto trial clinico”).
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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