Il morbo di Crohn è una malattia infiammatoria cronica dell’apparato digestivo e può colpirne, con distribuzione segmentaria, qualsiasi sezione dalla bocca all’ano. Di regola la malattia interessa l’ileo terminale (ultimo tratto dell’intestino tenue), o il colon ovvero l’intestino crasso. La causa non è stata identificata definitivamente, ma è noto che il sistema immunitario è l’orchestratore principale della patogenesi del morbo di Crohn. In più, si sa che la sua insorgenza può essere ricondotta a tre fattori interagenti tra loro: (1) un danneggiamento dei tessuti per una reazione immunitaria innescata dai batteri della flora intestinale; che a sua volta (2) si radica sopra una suscettibilità determinata geneticamente (un gene chiamato NOD2 risulta alterato nella maggior parte dei casi). Vari fattori ambientali (3), infine, possono contribuire alla comparsa del morbo di Crohn, il più incriminato dei quali è il tabagismo cronico, poiché è stato dimostrato che esso può alterare la composizione del microbiota intestinale. Infine, se le circostanze esterne lo consentono, gravi stress di tipo emotivo possono causare uno squilibrio sia immunitario che, possibilmente, agiscono a livello del microbiota con meccanismo riflesso. In ogni soggetto sano, la mucosa intestinale è in uno stato di infiammazione controllata; ma la produzione di anticorpi Immunoglobuline A (IgA), che si legano ai microrganismi, permette la loro eliminazione da parte del sistema immunitario. Nel morbo di Crohn, invece, l’infiammazione è sregolata e provoca lesioni della mucosa intestinale. La giusta composizione del microbiota intestinale tiene sotto controllo l’infiammazione causata da alimentazione sbagliata, fattori di rischio voluttuari, infezioni sovrapponenti, ecc. Ma se la combinazione dei fattori causali diventa ottimale, lo squilibrio della flora batterica può attivare il sistema immunitario in modo deviato, lesionando l’intestino.
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I primi dati sull’alterata composizione del microbiota fecale nella malattia infiammatoria intestinale si hanno dal 2006, i cui si notò un’eccessiva presenza di Bacteroides ed Escherichia e minore presenza delle specie Clostridium, in pazienti sia adulti che pediatrici. In quasi tutti i casi, era molto bassa anche la conta di una specie chiamata Faecalibacterium prausnitzii. Nella media, invece, non sono risultate grosse variazioni di batteri Gram-positivi come Lactobacillus, Bifidobacterium e Staphylococcus. E’ probabilmente questo il motivo per cui l’utilizzo di probiotici classici non è stato mai incoraggiato, di complemento alla terapia farmacologica, per il trattamento del morbo di Crohn. La maggior parte delle preparazioni di probiotici in commercio, infatti, è composta proprio da ceppi diversi di Lactobacillus e Bifidobacterium. I risultati di trials clinici con queste preparazioni, inoltre, sono state sempre conflittuali come si evince dalle numerose rassegne della letteratura scientifica. Invero, in certi studi il beneficio della somministrazione di probiotici a coorti di pazienti è parso evidente, in altri casi ha avuto effetto quasi nullo, in altri ancora è stato altalenante. Senza entrare nel merito dei criteri con cui sono stati condotti questi studi, è importante sottolineare che le tipologie di pazienti possono anche differire per stato biologico. Ovvero, la composizione del microbiota intestinale di chi è affetto da morbo di Chron può differire in base al suo background, ossia stile di vita, alimentazione, terreno genetico, ecc. In tal caso, la composizione patogena del microbiota può differire fra le varie coorti di individui. Tuttavia, in quei pochi trials clinici pubblicati, la somministrazione protratta di probiotici classici ha migliorato sia la risposta immunitaria che infiammatoria, nell’animale di laboratorio e in pazienti (Karimi O et al., 2005; Lorea-Baroja M et al., 2007; Zakostelska Z et al., 2011; Shadnoush M et al., 2015; Thakur BK et al., 2016; Bailey JR et al., 2017; Plaza-Diaz J et al., 2017).
Questo indica che queste specie batteriche possono comunque condizionare l’ambiente intestinale, potendo giovare al rallentamento della progressione della malattia. Varie rassegne scientifiche sono d’accordo su questo punto (si consulti l’ampia bibliografia allegata all’articolo) e suggeriscono comunque la somministrazione ciclica di probiotici nei pazienti affetti da morbo di Crohn. Non è ancora noto con certezza se queste specie batteriche possano condizionare, ed in che modo, le specie che sono risultate alterate nei soggetti con morbo di Crohn. Un qualche effetto è sicuro, altrimenti non si sarebbero registrati risultati positivi in certi contesti. Ma è probabile che per il trattamento di questa patologia, ci sia la necessità di elaborare una o più formulazione con probiotici selezionati, che rispondano alle esigenze immuno-microbiche dell’intestino. In questa sede, si concorda con questo orientamento degli esperti, e si incoraggia a chi è affetto da morbo di Crohn a “mettere in ordine” la propria flora batterica intestinale, attraverso l’assunzione di formulazioni multi-ceppo di probiotici. Assolutamente da evitare, invece, quelle con un solo ceppo di Lactobacillus o Streptococcus o Bifidobacterium, poiché si rischia di far prevalere la colonizzazione di una sola specie di probiotico, il che può “gettare benzina sul fuoco” senza trarre giovamento alcuno. Per completezza si consiglia, al pari di quanto fanno altri colleghi, di abolire il fumo di sigaretta e limitare al minimo l’introduzione di antigeni alimentari che potrebbero esacerbare al malattia. Ci si riferisce in particolare al glutine di frumento. Anche se non è dimostrato alcun legame diretto fra proteine del grano e comparsa di morbo di Crohn, tutti gli esperti concordano a limitare l’introduzione di farinacei (pane, pasta, ecc.), rappresentando il glutine una forte componente antigenica esterna.
Se si esclude la partecipazione del mycobioma, infine. A differenza del microbioma, infatti, il mycobioma è l’insieme delle comunità fungine che albergano naturalmente nell’intestino (Candida spp., Saccharomyces spp., ecc.). Anche queste risultano alterate nel morbo di Crohn e quasi nulla è noto sul loro intervento nella patogenesi o nella progressione della patologia.
Non resta che augurare buon lavoro agli esperti del campo.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, medico specialista in Biochimica Clinica.