La celiachia è una patologia nota a tutti e consiste nella comparsa di lesioni della mucosa intestinale, a causa di una reazione immuno-mediata e diretta contro il glutine del frumento. Il glutine è una complessa miscela di proteine che danno l’elasticità, la consistenza e la lavorabilità degli impasti per panificazione o pastificazione. Fra le componenti, la più immunogena è la alfa-gliadina, dalla cui digestione intestinale derivano frammenti proteici. Questi, in seguito, vengono attivati dall’enzima transglutaminasi-2 (TG-ase-2) e formano complessi con gli antigeni HLA DQ2 o DQ8 sulle cellule immunitarie APC. Saranno queste che a loro volta presenteranno il complesso peptide-TGase2 ai linfociti T, che produrranno mediatori lesivi per la mucosa intestinale (citochine) come il TNF-alfa e l’interleuchina-1. In parallelo, i linfociti B elaborano anticorpi anti-gliadina, anti-endomisio ed anti-TGase2, ma non è ancora chiaro ad oggi se essi abbiano un ruolo citotossico diretto oppure rappresentino la “firma immunologica” della malattia.
Senza entrare in merito a patogenesi approfondita, epidemiologia e clinica medica, preme qui sottolineare che gli ultimi studi eseguiti puntano il dito sulla composizione della flora batterica intestinale o microbiota negli individui affetti da celiachia. E la maggior parte degli studi al riguardo porta il contributo di gruppi di ricerca italiani. Sebbene le prime segnalazioni sulle variazioni del microbiota nei bambini o negli adulti celiaci risalgano a prima del 2010, da parte di gruppi stranieri, il primo lavoro che ha esaminato le variazioni batteriche nel duodeno e nell’intestino dei pazienti pediatrici, caratterizzandole dal punto di vista molecolare e metabolomico, è stato pubblicato da un team italiano (Di Cagno R et al., 2011). Oltre all’intestino, il gruppo si è spinto ad analizzare anche la composizione del microbiota della bocca e della saliva, sia nei soggetti con celiachia e non (Francavilla et al., 2014; De Angelis M et al., 2016), trovando variazioni significative di base e dopo adozione di una dieta senza glutine.
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Eppure il microbiota intestinale umano contiene specie batteriche capaci di degradare il glutine (Caminero A et al., 2014), producendo classi di enzimi atti allo scopo (Herran AR et al., 2017; Gutièrrez SR et al., 2017). Come mai allora la celiachia si sviluppa a dispetto di una flora batterica in grado di fronteggiare la minaccia del glutine? L’ipotesi è che lo sbilanciamento del microbiota preceda la comparsa della malattia. Ovvero, le variazioni indotte dall’aplotipo immunitario (DQ2 o DQ8), possibilmente indotte dall’introduzione (precoce o meno) dell’antigene con la dieta, potrebbero essere responsabili della altrettanto precoce variazione della composizione della flora intestinale. Dal prevalere di certe specie batteriche su altre, in età neonatale/infantile, sarebbe possibile indurre un ambiente favorevole alla comparsa della reazione auto-immune. E le prove ci sono, dato che il sottogruppo di linfociti Th17 reattivi è esageratamente attivato nei pazienti con celiachia (Cicerone C et al., 2015).
Quindi è possibile che il microbiota del “futuro” soggetto celiaco non aspetti altro che variare la sua composizione, indotta dall’inizio di una regolare dieta con pane, pasta e derivati. Il glutine, quindi, non induce variazioni solo a livello immunologico ma parrebbe anche a livello microbiologico (Pagliari D et al., 2015). Un team italiano ha scoperto che fra le specie del microbiota intestinale umano, un ceppo di Neisseria flavescens è particolarmente rappresentato nel duodeno di pazienti celiaci adulti. Lo studio ha confermato il risultato attraverso metodiche di metagenomica, una nuovissima branca della biologia molecolare, che lega direttamente la funzione genica con i prodotti del metabolismo. E sono altri gruppi italiani ad aver trovato specifiche variazione di batteri Gram-positivi (Bifidobacterium, Lactobacillus) nei soggetti celiaci che seguono persino una stretta dieta senza glutine (Golfetto L et al., 2014).
Da cui l’idea di testare l’effetto della somministrazione di probiotici sulle variazioni in positivo del microbiota dei pazienti celiaci (Lorenzo Pisarello MJ et al., 2015; Martinello F et al., 2017). Uno studio pilota sugli effetti del Bifidobacterium breve nei bambini celiaci che seguono anche una dieta gluten-free è stato pubblicato (Quagliarello A et al., 2016) ed i risultati sembrano incoraggianti. In cooperazione al tema di studio, altri gruppi hanno trovato effetti benefici di probiotici sia negli animali da esperimento che in soggetti celiaci pediatrici (Olivares M et al., 2014; Klemenak M et al., 2015; Laparra JM et al., 2017; Harnett J et al., 2016). Un’azione benefica è stata riscontrata anche somministrando nutrienti dei batteri intestinali (pre-biotici) indicando che, possibilmente, la componente “buona” del microbiota ha solo bisogno di essere incentivata dagli stimoli giusti (Leccioli V et al., 2017; Krupa-Kozak U et al., 2017).
D’altronde, vista la simbiosi costante che ha accompagnato l’uomo alla sua flora batterica dell’intestino, da quando egli esiste sulla Terra, non stupisce che entrambi si siano evoluti in parallelo nel bene e nel male.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, specialista in Biochimica Clinica
Bibliografia scientifica
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