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Broncopatia cronica: le evoluzioni del trattamento farmacologico

Conosciuta col termine tecnico di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), la broncopatia cronica viene definita “una patologia caratterizzata da limitazioni persistenti del flusso aereo polmonare, associata ad una elevata risposta infiammatoria cronica delle vie aeree”. La BPCO rappresenta una importante causa di morbilità ed anche mortalità globale. Soltanto in Europa, il 7% della popolazione è mediamente affetto da tale patologia, essendo responsabile di almeno 200 ospedalizzazioni annue per 100.000 abitanti. Negli Stati Uniti (USA), si stima che circa 17 milioni di abitanti (6,5%) abbiano una qualche forma di broncopatia cronica. Fra questi, l’1,5% è clinicamente diagnosticato con enfisema mentre il 3.9% è stabilmente affetto da una bronchite cronica. La broncopatia cronica è particolarmente rilevante per il risvolto economico e sociale, e per la ricaduta su tutti i diversi livelli sociali e della Sanità. Dopo la sofferenza e la disabilità dei malati, essa grava sul Sistema Sanitario e la società per costi diretti e indiretti. La sua durata media la trasforma nella malattia più costosa, esercitando il suo peso maggiore nelle fasi avanzate e terminali complicate dall’insufficienza respiratoria. Dispnea e fatica muscolare conducono i pazienti ad una progressiva inattività, che induce indebolimento della muscolatura scheletrica. Questo circolo vizioso può sfociare nell’impossibilità di sostenere le normali attività quotidiane. 

Cause della patologia

La causa cardine della BPCO universalmente riconosciuta dai medici è il tabagismo cronico, poichè una correlazione causale è stata provata da tempo. Alcune linee di studio, sono propense anche a pensare che il tabagismo possa essere il fattore esterno che si unisce ad altri fattori genetici o individuali predisponenti. Ad esempio, l’esposizione al fumo in gravidanza (attivo o passivo), può influire significativamente sulla salute delle prime fasi di vita del bambino. Può, infatti, contribuire ad un basso peso alla nascita e ridotto accrescimento o maturazione polmonare. La seconda maggiore causa di BPCO è l’esposizione professionale; per essa sono molto importanti il tempo di esposizione all’agente causale, le quantità e le concentrazioni unitarie. Le polveri minerali (silice, asbesto, fibre di vetro e carbone) sono le responsabili della quasi totalità di casi di BPCO professionale (pneumoconiosi).

In ogni caso, benché diverse esposizioni professionali siano da considerare un fattore di rischio per la BPCO, la comunità scientifica concorda al suo secondo piano rispetto al fumo di sigaretta. Di seguito, l’inquinamento ambientale non è da sottovalutare: il cosiddetto particolato PM10 derivato dalla combustione incompleta dei combustibili fossili, è stato provato essere un importante agente causale di BPCO, indipendente dal fattore tabacco. Anche le infezioni respiratorie croniche (anche in senso di mal-curate o trascurate), possono alterare nel tempo la funzione respiratoria. Alcuni studiosi ritengono, invece, che le infezioni respiratorie siano solamente un fattore di ri-acutizzazione per un terreno polmonare fragile o in BPCO stabilizzata. Si citano per completezza di informazione i fattori genetici: l’unico degno di nota è la carenza genetica di alfa-1-antitripsina, che potrebbe essere responsabile di quasi il 2% dei casi clinici noti di BPCO.

Fisiopatologia in breve

La fibrosi polmonare (sclerosi o indurimento) è la caratteristica organica del polmone colpito da BPCO. La reazione infiammatoria che persiste negli anni, in riposta al fumo di sigaretta o alle infezioni respiratorie o alle polveri, è responsabile prima della distruzione degli alveoli e delle parti cartilaginee dei bronchi e inseguito della deposizione di collagene inerte da parte dei fibroblasti polmonari, le cellule responsabili della cicatrizzazione delle ferite. Una grossa componente dell’infiammazione cronica è rappresentata dalla produzione di radicali ossidanti (ROS) che determinano una vera a propria distruzione del tessuto respiratorio. La flogosi cronica e lo stress ossidativo sono responsabili di una manifestazione che è responsabile di una delle complicanze: l’eccessiva produzione di muco, che rappresenta terreno fertile all’attecchimento di infezioni secondarie.

Opzioni terapeutiche

Da sempre il cardine di trattamento della BPCO è stata la terapia steroidea (cortisonici). Essi sono dotati di efficace effetto anti-infiammatorio e controllano efficacemente sia l’infiammazione, e la progressione sia della malattia che dei sintomi. Essi sono raccomandati per 30 giorni consecutivi (non oltre) in pazienti ricoverati o ambulatoriali con riacutizzazioni. Storicamente il prednisone è stato da sempre lo steroide antiflogistico preferito dalla terapia medica. A causa degli importanti effetti collaterali legati all’utilizzo cronico (ulcera gastrica, osteoporosi, ipertensione, diabete secondario), sono stati sviluppati steroidi con maggiore potenza e selettività. I più conosciuti sono il beclometasone, il budesonide, il fluticasone ed il flunisolide.

I broncodilatatori sono agonisti dei recettori adrenergici beta-2 e hanno azione mediata da recettori cellulari di superficie. Hanno potenza elevata ed infatti il dosaggio impiegato nelle preparazioni farmacologiche commerciali è inferiore al milligrammo. Quelli correntemente utilizzati sono il salmeterolo, il formoterolo, il  salbutamolo e il più recente indicaterolo. L’efficacia dei broncodilatatori va valutata preferibilmente più in termini di sintomi, della tolleranza allo sforzo (qualità della vita) e di miglioramento funzionale. La mancata risposta spirometrica, in presenza di miglioramento soggettivo (sintomi), non è motivo di interruzione del trattamento. I broncodilatatori inalatori di breve durata (beta-2 agonisti inalatori associati o meno agli anticolinergici inalatori almeno ogni 6 ore) ed i glucocorticoidi orali (30-40 mg di Prednisone/die per 2 settimane) è il trattamento raccomandato nella BPCO riacutizzata. 

I teofillinici a lento rilascio sono farmaci di seconda scelta da utilizzare in aggiunta agli altri in caso di persistenza di sintomi, ma a causa dei loro importanti effetti collaterali (soprattutto cardiaci) è bene sempre valutare il rapporto costo/beneficio di tale terapia.  L’impiego dei derivati teofillinici ha radici storiche, da quando nel 1770 fu notato che chi soffriva di asma cronica giovava nell’assunzione regolare di thè verde, la fonte naturale maggiore di teofillina. I teofillinici di maggiore impiego sono la teofillina stessa, la bamfillina e la doxofillina, inserite in formulazioni a rilascio prolungato che permettono un più costante controllo della sintomatologia.

Il roflumilast è il primo inibitore della fosfodiesterasi 4 approvato dall’Agenzia Regolatoria Europea (EMEA) nell’aprile 2010 per pazienti con BPCO grave associata a bronchite cronica e rischio di riacutizzazioni. In Italia è stato commercializzato da qualche anno, con obbligo del Piano Terapeutico. La fosfodiesterasi 4 è un enzima che controlla la contrattilità ed il rilasciamento della muscolatura liscia dell’apparato brochiale. Ma è presente anche nelle cellule cerebrali ed immunitarie; il che è responsabile della comparsa di indesiderati effetti secondari (cefalea, nausea, insonnia e perdita di peso). Ha una buona efficacia ed una selettività decisamente maggiore dei teofillinici.

Gli antiossidanti sono una classe di presidi farmacologici che sono stati usati con pareri discordanti e non univoci per il trattamento della BPCO. Di base vengono raccomandati per le fasi di riacutizzazione e quando si verifica resistenza al trattamento cortisonico. Questa ultima condizione è spesso associata ad un aumento della produzione di ROS, che possono interferire con le azioni dei farmaci. L’acetil-cisteina è il principale antiossidante impiegato nel trattamento della BPCO; derivati più stabili sono la carbocisteina e l’erdosteina. Essi sono raccomandati in pazienti con BPCO moderata-grave che è soggetta a più di due riacutizzazioni l’anno. Hanno anche azione mucoltica, il che aiuta il paziente a liberarsi della eccessiva produzione di muco che intasa le vie aeree. Gli studi di laboratorio hanno evidenziato anche la capacità dell’erdosteina ad opporsi all’azione dell’elastasi, il principale enzima che degrada la matrice strutturale del polmone. Questo la rende preferibile ai precedenti per questa azione aggiuntiva non posseduta da questi. Ci sono dati (trial clinico) di come l’acetil-cisteina associata alla vitamina C migliori lo stato antiossidante dei pazienti con BPCO e, secondo gli Autori dello studio, questo intervento merita ulteriori indagini.

  • a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, Medico specialista in Biochimica Clinica.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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