Affrontare una diagnosi di morbo di Crohn è già abbastanza traumatico, considerata la natura della patologia. Essa, generalmente, riconosce dei fattori esterni che possono scatenare un terreno biologico predisponente. Altre vedute di pensiero e di ricerca vedono nella comparsa del morbo di Crohn, un evento traumatico (soggettivamente per il paziente) in grado di sconvolgere il dialogo fra sistema nervoso e sistema immunitario. Non è infrequente che un trauma, un incidente fisico, un lutto, un divorzio possano spesso trovarsi dietro la radice psicologica di un paziente con morbo di Crohn. Considerato, poi, quanto possa diventare invalidante la malattia in sé stessa, non meraviglia che i soggetti colpiti possano sviluppare frustrazione o veri e propri sintomi depressivi. Dunque, la depressione rende le malattie infiammatorie intestinali più aggressive: niente di più vero, a giudicare dei risultati della ricerca pubblicata sull’American Journal of Gastroenterology.
Il dottor Kochar ed il suo team di ricerca, dell’Università della Carolina del Nord, hanno utilizzato i dati della coorte Sinai-Helmsley Alliance for Research Excellence (SHARE) per valutare i metodi di diagnosi della depressione e gli effetti della depressione di base sull’attività della malattia nel tempo. Sono stati inclusi 2.800 pazienti con malattia di Crohn e 1.516 pazienti affetti da retto-colite ulcerosa, entrambi con un follow-up medio di 2 anni. I ricercatori hanno impostato dei parametri di analisi psicometrica ed hanno correlato i punteggi con la presenza o meno di sintomi depressivi. Al tempo zero (reclutamento), il 64% dei pazienti con CD e il 45% dei pazienti con UC avevano una fase di remissione dalla malattia. Un punteggio PHQ8 maggiore di 5 avrebbe indicato un sintomo di depressione lieve, mentre un indice di Harvey-Bradshaw modificato di 5 o superiore, o un indice di attività della colite superiore a 2, indicavano una ricaduta della malattia.
Complessivamente, il 20% dei pazienti con morbo di Crohn e il 14% di quelli con retto-colite ulcerosa hanno confessato di essere depressi. Secondo i risultati del PHQ8, il 38% dei pazienti con m. di Crohn e il 32% di quelli con retto-colite erano depressi. Dopo aggiustamenti per sesso, remissione e attività della malattia, i pazienti con Crohn depressi di base presentavano rischi significativamente elevati sia di recidiva (RR=2.3), sia di ospedalizzazione (RR=1.3) che di necessità di intervento chirurgico (RR=1.3). In più, durante il follow-up, i pazienti depressi con retto-colite avevano un rischio proprio significativamente elevato di ospedalizzazione (RR=1.3) e di necessità chirurgica (RR=1.8). I ricercatori della Mayo Clinic di Rochester in Minnesota, hanno concluso che le manifestazioni depressive sono una componente importante della valutazione del paziente con malattie infiammatorie intestinali.
La dottoressa Megan E. Riehl della Ann Harbor University del Michigan, commenta positivamente: “Questi risultati rinforzano la crescente letteratura che dimostra il valore del modello bio-psico-sociale dell’assistenza medica. Le variabili psicosociali, invero, si sono dimostrate finora i migliori predittori degli esiti del trattamento. Perciò, come tali vanno integrate ai fattori biologici. Ogni medico sia pronto a esaminare e discutere ad ogni visita, i sintomi depressivi con i pazienti affetti da morbo di Crohn o retto-colite ulcerosa. Se necessario, li dovrebbe eventualmente inviare a specialisti di igiene mentale per aiutarli a gestire la loro emotività. E’ risaputo da tempo che esiste un effetto diretto di depressione e/o ansia sull’infiammazione e sulla risposta immunitaria, quindi sull’evoluzione delle malattie infiammatorie intestinali. Affrontare questi fattori psico-sociali con approcci adatti (es. farmacologici, psicoterapia, ecc.) può aiutare a tenere sotto controllo il loro decorso.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Bibliografia dedicata
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