A dispetto del fatto che esistono individui che lo prendono amaro invece che zuccherato, quelli con poco zucchero, quelli a cui piace macchiato, sembrerà incredibile ma ci sono anche quelli che non lo hanno preso mai. Ma cosa? Niente paura, stiamo parlando del caffè, la bevanda più amata al mondo lasciando al thè il privilegio di bevanda “più consumata” al mondo. Molti penserebbero che il thè abbia più benefici per la salute rispetto al caffè; questo potrebbe derivare dal maggior numero di studi scientifici condotti sugli effetti del thè nella salute umana, rispetto a quelli che hanno visto il caffè come protagonista. Ma considerare il caffè unicamente come la fonte di caffeina che ti fa stare sveglio, ti fa lavorare di più, migliora l’umore o ti fa passare un mal di testa, è riduttivo. La caffeina è sicuramente uno dei principi che caratterizzano le azioni del caffè. Una tazzina di espresso, infatti, ne contiene in media 80 milligrami. Tradizionalmente gli effetti positivi del caffè sono stati legati alle funzioni mentali, cardiache e muscolari. Ma c’è molto di più.
Una nuova ricerca portoghese ha rilevato che la caffeina può ridurre significativamente il rischio di morte tra le donne con diabete. Dr. Neves e il team hanno esaminato i dati del National Health And Nutrition Examination Survey raccolti tra il 1999 e il 2010. Per il loro studio, i ricercatori hanno esaminato 1.568 donne e 1.484 uomini con diabete. Hanno valutato l’assunzione di caffeina dei partecipanti utilizzando interviste che hanno valutato il consumo di caffè dei partecipanti nelle 24 ore precedenti. Ai soggetti è stato anche chiesto della fonte della loro caffeina, che si trattasse di caffè, tè o bevande analcoliche. Nessuna associazione significativa è stata trovata tra consumo di caffeina e mortalità per tutte le cause, mortalità cardiovascolare o mortalità correlata al cancro tra gli uomini. Tuttavia, le donne che avevano assunto almeno a 100 milligrammi di caffeina – l’equivalente di una tazza di caffè – ogni giorno avevano un rischio inferiore del 51% di morire prematuramente rispetto alle donne che non avevano caffeina. I risultati erano dose-dipendenti: le donne che avevano tra 100 e 200 milligrammi di caffeina al giorno avevano il 57% in meno di probabilità di morire rispetto alle loro controparti non consumatrici.
Il caffè, per il suo effetto sul cervello è stato da sempre collegato al buon umore, alla socializzazione, all’iniziativa ed alla condivisione. Al pari della cioccolata, è considerato una sorta di antidepressivo naturale, sebbene il cacao possiede dei meccanismi leggermente diversi sulla regolazione del tono dell’umore. Una analisi molto estesa sull’assunzione di caffè e rischio di andare incontro a depressione è stata resa pubblica due anni fa: una metanalisi di 12 studi osservazionali con ben 23 enormi manipoli di dati a disposizione, per un totale di quasi 347 mila persone, con 8146 casi di depressione (Grosso M et al. 2017). Le conclusioni sono state chiare: vi era una correlazione negativa fra il consumo di caffeina e rischio di ammalarsi di depressione (rischio relativo = 0.84, 95% CI: 0.75, 0.93), che ha fatto concludere come il consumo di caffè svolge un effetto protettivo sulla comparsa del disturbo.
Pare, invece, che il caffè non eserciti effetto protettivo nei confronti della malattia di Parkinson, o quantomeno non ne migliora sintomi come la bradicinesìa (movimenti lenti), rigidità muscolare o tremori. La nuova ricerca, pubblicata lo scorso anno su Neuroloy e condotta dal Dr. Ronald B. Postuma, della McGill University in Canada, ha incluso 121 adulti di età media pari a 62 anni. A tutti i pazienti era stata diagnosticata la malattia di Parkinson almeno 4 anni prima e sono stati seguiti per un periodo compreso tra 6 e 18 mesi. A metà dei soggetti sono stati somministrati 200 milligrammi di caffeina due volte al giorno – equivalente a circa tre tazze di caffè al giorno – mentre ai restanti partecipanti è stato somministrato un placebo. Dopo aver valutato i sintomi del movimento e la qualità della vita dei partecipanti, i ricercatori non sono stati in grado di identificare eventuali differenze tra i soggetti che assumevano caffeina e quelli che hanno assunto il placebo.
Ma la caffeina è solo una delle sostanze bioattive del caffè; un’altra bella fetta spetta ad una classe di composti chiamati polifenoli, noti al pubblico per le sponsorizzate proprietà antiossidanti che li renderebbero preziosi nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e dei tumori. A parte il rischio che l’eccessivo consumo di caffè si traduca in ipertensione aumento di rischio per cardiopatie, sembra che un normale consumo di caffè possa esercitare anzi effetto protettivo verso questa tipologia di problema. E’ quanto dichiarato da uno studio condotto al DIpartimento di Nutrizione dell’Università di San Paulo del Brasile (Miranda AM et al. 2017). Il consumo medio di due tazze di caffè al giorno si è tradotto in minori valori delle pressioni sistolica e diastolica e minori valori plasmatici di omocisteina, un noto fattore di rischio per la trombosi. Lo studio ha praticamente confermato degli studi e altre ipotesi precedenti vagliate sempre lo scorso anno (Baeza G et al. 2017; Murillo AG e Fernandez ML. 2017).
Per gli uomini, infine, sarà un piacere scoprire che uno studio ha dimostrato come farsi due tazze di caffè stile italiano (moka), può dimezzare il rischio di problemi alla prostata. Un gruppo congiunto di ricercatori dell’ISS di Roma, del Neuromed di Pozzilli e dell’Università di Varese, ha pubblicato uno studio recente eseguito sulla coorte Moli-sani di 6.989 uomini ultracinquantenni, in cui sono stati diagnosticati 100 casi di tumore prostatico (Pounis G et al. 2017). I risultati avevano già preliminarmente visto che i nuovi casi diagnosticati avevano un consumo giornaliero di caffè molto basso, mentre coloro che assumevano 3 o più tazzine di caffè moka a giorno, risultavano un 53% inferiore di ammalarsi di cancro alla prostata. Lo studio ha compreso l’effetto in vitro di crescenti dosi di caffeina sulla crescita di due note linee tumorali umane, DU 145 e PC-3. Entrambe le linee cellulari dopo trattamento con caffeina riducevano il loro potenziale di crescita e di generare metastasi. I risultati sono stati inseriti in un grosso studio metanalitico postumo pubblicato la scorsa estate, che ha confermato gli studi precedenti (Xia J et al. 2017).
Perché togliersi allora il piacere di una gustosa tazza di caffè a colazione e a pranzo?
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, Medico specialista in Biochimica Clinica.
Letteratura selezionata
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