Gli adulti affetti da diabete mellito potrebbero giovare di una migliore terapia se si distinguessero cinque tipi di malattia e non due come al solito. Questo è quanto conclude uno studio pubblicato qualche giorno fa su Lancet Diabetes & Endocrinology, dal team di ricercatori guidato dal Prof. Leif Groop, del Lund University Diabetes Centre in Svezia e all’Institute for Molecular Medicine ad Helsinki, Finlandia.
Escludendo il diabete gestazionale, che compare unicamente in gravidanza, le due forme comunemente riconosciute di diabete sono il tipo 1 ed il tipo 2. Nel diabete tipo 1 (autoimmune), almeno il 90% delle cellule beta vanno incontro a distruzione da parte del sistema immunitario, per cui non vi è sufficiente produzione di insulina. Nel tipo 2, invece, il pancreas è intatto ma le cellule beta non riescono a produrre regolari quantità di insulina per fattori metabolici. Questo tipo è responsabile di quasi il 95% di tutti i casi di diabete nella pratica clinica e trova la sua base patogenetica più comune in fattori alimentari o voluttuari (es. alcolici). Una diagnosi di diabete si fa solitamente usando il test di carico del glucosio a digiuno (FPG) ed il test A1C (emoglobina glicata). Il primo misura la glicemia dopo un tempo esatto trascorso dall’ingestione di glucosio; l’altro determina i livelli medi di glucosio (trend) che si sono verificati nei tra mesi precedenti.
Quando si tratta di determinare di quale dei due è affetto un paziente, si può ricorrere alla determinazione degli auto-anticorpi plasmatici. La loro presenza è indicativa di diabete tipo 1. Ma secondo il prof. Groop ed il suo team, a dispetto dell’evidenza che il diabete ha un’alta eterogeneità, le linee guida di classificazione per il diabete non sono state aggiornate da vent’anni. E’ vero che tutti i tipi di diabete condividono una diagnosi basata sulla misurazione della glicemia, ma una iperglicemia può essere causata da fattori genetici ed acquisiti. Questi possono ridurre la concentrazione di insulina o ridurre la sua efficacia, portando all’eterogeneità nella presentazione clinica e/o la progressione della malattia. I ricercatori dicono che una classificazione rivista del diabete, basata sulla eterogeneità, potrebbe aiutare gli specialisti a predire meglio quali individui possano sviluppare complicanze. Permetterebbe, inoltre, un approccio personalizzato al singolo.
Nel loro studio, il team propone che il diabete non dovrebbe più essere suddiviso in due tipi, bensì in cinque. Lo studio che ha gettato le basi di questa proposta, deriva dall’analisi di quattro studi di coorti che ha compreso un totale di 14.775 pazienti neo-diagnosticati con diabete. Come parte delle analisi, sono stati studiati sei parametri clinici: a) l’età di comparsa, b) la presenza o meno di insulino-resistenza, c) l’indice di massa corporea (BMI), d) la presenza di auto-anticorpi, e) il controllo la lungo termine ella glicemia e f) l’emoglobina glicata (HbA1C). Parimenti, conducendo analisi genetiche dei pazienti, sono state comparate per tutti la progressione della malattia, la sua terapia e le sue complicanze. Lo studio ha rivelato la presenza di cinque forme di diabete, due delle quali lievi ma tre severe, così descritte dai ricercatori:
- Gruppo 1: grave diabete autoimmune (il classico tipo 1), con carenza di insulina e presenza di auto-anticorpi. Identificato nel 6–15 % dei casi.
- Gruppo 2: severo diabete insulino-carente, tipico dei soggetti più giovani, con deficit di insulina e scarso controllo metabolico ma nessun auto-anticorpo. Identificato nel 9–20% dei casi.
- Gruppo 3: severo diabete insulino-resistente con imponente insulino-resistenza ed un rischio significativamente più alto di malattia renale rispetto alla media. Presente nell’11–17% dei pazienti.
- Gruppo 4: lieve diabete obesità-dipendente, il più frequente fra gli individui obesi. Il 18–23% dei pazienti aveva questo tipo di diabete.
- Gruppo 5: diabete lieve correlato all’età, più frequente fra gli anziani. Fra tutte, questa era la forma più comune, presente nel 39–47% dei soggetti analizzati.
I ricercatori sottolineano che ognuna di queste forme erano anche geneticamente distinte, cioè non vi erano mutazioni genetiche condivise fra le forme stesse. All’esame della terapia antidiabetica di ognuno dei pazienti, poi, ricercatori si sono accorti che una parte dei pazienti era trattata in modo inappropriato. Per fare un esempio, solo il 42% dei pazienti nel cluster 1 e il 29% nel cluster 2 ricevevano insulino-terapia da quando erano stati diagnosticati. Questo per loro indica che la classificazione attuale del diabete non è in grado di considerare le caratteristiche sottostanti della malattia. Come tale, il prof. Groop propone che il diabete debba essere categorizzato in cinque tipi diversi. Egli, infatti, è convinto che le linee guida di trattamento attuale sono limitate dal fatto che rispondono male quando si sviluppano delle complicanze metaboliche; per di più, non hanno i mezzi per predire quali pazienti necessitino di un trattamento intensivo. Serviranno altri studi, per esempio analisi di bio-markers e di rischio genetico, ma lo studio presente è un grande passo avanti nella rivalutazione della terapia per il diabete.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni relative
Ahlqvist E et al. Lancet Diabetes Endocrinol. 2018 Mar 1.
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