E’ opinione comune che in caso di diabete si debba evitare l’assunzione di frutta, perché ricca di componente zuccherina. Invero, la frutta è ricca di fruttosio, un monosaccaride che viene quasi completamente convertito in glucosio nell’organismo. Ma contiene anche glucosio e saccarosio, il vero e proprio zucchero da tavola, che dopo scissione genera glucosio e fruttosio. Per esempio, il diabetico deve evitare le banane e non a torto, ma questo riguarsa soprattutto quelle ad alto grado di maturazione: quando queste sono ancora poco mature, la componente amidacea è ancora molto alta, mentre il saccarosio è molto poco. Altro frutto che viene sconsigliato ai diabetici sono le arance: il loro contenuto di saccarosio è invero uno dei più alti nell’elenco dei frutti ordinati per contenuto glucidico (12g/100g). Anche l’uva, a maggior ragione, è considerata un frutto da bandire: non contiene molto saccarosio, ma quasi esclusivamente glucosio. Allora cos’è più giusto per chi è affetto da diabete, mangiare frutta più amidacea (es. banane immature) o poca frutta con zuccheri semplici?
In realtà, ci sarebbe un pro ed un contro, per entrambe le tipologie. Assumere frutta con zuccheri più complessi, come le banane, ritarda un immediato passaggio di zucchero nel sangue ma, come i farinacei (pasta, pane, patate) permette che il picco di glucosio ematico duri più a lungo (picco con plateau e discesa tardiva). Per contro, introdurre frutta con glucidi semplici (es. pesche, albicocche, fragole, uva, ecc.), induce un’iperglicemia più veloce, ma non durevole (picco a campana). Ciò è intrinsecamente vantaggioso per un motivo: è il persistere dell’iperglicemia che causa l’elevazione dell’emoglobina glicata (HbA1c) e quindi i cosiddetti “danni da glicazione proteica”. Questo è più difficile da ottenere con frutta con un tenore di zuccheri semplici maggiore (preferibilmente glucosio e non fruttosio). L’importante è non introdurne quantità eccessive. La frutta, in realtà, contiene anche altre tipologie di zuccheri semplici ed esiste un elenco in cui la frutta è ordinata secondo il suo contenuto in saccarosio, glucosio e fruttosio, dal più alto a quella col contenuto inferiore.
Esiste anche frutta che contiene dei monosaccaridi che non influiscono affatto sulla glicemia. Es. le prugne contengono molto arabinosio, un isomero del ribosio che è dolce ma non è utilizzato a livello metabolico e viene filtrato dai reni praticamente in modo completo. Mele, pere, susine e ciliegie, contengono anche sorbitolo, un polialcol non direttamente iperglicemizzante, ma che viene convertito nel fegato a fruttosio. Quindi di queste tipologie di frutta è bene non abusarne in caso di diabete. Se si vuole introdurre zucchero ma allo stesso tempo fare prevenzione sulla formazione di emoglobina glicata, ci si può orientare sulla frutta più ricca di vitamina C e alcune vitamine B, specie la vitamina B6. Se state pensando alle arance, non è affatto il caso: esse sono in fondo alla scala, con circa 30mg di vitamina C per 100gr di frutto fresco. Sono più vantaggiosi i kiwi, il cui tenore medio di acido ascorbico è 70-75mg/100gr. I kiwi, inoltre, hanno un contenuto intermedio di zucchero, assieme a pere, ananas e susine. Persino la papaya ha più vitamina C delle arance: 55mg/100gr, ed inoltre contiene enzimi digestivi (papaina), che aiutano la digestione delle proteine, che spesso risulta compromessa nei pazienti diabetici cronici (malattia attiva superiore ai 20 anni).
Un contenuto medio/basso di glucidi, lo si ritrova in fragole, mele, meloni, albicocche, papaya, anguria e pesche. Se poi si vuole puntare allo spettro completo della prevenzione (basso introito di zuccheri, buon contenuto di vitamina C, buon potere antiossidante), ci si deve rivolgere ai frutti di bosco: lamponi, mirtilli, more e ribes. Mentre lamponi e mirtilli hanno il miglior contenuto di polifenoli, il ribes associa al buon potere antiossidante anche una elevata concentrazione di vitamina C e caroteni. Il ribes rosso ha un contenuto medio di acido ascorbico impressionante: circa 180mg/100 gr di frutto fresco, cioè sei volte superiore alle stesse arance. Infine non si può non menzionare il rimedio per eccellenza di chi è affetto da diabete: il limone. Non per il suo contenuto di vitamina C, che è veramente esiguo: solamente 15mg/100ml di succo. Il suo contenuto di acido citrico è la chiave del controllo della glicemia. Esso, infatti, blocca la glicolisi (ossia la combustione cellulare del glucosio), segnalando che vi è un eccesso di prodotti energetici finali (ATP). In questo modo, la glicemia di abbassa e lo zucchero viene stipato in riserve di scorta. Un certo effetto lo avrebbero alcuni suoi polifenoli (naringina, narirutina, tangeritina, diosmina), che regolerebbero in parte l’assorbimento del glucosio a livello intestinale.
Dunque, la frutta va bene nell’alimentazione del diabetico: va ancora meglio se oculata per proprietà e nutrizione, va male quando se ne abusa.
– a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Recensioni dedicate
Bellocco E, Leuzzi U, Barreca D: Biochimica della nutrizione. Ed. Zanichelli, 2013.
Fatati – Amerio: Dietetica e nutrizione – Clinica, terapia ed organizzazione. Ed. Il Pensiero Scientifico, 2012.
Consiglio della Ricerca in agricolura e l’Economia Agraria (CREA): tabelle di composizione degli alimenti. http://nut.entecra.it/646/tabelle_di_composizione_degli_alimenti.html.