La malattia di Huntington (HD) è una delle molte malattie neurodegenerative con alterazioni riportate nell’omeostasi del ferro cerebrale che possono contribuire alla disfunzione neurogica. L’accumulo di ferro nelle aree specifiche del cervello dei pazienti con HD è stato proposto sulla base di osservazioni negli studi post-mortem sui tessuti e sulla risonanza magnetica. Segnali di risonanza magnetica alterati all’interno di specifiche regioni cerebrali sottoposte a neurodegenerazione sono stati costantemente riportati e interpretati come livelli alterati di ferro cerebrale. Studi biochimici che utilizzano varie tecniche per misurare le specie di ferro in campioni umani, tessuto di topo o in vitro hanno generato dati equivoci a supporto di tale associazione. Il ferro è fondamentale per la normale bioenergetica dei mitocondri, ma può anche contribuire all’ossidazione patogena. L’accumulo di ferro nel cervello si verifica nei modelli di topo e nell’HD umana. Tuttavia il ruolo della sua disregolazione correlata ai mitocondri, come contributo alla fisiopatologia bioenergetica, nella malattia di Huntington non è chiaro.
In un nuova ricerca appena pubblicato sulla rivista Free Radicals Biology and Medicine, un team guidato dal Dr. Agrawal dell’University del Wyoming, dimostriano che il cervello umano HD e modello del mouse HD (12 settimane R6/2 e 12 mesi YAC128) ha accumulato il ferro mitocondriale e ha mostrato aumento dell’espressione della proteina mitoferrina-2 di e ridotta della proteina frataxina. La prima serve all’assorbimento del ferro, la seconda alla sintesi dei centri respiratori dei mitocondri. Frazioni arricchite di mitocondri da cervelli di topo HD avevano deficit di assorbimento di ossigeno e aumento dell’ossidazione lipidica. Inoltre, il deferiprone (chelante ferro-selettivo permeabile alla membrana) ha prevenuto questi effetti ex-vivo, mentre altri chelanti idrofili del ferro o chelanti di rame non hanno avuto effetto. Un trattamento di deferiprone orale di 10 giorni in topi R6 / 2 HD di 9 settimane ha indicato che il deferiprone ha rimosso il ferro mitocondriale, ripristinato i potenziali mitocondriali, diminuito l’ossidazione lipidica e migliorata la resistenza motoria.
L’integrazione di ferro neonatale potenzia la neurodegenerazione nei modelli murini di HD mediante meccanismi sconosciuti. In un precedente studio di due anni fa (Berggren et al., 2016), il team ha rivelato che i topi YAC128 HD con aggiunta di ferro neonatale avevano volumi dello striato e dei suoi neuroni significativamente più bassi rispetto ai topi di controllo HD a 1 anno di età. L’integrazione con ferro neonatale dei topi HD non ha avuto alcun effetto sulle riserve di ferro o sul glutatione del cervello. Il livello di assunzione di ferro per adulti non ha avuto alcun effetto sulla progressione della MH. L’anno scorso (Agrawal et al., 2017) hanno scoperto che l’integrazione di ferro in ratti e soggetti umani può compromettere alcuni aspetti della cognitività. Ora il team ha scoperto che l’integrazione di ferro neonatale aumentava l’accumulo di ferro mitocondriale nel cervello, facendo comparire nei topi HD i markers del malfunzionamento mitocondriale. Pertanto la manipolazione del ferro mitocondriale può proteggere dallo stress ossidativo.
Questo può essere fatto attivamente e con due modalità. La terapia farmacologica può essere un cardine risolutivo, poiché toglie direttamente il fattore patogeno cellulare (l’accumulo di ferro). Ma c’è un atro modo e può essere fatto a tavola. La dieta quotidiana è variata ed include sempre un introito costante di alimenti che contengono ferro in quantità variabili. Sebbene non ci siano indicazioni e prove cliniche ufficiali, il trattare un paziente con HD al pari di uno che è affetto da anemia mediterranea, anemia falciforme ed emocromatosi potrebbe conferire qualche vantaggio. Tutte le patologie ora citate sono caratterizzate da accumulo cronico di ferro (per approfondimenti cercare le voci nell’archivio del sito). Dato che gli studi eseguiti sui cervelli di pazienti deceduti per HD hanno confermato l’accumulo di ferro in certe aree cerebrali, adottare un’alimentazione che sia impoverita di questo elemento potrebbe evitare un suo accumulo cospicuo in modo naturale.
E’ chiaro che non bisogna spingersi tanto da causare un’anemia cronica, ma evitare gli abusi di alimenti molto ricchi di ferro può essere utile. In particolare le frattaglie animali, le carni di manzo e di cavallo, il cacao, la crusca di grano, i fagioli, le ostriche, le cozze ed il thè rappresentano le fonti in assoluto più ricche di ferro. E’ possibile mantenersi su una dieta con minore apporto di ferro, avendo comunque benefici nutrizionali vantaggiosi. Si potrebbe scegliere ad esempio, di accostarsi a legumi, frutta e verdura non troppo ricchi di ferro. Dall’altro lato, vegetali e frutta fresca sono ricchi di vitamine A – C – E, polifenoli ed altri fito-nutrienti che possono giovare a contrastare parzialmente l’azione dello stress ossidativo. Questo, di per sé, rappresenta un vantaggio per le cellule cerebrali del paziente con malattia di Huntington. L’integrazione con una terapia chelante del ferro, se ritenuta opportuna dallo specialista neurologo, potrà vedere l’approccio alimentare suddetto come un complemento.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Agrawal S et al. Free Radicals Biol Med 2018; Apr 3.
Agrawal S et al. Nutr Rev. 2017 Jun 1; 75(6):456-470.
Berggren KL et al. J Huntingtons Dis. 2016; 5(1):53-63.
Muller M, Leavitt BR. J Neurochem. 2014; 130(3):328-50.