I ricoveri di emergenza e urgenti sono associati a un aumento del declino cognitivo negli anziani, riferiscono i ricercatori del Rush University Medical Center. I risultati del loro studio, pubblicato sull’ultimo numero online di Neurology, la rivista medica dell’American Academy of Neurology, mostra che l’ospedalizzazione può essere un fattore di rischio maggiore per il declino cognitivo a lungo termine negli anziani di quanto precedentemente riconosciuto. I dati sono emersi da uno studio condotto su 777 anziani (81 anni in media, 75% donne) iscritti al Progetto Rush Memory and Ageing (MAP) a Chicago. Lo studio ha coinvolto valutazioni cognitive annuali e valutazioni cliniche. Le informazioni sui ricoveri sono state acquisite collegando i record delle richieste Medicare del 1999-2010 per questi partecipanti con i loro dati MAP. Tutti i ricoveri ospedalieri sono stati designati come elettivi, di emergenza o urgenti. Gli ultimi due erano combinati come non elettivi per l’analisi. Dei 777 partecipanti, 460 sono stati ricoverati almeno una volta su una media di quasi cinque anni di osservazione. Di quelli che sono stati ricoverati in ospedale, 222 (29% della popolazione totale) hanno avuto almeno un ricovero ospedaliero elettivo e 418 (54%) hanno avuto almeno un ricovero ospedaliero non elettivo. Questi gruppi includevano 180 partecipanti (23%) che avevano entrambi i tipi di ospedalizzazione.
I ricoveri non elettivi sono stati associati a un’accelerazione di circa il 50% del tasso di declino cognitivo prima del ricovero in ospedale, e ad un tasso di declino cognitivo che era piĂą del doppio del tasso nelle persone che non erano ospedalizzate. Le ospedalizzazioni elettive, tuttavia, non erano affatto associate all’accelerazione del tasso di declino. Gli scienziati hanno visto una chiara distinzione: le ammissioni non elettive guidano l’associazione tra ospedalizzazione e cambiamenti a lungo termine nella funzione cognitiva in etĂ avanzata, mentre le ammissioni elettive non comportano necessariamente lo stesso rischio di esiti cognitivi negativi. Non si sa perchĂ© le ospedalizzazioni urgenti e urgenti comportino un rischio piĂą elevato di declino cognitivo a lungo termine rispetto alle ospedalizzazioni elettive, ma potrebbe essere dovuta a differenze nei livelli di malattia, stress o procedure ospedaliere coinvolte. Gli autori hanno in programma di esplorare queste ragioni nella ricerca futura. Questo lavoro si espande su precedenti ricerche che hanno dimostrato che dopo essere stati ricoverati in ospedale, gli anziani sono ad alto rischio di amnesia e altri problemi cognitivi, inclusi sia la dissociazione temporanea che i cambiamenti a lungo termine nella cognitivitĂ , inclusa la demenza.
Secondo il Healthcare cost and utilization project dell’ottobre 2010, il 40% di tutti i pazienti ospedalizzati negli Stati Uniti aveva 65 anni e oltre. Pertanto, l’ospedalizzazione può essere un fattore di rischio non riconosciuto per declino cognitivo e demenza per un gran numero di adulti piĂą anziani che merita maggiore attenzione. Queste informazioni hanno importanti implicazioni per il processo decisionale medico e la cura degli anziani. Bryan James, PhD, un epidemiologo del Rush Alzheimer’s Disease Center e professore associato nel Dipartimento di Medicina Interna, ha spiegato: “Abbiamo scoperto che coloro che hanno ospedalizzazioni non elettive (di emergenza o urgenti) e che non sono stati precedentemente diagnosticato con demenza o morbo di Alzheimer ha avuto un rapido declino della funzione cognitiva (cioè, capacitĂ di pensiero) rispetto ai tassi pre-ospedalieri. Per confronto, le persone che non sono mai state ricoverati in ospedale e quelli che hanno avuto ricoveri in elezione, non hanno sperimentato il drastico declino cognitivo. Pur riconoscendo che tutte le procedure mediche comportano un certo grado di rischio, questo studio implica che gli incontri programmati in ospedale potrebbero non essere pericolosi per la salute mentale delle persone anziane come situazioni di emergenza o urgenti”.
La scoperta della demenza nelle primissime fasi è diventata una prioritĂ della sanitĂ mondiale, perchĂ© le strategie di prevenzione possono divenire piĂą efficaci nel processo della malattia, prima che si siano verificati danni cerebrali estesi. Sono a rischio le persone con piĂą di 75 anni. E sono considerati fattori predisponenti alcune situazioni presenti giĂ al momento del ricovero, come un disturbo cognitivo, una frattura, un’infezione, l’assunzione di piĂą farmaci. Poi ci sono fattori precipitanti connessi al tipo di cure o alla degenza (malnutrizione, catetere vescicale, terapie farmacologiche addizionali rispetto a quelle giĂ assunte dal paziente). Ad esempio, chi ha una frattura d’anca ed è sottoposto a intervento chirurgico ha il 40-50% di probabilitĂ di andare incontro a dissociazione. Ancora peggio per chi è in terapia intensiva: la percentuale può arrivare al 70%. Ma è possibile la prevenzione? Secondo una recensione sulla rivista Jama Internal Medicine nel 2015, i risultati di un’analisi di 14 ricerche della letteratura scientifica (per un totale di oltre 4000 pazienti), hanno concluso che alcuni provvedimenti sono efficaci. Tra questi, una certa efficacia ce l’hanno l’aiuto al paziente a orientarsi, un’attenzione al ritmo sonno-veglia, una mobilizzazione precoce ed un supporto ai pazienti con problemi visivi o uditivi.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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