La sclerosi multipla (SM) è una malattia a lungo termine che danneggia il sistema nervoso centrale (SNC) e i cui sintomi variano da persona a persona. Secondo la National Multiple Sclerosis Society, ci sono almeno 2,3 milioni di persone con SM in tutto il mondo. Negli Stati Uniti, le stime suggeriscono che ci potrebbe essere circa 1 milione di persone che vivono con SM. I sintomi che si sviluppano nella SM sono imprevedibili e dipendono in gran parte da dove si verifica il danno al SNC. Le riacutizzazioni possono andare e venire o i sintomi possono peggiorare nel tempo. Gli attuali trattamenti per la SM mirano a ridurre gli attacchi di infiammazione alla mielina e agli oligodendrociti. Tuttavia, poiché indeboliscono il sistema immunitario, non sono esenti da rischi. Possono, ad esempio, rendere il cervello vulnerabile a infezioni opportunistiche. Ora, un nuovo studio dell’Università di Chicago in Illinois ha rivelato come una piccola molecola chiamata Sephin1 possa ritardare il danno alla mielina in un modello murino di SM. La rivista Brain ha recentemente pubblicato un resoconto dei risultati.
Lo studio rivela che Sephin1 funziona prolungando una risposta allo stress integrata (ISR) che riduce il danno che l’infiammazione causa agli oligodendrociti, le cellule produttrici di mielina. Così, i ricercatori dietro il recente studio hanno deciso di esplorare un’altra opzione: invece di smorzare il sistema immunitario, perché non aiutare le cellule che la SM influenza a resistere al danno che l’infiammazione infligge? Il team ha deciso di indagare sull’ISR perché è un processo innato che protegge le cellule dei tessuti dagli attacchi di infiammazione del sistema immunitario. I test hanno rivelato che il farmaco anti-ipertensivo guanabenz può migliorare l’ISR negli oligodendrociti. Tuttavia, il farmaco porta anche a effetti collaterali, tra cui mal di testa, debolezza, secchezza delle fauci e sonnolenza. Il team ha poi scoperto che Sephin1, che è un derivato del guanabenz ma senza effetti collaterali misurabili, può anche aumentare l’ISR negli oligodendrociti. La piccola molecola aiuta a prolungare l’ISR bloccando un percorso che lo spegne. Il team ha testato l’efficacia di Sephin1 in colture cellulari e un modello murino di SM.
Nelle colture cellulari, hanno scoperto che la piccola molecola prolungava negli oligodendrociti stressati una via di segnalazione chiamata risposta integrata allo stress (ISR). Questo fenomeno comprende due risposte separate chiamate stress del reticolo endoplasmatico (ESR) e risposta al mal-ripiegamento proteico (UPR). È stato dimostrato che la ISR funge da sistema di difesa naturale per proteggere le cellule da risposte inopportune. Negli oligodendrociti, essa riduce l’impatto infiammatorio dovuto alla malattia. Questa risposta è scatenata dalla fosforilazione (una modificazione proteica) di una proteina chiamata eIF2-alfa, e riduce la produzione totale di proteine, spostando invece la sintesi verso proteine cellulari protettive. Al contrario, la risposta allo stress integrata può essere interrotta dalla defosforilazione di eIF2α. È stato dimostrato che Sephin1 inibisce la defosforilazione di eIF2α, prolungando la risposta protettiva. I risultati hanno mostrato che il trattamento con Sephin1 ha inibito la defosforilazione di eIF2α nei topi EAE (il modello sperimentale della SM), innescando una risposta protettiva contro l’infiammazione.
L’obiettivo riconosciuto di Sephin1 è un enzima chiamato fosfatasi PPP1R15B, che prolunga il beneficio della ISR, proteggendo le cellule dallo stress di mal-ripiegamento UPR altrimenti letale. La PPP1RR15 è anche chiamata Gadd34 ed è una proteina indotta da diversi tipi di stress cellulari (raggi gamma, ossidanti, shock termico, ecc.). In vivo, Sephin1 ha prevenuto in modo sicuro i difetti motori e molecolari di due malattie neurologiche non correlate nei topi, la malattia di Charcot-Marie-Tooth 1B e la sclerosi laterale amiotrofica o SLA, come esplorato nel 2015 dal team originale che ha lavorato con questa molecola. Dato ancora più importante, in questo studio sono stati protetti anche gli oligodendrociti produttori di mielina e l’esordio della malattia è stato significativamente ritardato. Ciò si correlava con la protezione degli assoni neuronali, della mielina e una ISR prolungata. Inoltre, Sephin1 ha ridotto i livelli dei linfociti T infiammatori e la loro produzione di citochine nel sistema nervoso centrale. Gli effetti di Sephin1 sono stati anche combinati con interferone beta, una terapia anti-infiammatoria di prima linea per la SM.
I ricercatori hanno scoperto che la combinazione era più efficace dei farmaci forniti separatamente. Questo probabilmente perché le vie di segnale dell’interferone e di Sephin1 sono differenti, ma possono trovare dei punti in comune a livello della risposta genica (effetto sinergico). Questa ipotesi non è stata ancora esplorata. Ma se si dimostrasse vera, potrebbe aprire le porte alla terapia di malattie neurodegenerative orfane di terapie. Oltre alla SM, infatti, altri disturbi neurologici della mielina senza cura sono la neuromielite ottica, la suddetta malattia di Charcot-Marie-Tooth e la sindrome di Pelizaeus-Merzbacher. Invece di due, sarebbe come prendere “quattro piccioni con una fava”.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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