La demenza senile, che sia dovuta alla malattia genetica di Alzheimer o da cronicizzazione di fenomeni depressivi o per cerebrovasculopatia cronica, è un onere sanitario che va sempre a crescere ed impatta notevolmente sia a livello personale che sanitario. Al di là delle terapie correnti, servono complementi efficaci, sicuri e non dispendiosi.
Secondo un’analisi dei dati inseriti nella banca dati della Cochrane Library, i trattamenti tradizionali della depressione come la psicoterapia o la terapia farmacologica, potrebbero funzionare meglio se fossero accompagnati dalla musicoterapia. Almeno per alcune tipologie di pazienti. Anche la musicoterapia sembra aiutare ad alleviare l’ansia e migliorare le funzioni fisiche negli individui depressi, e sembra altrettanto sicura quanto i trattamenti tradizionali. E’ il tema che sta esplorando un gruppo di ricercatori della UniResearch Health a Bergen, in Norvegia, per approfondire l’efficacia di trattamenti alternativi per la depressione, come la musicoterapia. Il team ha esaminato i dati relativi a 421 persone che hanno partecipato a nove esperimenti a breve termine, che hanno testato i benefici della sola musicoterapia o in abbinamento alle terapie convenzionali. Nel complesso, l’analisi dei dati ha rilevato che i pazienti si sentivano meno depressi quando la musica veniva “aggiunta” al loro regime di trattamento.
I ricercatori sono più fiduciosi sul fatto che la musicoterapia in effetti migliori i sintomi e la vita dei pazienti, e che questa evidenza possa essere considerata valida in un’ampia gamma di condizioni, paesi, tipi di pazienti e tipi di musicoterapia. Negli ultimi 5 anni sono state condotte ricerche sulle possibili applicazioni nei bambini con autismo. La musicoterapia può includere approcci passivi che implicano l’ascolto, o trattamenti attivi che prevedono la riproduzione di uno strumento, il canto o la partecipazione a un’esibizione musicale, o tutti questi aspetti combinati insieme. Ciò che distingue la terapia con la musica è il fatto che viene condotta da una persona con una formazione nel counseling, nella psicologia o nel trattamento della depressione. Anche se la musicoterapia è stata a lungo utilizzata in tutto il mondo, fino ad oggi, l’ultima recensione pubblicata nel 2008 non offriva prove certe dei benefici. Un solo studio pubblicato nel 2011 ha concluso che la musica potrebbe aiutare, ma la ricerca è ha lasciato molte incertezze.
Lo studio del gruppo norvegese conferma questa recensione, la conferma e ne amplia il significato. Saranno sicuramente necessarie ulteriori ricerche; tuttavia, la ricerca sulla musicoterapia per la depressione può passare a step più specifici, come il confronto tra diversi tipi di terapia. Negli studi inclusi nella revisione attuale il follow-up variava da sei a 12 settimane. Solo uno degli studi nell’analisi ha confrontato la musicoterapia attiva e passiva, e non ha trovato differenze nella gravità della depressione nel breve termine. E ciò è comprensibile. Un evento depressivo cronico è diventato tale solo col passare dei mesi o degli anni. Non è logico pensare che un trattamento musicoterapico di qualche settimana possa invertire i danni emotivi che la depressione ha causato nel tempo al cervello del paziente. Ciò non è tanto diverso dal trattamento farmacologico: quale paziente ha assunto farmaci antidepressivi per un mese, riferendo di stare bene ed essere guarito?
La depressione ha un andamento spesso complicato, dipendente dalla personalità di fondo della persona affetta; non subisce facilmente remissioni specie se la causa scatenante non viene rimossa. Gli stessi effetti positivi che un antidepressivo può esercitare sulla chimica cerebrale li può fare anche la cioccolata, l’antidepressivo naturale più amato. Ma anche la musica è molto amata un po’ da tutti, ha accompagnato l’uomo da millenni ed è nata prima dei farmaci correnti. Una recensione pubblicata nel 2017, ne supporta l’utilizzo anche nella terapia di mantenimento della demenza tipo Alzheimer ed un’altra nel benessere di pazienti in fase terminale. Un effetto positivo che si è distinto del caso della musicoterapia nella gestione della demenza senile è stato quello di una migliore fluenza verbale. Questo è favorente sulla comunicazione fra il paziente ed i suoi caregiver, un aspetto che nel 70-75% dei casi è fortemente compromesso.
La capacità della musicoterapia di alleviare l’ansia e la depressione è evidente solo in gruppi selezionati di pazienti affetti da declino cognitivo. Può darsi che questo dipenda dalla gravità dello stadio depressivo, da fattori di aderenza personale o fattori culturali ed altro ancora. Questo dato è in linea con una precedente meta-analisi su pazienti affetti da demenza. Anche l’apatia vien ridotta, il che è in accordo con una precedente meta-analisi in cui i pazienti affetti da demenza hanno dimostrato un miglioramento dell’apatia dopo la musicoterapia. Tuttavia, molti studi non hanno specificato il tipo di musica utilizzata; la selezione della musica potrebbe quindi essere soggetta a pregiudizi personali: ad esempio, gli autori potrebbero scegliere musica più allegra o più leggera e influenzare l’alleviamento dei sintomi. La farmacoterapia, come quella con memantina, donepezil, ecc. si associa al miglioramento della funzione cognitiva e delle attività quotidiane, mentre la musicoterapia sembra associata al miglioramento della fluidità verbale e alla riduzione di ansia, depressione e apatia.
Un risultato importante in termini di praticità e costi, essendo praticamente irrilevanti come impatto economico sull’assistenza sanitaria. Sono tuttavia necessari ulteriori studi per indagare gli effetti combinati della farmacoterapia e della musicoterapia nella cura degli anziani affetti da demenza. Nel frattempo diamole un po’ di credito, giusto?
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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