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Gruppo sanguigno e rischio patologie (III): le connessioni fra inquinamento e infarto

Il gene AB0 (che è presente nelle persone che hanno i gruppi sanguigni A, B e AB) è l’unico gene che è stato convalidato in ampi studi internazionali per predire attacchi di cuore tra le persone con malattia coronarica. Studi precedenti hanno anche dimostrato legami tra inquinamento particellare PM2,5 e infarto miocardico, ammissione in ospedale con dolore toracico instabile, insufficienza cardiaca e fibrillazione atriale. Gli individui che hanno un gruppo sanguigno A, B o AB hanno un rischio elevato di avere un infarto durante i periodi di inquinamento atmosferico significativo, rispetto a quelli con il gruppo sanguigno 0. Questa informazione è stata rilasciata al Convegno Annuale dell’American Heart Association Scientific Sessions 2017 ad Anaheim, in California, dai ricercatori dell’Intermountain Medical Center Heart Institute e Brigham Young University. Lo studio aveva collegato il maggior rischio di infarto associato a un ridotto inquinamento particellare, ad un aumentato rischio di infarto per le persone con determinati gruppi sanguigni che presentano una malattia coronarica.

Lo scopo finale della ricerca è stato quello di testare l’influenza di una variazione: l’impatto del gruppo sanguigno di un individuo. Dozzine di geni sono stati mostrati in ampi studi internazionali per predire l’insorgenza di malattia coronarica in persone libere dalla malattia. Ma la stragrande maggioranza delle persone non avrà un attacco di cuore a meno che non abbiano già una malattia coronarica. Né un attacco di cuore è una certezza anche con malattie cardiache. I ricercatori hanno già identificato un livello di inquinamento a cui si è verificato un aumento del rischio per le persone con gruppi sanguigni non-0, e tale soglia è di 25 microgrammi di inquinamento per metro cubo. La principale mutazione studiata differenzia tra 0 tipi di sangue e non-0, che include i gruppi sanguigni positivi, A, B e AB. Quello che è stato trovato negli studi genetici a basso rischio è 0. Gli altri tre avevano un rischio più alto. Due anni prima il team aveva pubblicato risultati che mostravano che una volta superato tale limite, ogni ulteriore 10 microgrammi per metro cubo di aria forniva rischi sostanzialmente più elevati.

A livelli superiori a 25 microgrammi per metro cubo di inquinamento, l’aumento del rischio è lineare, mentre al di sotto di tale livello c’è poca o nessuna differenza di rischio. Durante un’inversione dell’inverno, il livello di inquinamento di particelle PM2.5 può raggiungere occasionalmente i 100 microgrammi per metro cubo, ma il 50-60 è più tipico. I ricercatori hanno scoperto che le persone con sangue di tipo 0 hanno anche un rischio più elevato di infarto o dolore toracico instabile in periodi di elevato inquinamento atmosferico. Ma il loro livello di rischio è molto più basso, al 10% invece del 25% del gruppo sanguigno non-0 per 10 microgrammi aggiuntivi per metro cubo. Quindi con il livello di inquinamento di 65 microgrammi per metrocubo, una persona con sangue di tipo 0 deve affrontare un rischio superiore del 40% rispetto a quando l’aria non è inquinata. Ma perché il gruppo sanguigno dovrebbe influenzare le cardiopatie? La risposta, secondo gli esperti, può risiedere solo in certi meccanismi immunitari.

I gruppi sanguigni sono di per sé dei determinanti antigenici: non è possibile un libero scambio di sangue fra i gruppi sanguigni, altrimenti insorgono reazioni immunitarie gravi e persino mortali. E le conoscenze degli ultimi 10 anni hanno implicato sempre più fattori immunitari e microbiologici nella comparsa delle cardiovasculopatie. A parte l’intervento dei macrofagi nella comparsa e nella progressione dell’aterosclerosi, anche i linfociti sono stati implicati nel processo. E sempre più proteine espresse nel sistema immunitario sono scoperte di mese in mese partecipare a complesse reazioni immunologiche come la galectina-3, le interleuchine 1, 2, 6 e 17, recettori immunitari come il TLR-7 e Dectin-2. Fra i recettori immunitari ve ne sono alcuni che possono legare microparticelle di acido urico, di silice, di colesterolo ed anche di particelle di altro materiale organico o inorganico. Dati recentissimi hanno provato che le particelle PM2.5 potrebbero indurre disbiosi sia a livello intestinale che polmonare, sovvertendo nel tempo la loro normale composizione batterica.

In aggiunta, i continui dialoghi cellulari fra microbiota intestinale e sistema immunitario creano un’altra connessione sia innata che regolata dall’alimentazione. Lo stile alimentare assieme ad altri fattori di rischio cardiovascolare, l’influenza del microbiota sull’immunità e l’influenza a valle di questa sul sistema cardiovascolare creano il circolo con cui sangue, immunità e cardiopatie si correlano. Il fatto che il gruppo 0 fra gli altri sia quello a minore rischio di infarto durante alti livelli di inquinamento, è probabilmente dovuto al fatto che essendo l’antigene base degli altri (A, B ed AB), abbia una reattività minore sui processi immunitari patologici che si insediano sui fenomeni cardiovascolari. Ma servono ulteriori esperimenti ed analisi di altre coorti cliniche prima di poter trarre conclusioni definitive.

  • a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Ran Z et al. Environ Pollut 2020 Nov 3; 115987.

Mourouzis K et al. Curr Pharm Des. 2020; 26(36):4624.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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