Oggi è la giornata mondiale per la malattia di Parkinson. Si stima che circa 20 milione di persone in tutto il mondo siano affette da questa condizione invalidante. Ve ne sono, infatti, diverse forme che vanno dalla forma classica che colpisce soltanto il movimento e la parola fino a quelle in cui il danno cerebrale sfocia in problemi psichiatrici e comportamentali, come depressione, allucinazioni, ideazioni delusionali fino a esplosioni di paranoia. Sebbene il danno iniziale riconosca sempre una lesione della sostanza nera cerebrale (substantia nigra del Sommering), le ricerche degli ultimi decenni sembrano indicare che altre aree del cervello nel tempo si vanno deteriorando. L’entità del danno accumulato e le regioni eventualmente coinvolte determinano il quadro clinico finale.
Sempre nell’ultimo decennio si sono aggiunte nuove teorie patogenetiche sull’origine del Parkinson. La componente genetica è stata dimostrata in alcuni casi: è confermato che 3-4 geni possono risultati mutati in casi clinicamente accertati. Ma questi non possono spiegare la totalità dei casi esistenti. Fra l’altro è noto dal passato che certe esposizioni professionali possono essere responsabili in certi soggetti: i lavoratori nel campo metallurgico che si espongono a ferro e manganese, e coloro che lavorano nel settore petrolchimico maneggiando solventi aromatici, possono essere a forte rischio di sviluppare il morbo di Parkinson. Ma i fattori esterni e genetici sarebbero forse solo la miccia: si stanno facendo sempre più strada le prove che, a seguito degli insulti iniziali, è il sistema immunitario che poi prosegue il danno infiammatorio ed ossidativo nelle aree cerebrali bersaglio.
Curare il Parkinson non è facile: i farmaci più moderni hanno cambiato moltissimo la gestione e il decorso della malattia. Pramipexolo, ropinirolo e pergolide hanno permesso di ridurre notevolmente le dosi di farmaco giornaliero assunto (pochissimi milligrammi a differenza delle decine di milligrammi della bromocriptina e centinaia di milligrammi per la Levo-DOPA). Questo tutto a vantaggio dei minori effetti collaterali più frequenti con i farmaci più vecchi. Ma spesso neanche i farmaci più nuovi eliminano gli aspetti psichiatrici della malattia, come depressione, allucinazioni e delirio. Gli scienziati stanno conducendo due studi clinici che potrebbero affrontare alcuni dei sintomi più inquietanti del Parkinson. Il primo è il primo studio clinico al mondo di fase II che esplora il potenziale del cannabidiolo (CBD) per il trattamento della psicosi parkinsoniana.
Lo studio si concentra sulla comprensione di quale dose di trattamento con cannabidiolo avrà il miglior effetto terapeutico per il trattamento delle allucinazioni. L’altro è una prova che esamina se l’ondansetron, un farmaco anti-nausea, può essere riutilizzato per trattare le allucinazioni visive. Manon sono le uniche strade che si stanno percorrendo: ci sono gruppi di ricerca che si stanno focalizzando sulle cellule staminali, altri sui meccanismi di funzionamento della sinucleina-alfa (una proteina maggiore coinvolta nei meccanismi cellulari della malattia). Per non menzionare altre evidenze scientifiche che legano l’attività del nervo vago periferico che fa da ponte fra intestino e cervello, oppure l’intervento del microbiota intestinale di cui non si sanno i passaggi che lo includono nella patogenesi della malattia. La complessità risultante di questa condizione, perciò, lascia i ricercatori ancora semi-brancolanti nel buio.
Inoltre, c’è ancora poca consapevolezza generale sulla malattia, che viene solo vista come un disturbo neurologico generale del movimento da curare giorno dopo giorno con farmaci. Invece, anche coloro (parenti, coniugi, tutori, caregivers) che si occupano di pazienti parkinsoniani non hanno una vita facile. Il Parkinson ha tutta una serie di sintomi non cerebrali che inficiano la qualità di vita dell’interessato, ma anche di coloro che eventualmente sono loro accanto. Tra questi i disturbi del desiderio sessuale, le alterazioni del normale sonno, la depressione, variazioni importanti della pressione arteriosa ed anche fenomeni compulsivi del tipo dipendenza da oggetti o situazioni che possono dare gratificazione al paziente. Costui, infatti, spesso è attanagliato da ansia, frustrazione ed eventualmente sensi di colpa per la sua condizione che grava su chi lo accudisce. Ecco perchè può essere necessario un supporto psicologico per entrambe le parti.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD; specialista in Biochimica Clinica.