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Smartworking e salute: pandemia a parte, causerà conseguenze per i lavoratori?

Col progresso della tecnologia unito alla digitalizzazione e alla globalizzazione, la vita lavorativa internazionale negli ultimi tre decenni, è passata attraverso numerose transizioni. In generale, questa transizione ha modificato sia il contenuto del lavoro che il suo svolgimento ed organizzazione. Tra gli altri tipi di modalità di lavoro flessibili, il telelavoro è ormai consolidato come modalità lavorativa della “new-economy”, dove i dipendenti non si trovano in un edificio centrale, ma lavorano piuttosto in un luogo distante o addirittura da casa. Il telelavoro è una sottocategoria del concetto più ampio di lavoro a distanza, con l’ulteriore distinzione che la tecnologia delle telecomunicazioni viene utilizzata per sostituire il pendolarismo fisico per andare al lavoro. Gli accordi di telelavoro sono stati resi praticamente fattibili per la prima volta all’inizio degli anni ’80 grazie al progresso tecnologico, ma è solo negli ultimi 15 anni che hanno preso piede. Per fare un esempio, nel 2015 il 17% dei lavoratori europei è stato impegnato in una qualche forma di telelavoro.

Complice la pandemia che ha colpito completamente il mondo nel 2020-2021, questa tipologia di lavoro è stata rapidamente e ampiamente implementata a causa delle restrizioni sociali. Dopo l’introduzione delle restrizioni governative, il 37% di tutti i lavoratori in Europa ha svolto il proprio lavoro da una località remota, con un picco di quasi il 60% nei paesi nordici. Una domanda importante è come ciò influisca sul dipendente, considerando la possibilità che i sistemi e le modalità di lavoro introdotti a seguito del COVID-19 rimangano in una certa misura parte della vita lavorativa futura. Molte aziende hanno avuto il loro profitto a seguito dello “smartworking” imposto dal distanziamento sociale. Il risparmio energetico, delle spese per i locali quando in affitto e delle spese gestionali legate agli stessi, hanno fatto economizzare le aziende. Per i lavoratori di positivo magari c’è stato il non viaggiare quotidianamente, guadagnando sulla stanchezza o lo stress e sul carburante da mettere nell’automobile per gli spostamenti.

È plausibile che questo nuovo modo di organizzare il lavoro possa però sconvolgere l’ambiente di lavoro e la salute dei lavoratori. Potrebbero esserci lati positivi ed anche negativi. Ad esempio, le condizioni di lavoro fisiche e psicosociali sono palesemente diverse quando si confronta il lavoro da un ufficio con il telelavoro. Lavorare da casa non è lo stesso che essere in ufficio: di buono c’è che non si deve sopportare rumore, telefonia altrui e scadenze per espressa richiesta. Di negativo, però, ci potrebbe essere la tempistica: dato che si risparmia su tempi di viaggio e di recupero per stanchezza o stress, il tempo speso al computer o col tablet può allungarsi. Paradossalmente, cioè si potrebbe arrivare a lavorare di più da casa. E’ quello che è stato dichiarato da tre conoscenti di questa redazione scientifica, che lavorano per la maggior parte in smartworking ancora adesso che le restrizioni da COVID-19 sono state allentate moltissimo. Lamentando tempistica più lunga di 3-4 ore al giorno rispetto a quella da ufficio. Ma non è l’unico punto da considerare.

È comunemente riconosciuto che l’occupazione, le caratteristiche del lavoro di un dipendente e il luogo di lavoro stesso possono influenzare la salute dell’individuo. Tali relazioni tra il proprio lavoro e la salute possono funzionare attraverso meccanismi fisici diretti oppure organizzativi o psicosociali. Un passaggio al telelavoro potrebbe, ad esempio, menomare la sensazione di connessione sociale e sul sostegno di dirigenti e colleghi o su altri aspetti psicologici del lavoro, noti per essere importanti per la salute fisica e mentale. Inoltre, è possibile che accordi di lavoro più flessibili possano alterare il rapporto tra domanda e controllo, noto per prevedere vari esiti di salute. Allo stesso modo, è anche ben documentato che l’autonomia lavorativa ha un impatto sulla salute. Inoltre, il telelavoro può anche influenzare il confine tra lavoro e vita privata o alterare caratteristiche fisiche ed ergonomiche o altre questioni relative alla salute, all’ambiente e alla sicurezza sul lavoro, rispetto a una normale impostazione dell’ufficio.

Tuttavia, non si sa ancora in che modo il telelavoro influisca sulla flessibilità e sull’autonomia, come sia collegato alle richieste psicologiche e al controllo del lavoro dei dipendenti, né come influisca sulla salute dei dipendenti. E’ una branca investigativa della scienza ancora troppo giovane che necessita dipiù informazioni. Ma mentre in paesi come gli Stati Uniti e il Nord Europa, lavorare da remoto ha radici più durature e relativamente più lunghe, la stessa cosa non è stata per il nostro paese. Il blocco totale ai diversi livelli (educativo, commerciale, produzione industriale) ha posto l’Italia di fronte auna sfida senza precedenti. In un Paese fatica ad adattarsi al processo di digitalizzazione, sono emerse fortemente problematiche legate a uno sviluppo tecnologico diseguale, che viaggia a velocità diverse lungo il territorio nazionale. Senza entrare in disamine di sorta, il divario di strati sociali, la disoccupazione e le restrizioni economiche da povertà franca possono essere visti come tra i principali responsabili di questi effetti.

Non si dimentichi, dunque, che non ci sono solo un nord e sud del mondo per povertà e progresso scientifico; la componente culturale non è da meno. Tanto è vero che L’Italia del sud è il Mezzogiorno; e il Mezzogiorno dell’Europa è proprio l’Italia.

  • a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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