Il morbo di Parkinson (PARK) prevale principalmente negli individui di età superiore ai 50 anni ed è stata segnalata una maggiore incidenza della condizione nei maschi rispetto alle femmine. Sebbene il PARK si manifesti principalmente a causa di fattori ambientali, inclusa l’esposizione a pesticidi o metalli pesanti, altri fattori di rischio associati al PARK sono lesioni cerebrali traumatiche e l’uso di farmaci come gli antagonisti dei recettori β2-adrenergici come il propranololo o il bisoprololo, usati contro l’ipertensione e le condizioni cardiache. D’altra parte, studi precedenti hanno riportato una correlazione negativa tra l’assunzione di nicotina (tabacco), caffeina (caffè) e farmaci infiammatori e l’incidenza del Parkinson. Nei pazienti con PARK, i neuroni dopaminergici contenenti neuromelanina sono danneggiati, che è presente nella regione della substantia nigra (SN) del mesencefalo. I sintomi clinici, come tremori e altre manifestazioni motorie, si verificano a causa della rete di proiezione della dopamina SN-striato danneggiata.
Diversi studi hanno dimostrato che i batteri intestinali sono correlati alla patogenesi di diverse malattie neurodegenerative. Questi studi hanno riportato una modifica della micro-ecologia intestinale nei pazienti con PARK con diabete e colite. Ci sono dati convincenti che il microbiota potrebbe essere correlato all’insorgenza di demenza legata all’età, sclerosi multipla, diverse forme di depressione e morbo di Parkinson. Gli scienziati ritengono che la comprensione del legame tra batteri intestinali e PARK potrebbe portare alla scoperta di un nuovo trattamento per la malattia. Hanno scoperto che il microbiota intestinale cambia nell’ospite in base alla sua età, dieta ed esercizio fisico. Negli ultimi due decenni, i rapidi progressi nella tecnologia ad alto rendimento hanno aiutato a comprendere la composizione, il numero e le proprietà funzionali dei batteri intestinali. Gli scienziati hanno segnalato una differenza significativa nel microbiota intestinale nei pazienti con PARK e negli individui sani.
Studi genomici hanno dimostrato che la diversità del microbioma intestinale in questi pazienti è scarsa rispetto ai controlli sani: c’è una prevalenza molto bassa dei generi Faecalibacterium e Fusicatenibacter e un’abbondanza di Peptoniphilus e Clostridium. Alcuni patogeni comuni come Escherichia coli, Proteus mirabilis e Bacteroides fragilis, producono lipopolisaccheride (LPS), la principale endotossina batterica che è anche una neurotossina. Si libera rapidamente nell’età avanzata e induce a livello sistemico patologie infiammatorie. Alcuni dei batteri comuni associati al morbo di Parkinson sono Helicobacter pylori, Enterococcus faecalis e Proteus mirabilis. Inoltre, i batteri appartenenti alle famiglie Bifidobacteriaceae, Verrucomicrobiaceae, Ruminococcaceae e Christensenellaceae sono anche associati alla malattia di Parkinson. Precedenti studi hanno dimostrato che le proteine mirate ai miRNA sono associate alla formazione di biofilm e alle vie di biosintesi di LPS di molti batteri patogeni legati alla patogenesi del Parkinson.
La formazione dei biofilms serve a fungere da “nicchia protettiva” e permettere ai batteri di prosperare come in un bozzolo invisibile al sistema immunitario locale. In tal modo, è possibile per loro produrre altre tossine che contribuiscano alla patogenesi del Parkinson, senza risentire molto di eventuali reazioni immunitarie di difesa. L’infiammazione intestinale è stata considerata un importante contributo allo sviluppo della malattia. Pertanto, gli scienziati hanno riferito che i pazienti con malattia infiammatoria intestinale del tipo morbo di Crohn, hanno un rischio maggiore di incidenza di Parkinson. Il microbiota intestinale è tipicamente associato al metabolismo e alle regolazioni immunitarie degli ospiti. I pazienti con IBD hanno già uno squilibrio del microbiota e un’interazione batteri-immunità disregolata. L’invecchiamento provoca cambiamenti significativi nel microbiota intestinale, ed è per questo che l’incidenza di PARK ha una tendenza sempre più alta con l’avanzare dell’età.
Ciò perché l’invecchiamento sconvolge l’equilibrio micro-ambientale e aiuta a produrre batteri patogeni. Inoltre, nei pazienti parkinsoniani è stata segnalata un’elevata prevalenza di marcatori fecali di permeabilità intestinale, cioè zonulina e antitripsina, in modo analogo a quanto succede per i pazienti con malattie infiammatorie intestinali. Che la dieta abbia il suo peso nel rimodellare la composizione del microbiota, non c’è dubbio, ed è risaputo che la prevalenza di un nutriente maggiore alimentare nella dieta (carboidrati, proteine o grassi), sposta la sua composizione verso certe specie batteriche più che altre. Non solo, una dieta a base di un nutriente maggiore, prima o poi ha anche ripercussioni sulla salute della mucosa intestinale e sull’omeostasi immunitaria. Ad esempio, una dieta ricca di grassi riduce l’espressione della proteina della giunzione stretta intestinale (zonulina) e intensifica anche la permeabilità della parete intestinale (leaky gut) attivando la via di segnalazione della proteina chinasi C (PKC) intracellulare.
Nelle malattie infiammatorie intestinali questo può amplificare l’infiammazione e predisporre i pazienti ad un maggiore rischio di sviluppare tumori intestinali. Per il morbo di Parkinson questa evenienza sembra non esserci. Ma ci può essere la possibilità di invertire il processo, almeno in parte? I medici spesso usano somministrare alcuni antibiotici (es metronidazolo, vancomicina) a cicli e a dosaggi inferiori, sia ai pazienti con malattia di Crohn che di Parkinson, perché aiutano a modificare la composizione del microbiota. Effettivamente in certi, ma non tutti, i casi i pazienti ammettono di avere un miglioramento dei sintomi. Un altro presidio che comincia ad essere usato sempre più spesso anche in clinica è l’integrazione esterna con probiotici (popolarmente noti come fermenti lattici). Sono note situazioni in cui l’integrazione terapeutica con probiotici multi-ceppo ha indotto miglioramenti per i pazienti con IBD e meno per quelli parkinsoniani, ma non ci sono inversioni nette di tendenza.
Tuttavia, è riportato che somministrare probiotici ai pazienti con PARK aiuta a migliorare certi aspetti della loro malattia, come fenomeni i depressivi. La stessa cosa sembra essere riscontrata per il morbo di Crohn e la sclerosi multipla. Gli scienziati pensano che l’effetto sia dovuto ai cambiamenti della chimica cerebrale indotti dai probiotici. Questi producono acidi grassi a catena corta (propionico, butirrico, ecc.), altri acidi organici e sottraggono composti azotati che hanno un possibile effetto negativo sui neurotrasmettitori cerebrali (come la tiramina, l’acido indol-acetico, il 3-metil-indolo, ecc.). Essendo normalmente prodotti in larga quantità, questi metaboliti batterici passano nel sangue e condizionano positivamente la chimica nervosa. Anche l’integrazione prolungata con probiotici può modificare il decorso di pazienti con depressione cronica; il che indica che ci sono dei meccanismi comuniche si ripetono da patologia a patologia. Il problema del fallimento di antibiotici e probiotici, però, è probabilmente da ricercare nella loro non-specificità.
Sia antibiotici che probiotici modificano solo certe famiglie di batteri, ma non riescono ad essere mirati contro le specie patogene da eliminare o permettere esclusivamente di far crescere le specie “buone”. Ecco perché da circa un decennio è sorta una metodica che potrebbe essere una soluzione più efficace: il trapianto fecale (TRAF). La procedura di trapianto fecale viene utilizzata per ripristinare la normale composizione batterica dei pazienti. Il TRAF è comunemente usato per trattare le infezioni da Clostridium difficile. È importante sottolineare che gli scienziati hanno riferito che il TRAF èefficace nel trattamento interventistico di certi disturbi neurologici. Studi sugli animali hanno dimostrato che il TRAF ha migliorato l’infiammazione intestinale, ridotto i sintomi simili alla depressione e ripopolato l’intestino con le specie Lactobacillus, Akkermansia, Blautia e Prevotella e ha ridotto la popolazione dei Bacteroidetes, il che ha comportato un miglioramento significativo dei sintomi non motori (es. disturbi dell’umore e costipazione).
Sono necessari ulteriori studi clinici per trarre una conclusione solida, relativa all’efficacia del trapianto fecale nei pazienti con Parkinson. Ma è possibile che, in un futuro molto vicino, si potrà applicare a molte condizioni mediche in cui la composizione del microbiota è implicata, Parkinson incluso. Questo perché il TRAF è una procedura dal protocollo molto semplice, si esegue un’unica volta e non coinvolge l’assunzione di alcun tipo di farmaco.
A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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