mercoledì, Dicembre 25, 2024

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Nutraceutica: il nuovo modo a tavola di fare guerra all’osteoporosi

L’osteoporosi colpisce più di 200 milioni di persone in tutto il mondo e provoca fratture ossee in 1 donna su 3 e 1 uomo su 5 di età superiore ai 50 anni. La perdita ossea si osserva anche nell’artrite reumatoide, una condizione infiammatoria dolorosa che colpisce fino all’1% delle persone in tutto il mondo. La degradazione ossea e la successiva riparazione vengono messe a punto attraverso complesse interazioni tra le cellule che degradano l’osso, gli osteoclasti e quelle che producono nuova matrice ossea. Mentre gli osteoclasti possono sembrare “cattivi” perché rimuovono l’osso, sono fondamentali per la salute delle ossa, poiché normalmente rimuovono quel tanto che basta per stimolare la nuova crescita ossea. Il problema sorge quando gli osteoclasti diventano troppo aggressivi e rimuovono più osso di quanto il corpo ne produca.

Quindi la densità ossea ne risente e le ossa si indeboliscono. Questa eccessiva degradazione ossea è probabilmente influenzata da fattori genetici. La semplice eliminazione degli osteoclasti, quindi, non è sempre l’approccio migliore per trattare la perdita ossea patologica. Invece, è stato trovato un “nodo di segnalazione” negli osteoclasti che regola la loro funzione nel degradare l’osso, ma non riduce il loro numero. Una nuova scoperta sull’osteoporosi suggerisce un potenziale obiettivo terapeutico per la malattia delle ossa fragili e per la perdita ossea dovuta all’artrite reumatoide. Gli scienziati sono ansiosi di capire cosa causa questa perdita ossea e di sviluppare nuovi modi per trattarla e prevenirla. I ricercatori della School of Medicine dell’Università della Virginia hanno trovato un importante contributore, una proteina cellulare chiamata ELMO1.

Questa proteina promuove l’attività degli osteoclasti che degradano l’osso. Questa proteina citoplasmatica è stata originariamente identificata come un componente del meccanismo che facilita la fagocitosi delle cellule apoptotiche. In questo contesto, è stato dimostrato che ELMO1 si associa alle proteine DOCK1 e Rac-1 per mediare la riorganizzazione del citoscheletro che porta all’assorbimento dei detriti cellulari. In modo incoraggiante, i ricercatori sono stati in grado di prevenire la perdita ossea nei topi di laboratorio bloccando ELMO1, incluso in due diversi modelli di artrite reumatoide. Il suo segnale cellulare si integra con quello di RANKL, che serve all’attivazione degli osteoclasti. Ciò suggerisce che i medici potrebbero essere in grado di sfruttare la proteina, ad esempio trovando suoi antagonisti, per trattare o prevenire la perdita ossea causata dall’osteoporosi ma anche dall’artrite reumatoide.

Notano che gli sforzi precedenti per trattare l’osteoporosi prendendo di mira gli osteoclasti hanno avuto un successo misto e offrono una potenziale spiegazione del perché. Ovvero, che gli osteoclasti non solo rimuovono l’osso, ma svolgono un ruolo nel chiamare altre cellule a fare la sostituzione dell’osso. I ricercatori hanno utilizzato un peptide per indirizzare l’attività di ELMO1; e sono stati in grado di inibire la degradazione della matrice ossea negli osteoclasti in coltura senza alterarne il numero. Pertanto, prendere di mira ELMO1 può offrire un’opzione migliore rispetto alla semplice guerra agli osteoclasti con farmaci come l’alendronato, lo zoledronato e altri inibitori degli osteoclasti. Ma ELMO1 non è l’unica proteina che potrebbe allungare la lista dei bersagli cellulari da sfruttare per trovare terapie innovative e migliori contro i problemi ossei.

Ci sono dati convincenti che proteine ed enzimi già molto ben conosciuti sono coinvolti nella normale fisiologia degli osteoblasti e degli osteoclasti. Di questi esistono sia molecole che li possono attivare che inibire, sia di origine sintetica che naturale o addirittura alimentare. Per quanto riguarda gliosteoclasti, il fattore nucleare del fattore di trascrizione delle cellule T attivate c1 (NFATc1) è il driver principale della maturazione e dell’attività degli osteoclasti; la down-regulation dell’espressione e dell’attivazione di NFATc1 è quindi un obiettivo chiave nella prevenzione dell’osteoporosi. Un’analisi dei percorsi intracellulari suggerisce che l’attivazione della protein-chinasi attivata da AMP (AMPK), la sirtuina 1 (SIRT1), la guanilato-ciclasi solubile (sGC) e il fattore di trascrizione Nrf2 migliorino l’espressione e l’attivazione di RUNX2 negli osteoblasti.

Questo fattore di trascrizione è un promotore centrale perché gli osteoblasti diventino maturi, mentre toglie di mezzo di osteoclasti “demolitori”. Per esempio, la GC solubile può essere attivata dall’aminoacido acetil-cisteina e dalla vitamina H o biotina. Essa produce il secondo messaggero GMP ciclico,che tramite la chinasi PKG sopprime la morte degli osteoblasti. La quercitina, un comunissimo polifenolo delle verdure e dei frutti di colore scuro e del vino, può permettere l’espressione di RUNX2 bloccando a monte la via CK2-BMP2-Smad5 che sopprime la sua sintesi. Un bersaglio cellulare molto interessante da sfruttare è la sirtuin o SIRT1. Questa proteina originariamente è stata studiata per il suo coinvolgimento dell’invecchiamento cellulare e nella comparsa dei tumori. Essa viene attivata dal resveratrolo, presente nel vino e nelle nocciole; dalla fisetina presente nelle mele, nonché dall’acido ferulico, un altro polifenolo molto comune negli ortaggi.

La sua espressione sembra positivamente regolata dalla vitamina D, che tutti sanno essere un fattore di protezione e robustezza delle ossa, ma anche dalla glucosammina, un integratore molto usato per ritardare la perdita di cartilagine nell’artrosi. Anche la melatonina può regolare la sintesi della SIRT1. Non è una novità che la melatonina possa proteggere la salute delle ossa: questa nozione risale ad almeno 30 anni fa. Il cerchio tra SIRT1 e RUNX2 si chiude, infine, con l’azione della sirtuina sullo stato di acetilazione del secondo: SIRT1 deacetila RUNX2 e questo può andare a scegliere i suoi geni bersaglio sul DNA. Una via cellulare che è deputata alla protezione dallo stress ossidativo è quella del fattore nucleare Nrf-2. Quando si attiva, esso permette la sintesi di decine di proteine ed enzimi antiossidanti o protettivi sulle strutture interne. Fortunatamente, anche qui la dieta è dalla nostraparte.

Questo fattore risente positivamente di nutrienti come l’acido lipoico e l’ubichinone o coenzima Q ad alti dosaggi, due cofattori vitaminici che siamo in grado di produrre; oppure del sulforafano, un composto azotato abbondante in cavoli, broccoli, cavolfiori e rape; ancora del timochinone, un fenolo aromatico dell’olio essenziale del timo e della salvia; e della taurina, un aminoacido abbondante nelle uova, nei frutti di mare, nei calamari e nella carne di tacchino. In vitro, è stato riportato che la taurina sopprime la produzione di sclerostina da parte degli osteociti che, curiosamente possono sintetizzare la propria taurina, e diminuisce i livelli di stress ossidativo negli osteoclasti attivati. Anche la taurina e la melatonina possono condizionare l’attività del fattore Nrf-2, ma esistono altre decine di composti naturali che lo possono attivare sia in vivo che in vitro.

Fra questi alcuni polifenoli della liquirizia, delle noci, del caffè, delle melanzane, delle prugne e in erbe come la cicoria, il rosmarino e il tarassaco. Queste nozioni portano alla riconsiderazione della dieta come un fattore protettivo dell’osteoporosi, dato che tutti i princìpi attivi elencati nel presente documento fanno parte di un’alimentazione naturale che incontra tutti i requisiti raccomandati dalla comunità scientifica e clinica. L’osteoporosi, infatti, non è una condizione dovuta esclusivamente alla carenza di calcio, come tutti sono abituati a pensare. Essa è il frutto di scelte di vita, di stili alimentarie personali che si è fatto strada tra i ai fattori ambientali e genetici opportuni.

A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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