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Microplastiche: il problema ambientale che rischia di diventare di salute pubblica globale

L’inquinamento globale causato dalla plastica rappresenta un grave problema per l’ambiente e la salute pubblica. Dal 1950 al 2015 sono state prodotte in totale circa 8,3 miliardi di tonnellate di plastica e il tasso di produzione è aumentato, raggiungendo i 368 milioni di tonnellate nel 2019. Le materie plastiche sono resistenti alla degradazione chimica e biologica e quindi durevoli. Attualmente esistono in commercio almeno 45 tipi diversi di plastica e generalmente si ritiene che i polimeri plastici di grandi dimensioni siano inerti e non vengano assorbiti dal sistema intestinale a causa delle loro dimensioni, e quindi vengano escreti come tali. Tuttavia, entrando nell’ambiente e/o nei sistemi biologici, la plastica si decompone in piccole particelle attraverso processi di trasformazione e agenti atmosferici, creando enormi quantità di particelle di plastica più piccole nell’ambiente, comprese particelle <1 mm chiamate microplastiche (MP). Si stima che ogni anno nella sola UE vengano rilasciate circa 250.000 tonnellate di particelle a causa della decomposizione della plastica.

Poiché la plastica continua a decomporsi nell’ambiente, si prevede che la percentuale di frammenti nella massa totale dei rifiuti di plastica raggiungerà il 13% entro il 2060 e continuerà ad aumentare. Le MP secondarie sono quelli generati da polimeri plastici attraverso normali processi di alterazione atmosferica, tra cui erosione, abrasione, foto-ossidazione e trasformazione biologica. I polimeri persistono nell’ambiente per centinaia o migliaia di anni. Ad esempio, si stima che le bottiglie d’acqua in plastica PET, i pannolini usa e getta e le schiume di polistirolo abbiano una durata ambientale rispettivamente di 450, 500 e > 5.000 anni. Non solo l’inquinamento da microplastiche rappresenta un problema ambientale significativo, ma le particelle di plastica possono anche rilasciare additivi che migliorano le prestazioni se aggiunte ai polimeri durante la produzione. L’inquinamento idrico e del suolo causato dagli additivi plastici è stato ampiamente documentato.

Inoltre, le microplastiche possono fungere da vettori per diversi altri contaminanti, poiché sequestrano gli inquinanti organici e inorganici dall’ambiente circostante. L’esposizione onnipresente degli esseri umani alle microplastiche attraverso l’inalazione di particelle nell’aria e l’ingestione di polvere, acqua e dieta è ben consolidata. Si stima che gli esseri umani ingeriscono da decine di migliaia a milioni di particelle MP all’anno, o nell’ordine di diversi milligrammi al giorno. Le informazioni disponibili suggeriscono che l’inalazione di aria interna e l’ingestione di acqua potabile in bottiglie di plastica sono le principali fonti di esposizione alle MP. Si stanno accumulando prove che biberon e dispositivi medici possono contribuire all’esposizione a MP nei neonati e nei bambini. Studi di biomonitoraggio su feci umane, feto e placenta forniscono prove dirette dell’esposizione a MP nei neonati e nei bambini. È stato segnalato che le microplastiche <20 μm attraversano le membrane biologiche.

Sebbene un tempo la plastica fosse percepita come un materiale inerte, l’esposizione agli MP negli animali da laboratorio ha indotto varie forme di infiammazione, risposta immunologica, alterazione del sistema endocrino, alterazione del metabolismo lipidico e altri disturbi. Sebbene l’esposizione in sé sia preoccupante, possono anche essere fonti di esposizione ad additivi plastici e altre sostanze tossiche. Diversi studi hanno segnalato la presenza ubiquitaria di microplastiche in diverse matrici ambientali, tra cui acque superficiali, sedimenti, acque reflue, acqua in bottiglia, prodotti alimentari selezionati e persino tra i ghiacci del Polo Nord e dell’Antartide. Per non parlare del loro rilevamento nei frutti di mare, nel miele, nel latte, nella birra, nel sale da cucina e nell’acqua potabile. Esistono evidenze preliminari che, data la piccola dimensione delle particelle, queste non rilasciano solo gli additivi ma porzioni molecolari del polimero stesso (nanounità) che possono interagire con le proteine sia all’interno che all’esterno della cellula.

Un fatto preoccupante è che queste molecole prendono di mira i recettori degli ormoni sessuali, della tiroide e legati al metabolismo dei carboidrati e dei grassi (PPARs). Insieme agli additivi eventualmente rilasciati dalle microplastiche, l’intero complesso potrebbe comportarsi come un completo “interferente endocrino” (EDC). Questo è ciò che hanno portato il consumismo e lo stile di vita “frettoloso”: optare per fare tutto in plastica perché è più leggera, si può buttare via (“perché è inerte per l’ambiente”, come si diceva 40 anni fa) e è più economia di vetro e legno. Scegliere la plastica al posto del legno non è stato un favore per evitare di deforestare il pianeta: questo avviene ancora oggi costantemente per i motivi più svariati. Né perché un frammento di plastica non taglia mentre le schegge di vetro sono pericolose. Per non parlare del fatto che forse in questo mondo c’è più sabbia in peso del petrolio stesso. E ora, che siamo consapevoli dei danni arrecati all’ambiente e alla salute globale, cerchiamo di correre ai ripari con il riciclo e la sostenibilità.

  • a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Senathirajah K et al. J Hazard Mater 2021; 404:124004.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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