La degenerazione della mielina, la guaina isolante necessaria per una rapida comunicazione tra le cellule nervose, e la neuro-infiammazione sono segni distintivi notevoli della sclerosi multipla (SM) e di disturbi neurodegenerativi come il morbo di Alzheimer o il morbo di Huntington, che colpiscono circa 2,8 milioni di persone nel mondo. Tuttavia, si sa poco sui precisi passaggi molecolari attraverso i quali la demielinizzazione porta alla perdita di neuroni e glia, i due principali tipi di cellule cerebrali. Un articolo pubblicato di recente su Cell Metabolism da una ricerca del Duncan Neurological Research Institute (Duncan NRI) presso il Texas Children’s Hospital e il Baylor College of Medicine, rivela una risposta a questa domanda di vecchia data. I ricercatori hanno scoperto che la disgregazione della mielina si traduce in un accumulo di acidi grassi a catena molto lunga (VLCFA) e dei loro intermedi che innesca una risposta autoimmune che danneggia le cellule cerebrali.
I VLFCA sono un raro gruppo di acidi grassi che costituiscono solo una piccola frazione degli acidi grassi totali nel corpo. Le guaine mieliniche che circondano le membrane nervose sono una ricca fonte di VLCFA e hanno livelli circa 10 volte superiori di VLCFA-ceramidi rispetto ad altre membrane cellulari. I VLCFA sono prodotti da acidi grassi a catena lunga dall’enzima elongasi EVOVL e riconvertiti dall’enzima ACOX1. Inoltre, gli scienziati hanno dimostrato che la riduzione dei livelli di VLCFA e S1P utilizzando farmaci noti, Bezafibrato e Fingolimod, ha avuto un effetto benefico sinergico sulle patologie della SM in un modello animale, rivelando un trattamento ancora più efficace per i pazienti affetti da SM. Uno studio precedente del laboratorio Bellen ha dimostrato che la perdita della versione moscerina del gene dACOX1 ha ridotto la durata della vita, causato disfunzioni neuronali e motorie e alla fine ha portato alla scomparsa di neuroni e glia nei moscerini.
Il gene ACOX1 codifica un enzima necessario per la scomposizione dei VLCFA. In questo studio, i ricercatori si sono proposti di comprendere gli esatti passaggi molecolari attraverso i quali l’assenza di dACOX1 provoca la perdita di neuroni e glia. Hanno scoperto che gli effetti tossici dati dalla perdita di dACOX1 potrebbero essere soppressi abbattendo la funzione della ELOVL con il bezafibrato, un farmaco che abbassa i trigliceridi. Questi dati hanno ulteriormente supportato le loro precedenti osservazioni secondo cui l’eccesso di VLCFA è dannoso per le cellule nervose. Quindi i ricercatori hanno valutato in che modo l’aumento dei livelli di VLCFA nella glia (astrociti) ha influenzato il metabolismo di altri lipidi. Hanno eseguito un’analisi spettrometrica di massa di 26 lipidi ottenuti da teste di mosche adulte a cui mancava la versione della mosca del gene ACOX1. Hanno scoperto che due intermedi lipidici, le ceramidi molto lunghe (VLC) e la sfingosina-1-fosfato (S1P) – erano significativamente più alti nella glia.
Ulteriori studi hanno rivelato che l’eccesso di S1P gliale veniva trasportato ai neuroni e questo aumento dei livelli di S1P era dannoso per la sopravvivenza sia della glia che dei neuroni ed era sufficiente a causare il malfunzionamento e la degenerazione di queste cellule. In particolare, hanno scoperto che l’integrazione delle mosche mutanti dACOX1 con Fingolimod, un farmaco per la SM noto per legare i livelli dei recettori S1P, ha portato a notevoli miglioramenti nella vitalità complessiva, nella funzione neuronale e, soprattutto, nella neurodegenerazione ritardata in queste mosche. Insieme, i loro dati forniscono prove convincenti che l’accumulo di S1P, un prodotto chiave del catabolismo VLCFA, è la causa principale della scomparsa della glia e dei neuroni nei mutanti dACOX1. La forte soppressione dei sintomi neurodegenerativi nelle mosche mutanti dACOX1 da parte del Fingolimod, ha portato gli scienziati a chiedersi se i VLCFA elevati condizionassero le risposte immunitarie.
Curiosamente, le mosche prive di ACOX1 avevano diverse grandi masse melanotiche nere in tutto il corpo, tra cui la testa, gli occhi, i margini delle ali e l’addome. Tipicamente, la melanizzazione è una reazione immunitaria immediata dispiegata negli artropodi come le mosche quando vengono attaccati da agenti patogeni e parassiti. Tuttavia, la presenza di masse melanotiche in queste mosche ha suggerito che l’assenza di dACOX1 induce una risposta autoimmune per cui le cellule immunitarie interpretano erroneamente la presenza di una molecola innocua come un segno di un’invasione cellulare; e montano un attacco ingiustificato che distrugge le proprie cellule. Successivamente hanno chiesto se la perdita di dACOX1 attivasse anche altre vie immunitarie. Le mosche hanno due principali vie immunitarie – le vie Toll e l’immunodeficienza (Imd) – che controllano le risposte immunitarie inducibili a batteri e funghi, mediante la produzione sistemica di citochine e peptidi antimicrobici all’attivazione del fattore nucleare NF-KB.
In particolare, gli autori hanno scoperto che l’elevata S1P nella glia delle mosche attiva NF-kB, che a sua volta aumenta i livelli di trascrizione di diversi geni AMP coinvolti nella via IMD. Inoltre, le cellule immunitarie circolanti vengono reclutate nel sistema nervoso centrale. Entusiasti di questi risultati, il team ha quindi esplorato il ruolo dei VLCFA ed S1P elevati nella progressione della SM. Il modello di vertebrato più comunemente studiato per studiare la SM è l’encefalomielite autoimmune sperimentale (EAE), in cui ai topi vengono iniettati frammenti di mielina per indurre patologie simili alla SM e risposte immunitarie. In primo luogo, è stato riscontrato che il trattamento pre-sintomatico di questi topi con bezafibrato (che inibisce la sintesi dei VLCFA), ha rallentato la progressione della patologia EAE riducendo la demielinizzazione e l’infiltrazione di cellule immunitarie nel cervello. Questi risultati hanno dimostrato che questo farmaco può rallentare la progressione di questo disturbo debilitante.
Gli effetti combinati di questi farmaci sono stati significativamente migliori dell’effetto di entrambi i farmaci da soli in ogni parametro che è stato testato, suggerendo che una terapia combinata sarà più efficace e offrirà risultati migliori per i pazienti con sclerosi multipla. E non sarà neppure tanto complicato: il bezafibrato è approvato da decenni ed è molto maneggevole e con effetti collaterali limitati.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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