Introduzione
Il veleno d’api, noto anche come apitossina, è un fluido complesso secreto dalla ghiandola velenifera situata nella cavità addominale e iniettato nelle vittime da un pungiglione. La puntura provoca dolore, infiammazione locale, effetto anticoagulante e risposte immunitarie. I costituenti del veleno d’api comprendono peptidi, di cui quelli principali sono la melittina e l’apamina, enzimi come la fosfolipasi A2 e piccole ammine bioattive come l’istamina e le catecolamine (Lee et al., 2016). Nel veleno dell’ape ci sono almeno un’altra decina di componenti, ma solo i principali saranno trattati, assieme alle proprietà biologiche e le possibilità terapeutiche da esplorare.
Melittina
La melittina è un peptide di 26 aminoacidi, con attività biologiche distinte e ha suscitato molto interesse dal punto di vista farmacologico e biotecnologico. Il meccanismo di tossicità consiste nella distruzione delle membrane cellulari, portando alla lisi cellulare e al rilascio di composti nocivi ai tessuti come enzimi lisosomiali, serotonina e istamina, scatenando infiammazione e dolore. Insieme alla ialuronidasi e fosfolipasi A2, la melitina è responsabile delle proprietà allergeniche del veleno. Sembra anche una delle principali cause di induzione del dolore da parte del veleno stesso (Chen et al., 2016).
In contrasto con la sua tossicità, la melittina è conosciuta come un tradizionale rimedio antinfiammatorio per varie malattie, come dermatite, neurite, infiammazione del fegato, aterosclerosi e artrite, ma il meccanismo d’azione a livello cellulare non è stato chiarito. La capacità di interagire con le membrane biologiche conferisce forti proprietà antibiotche alla melittina, che hanno attratto l’interesse per la lotta contro i patogeni umani, come lo stafilococco multi-resistente (Choi et al., 2015). Le attività antitumorali della melittina sono state riportate da diverse fonti, mentre i tentativi di chiarire i meccanismi molecolari sono stati fatti con studi in vitro (Gajski e Garaj-Vrhovac, 2013).
Apamina
L’apamina è un piccolo peptide di 18 aminoacidi. Esercita un meccanismo di tossicità altamente specifico, costituito da un blocco di canali di potassio (canali SK) (Habermann, 1984), espressi nel sistema nervoso centrale e in altri distretti, come il sistema cardiovascolare e la muscolatura liscia (Adelman et al. 2012). A causa della sua capacità di selezionare selettivamente i canali SK del potassio, l’apamina è stata usato come strumento per la caratterizzazione fisiologica di questo tipo di corrente. Su una base farmacologica, tale proprietà è stata adottata come un paradigma esplicativo, per accumulare prove che l’apamina facilita l’apprendimento e la memoria.
L’apamina può attraversare la barriera emato-encefalica e la sua somministrazione agli animali migliora i deficit cognitivi, suggerendo che i canali SK del potassio sarebbero appropriati bersagli nel trattamento di questi disturbi nervosi. Inoltre, è stata esplorata la possibilità di utilizzare analoghi apaminici o meno tossici come barriera emato-encefalica e navette per il rilascio di farmaci. I canali SK sono noti per essere coinvolti nel morbo di Parkinson. Coerentemente con questa premessa, un importante prospettiva per gli usi neuro-terapeutici dell’apamina deriva dalla sua capacità di proteggere i neuroni dopaminergici dalla degenerazione in modelli sperimentali di Parkinson.
Fosfolipasi A2
La fosfolipasi A2 (PLA2) idrolizza i lipidi complessi per produrre un acido grasso e vari prodotti di reazione, inclusi acido lisofosfatidico, lisofosfatidilcolina e sfingosina fosfato. Questi ultimi esercitano effetti citotossici e immunostimolatori su vari tipi di cellule, scatenando infine risposte immunitarie e infiammazioni. La fosfolipasi A2 è il principale allergene del veleno d’api e ha epitopi riconosciuti da soggetti allergici e non allergici (Okano et al., 1999). Tuttavia, la PLA2 ha anche proprietà traducibili in trattamenti terapeutici. Ha esercitato effetti neuroprotettivi in un modello murino del morbo di Parkinson attivando i linfociti T regolatori (Treg) che sono noti per mediare la tolleranza immunitaria periferica (Chung et al., 2015). La somministrazione sistemica di PLA2 a un modello animale di dolore neuropatico ha alleviato l’allodinia fredda e meccanica attraverso l’attivazione dei recettori alfa2-adrenegici.
È stato inoltre dimostrato che la PLA2 agisce in cooperazione con fosfolipidi nell’indurre la morte in vitro di diverse linee cellulari tumorali (Putz et al., 2006). Il veleno è stato tradizionalmente utilizzato in agopuntura e apiterapia, consistente nella sua iniezione al paziente come analgesico, contro il dolore cronico e l’infiammazione, e per altri scopi come l’immunoterapia e il trattamento di Parkinson. Sono stati riportati numerosi effetti antitumorali, insieme a proprietà antimutageniche, antidolorifiche e radioprotettive. È stato introdotto l’uso farmaceutico approvato, mentre sono stati fatti tentativi di validazione del trattamento clinico per il dolore cronico. Tuttavia, come detto i diversi costituenti del veleno d’api sono allergenici e in soggetti ipersensibili può arrivare a produrre un esito fatale (Gelder et al., 1996).
Un impiego già noto dell’apiterapia è il trattamento della sclerosi multipla. La terapia di questa patologia ha dei cardini stabiliti ma sono tutti provvisti di effetti collaterali. La letteratura scientifica ufficiale riporta accenni sin dagli anni Sessanta e Settanta ma nessuno studio controllato è stato fatto sino al 2005. Alcuni ricercatori (Wesslius T et al.) riportano che dopo 3 mesi di trattamento con terapia standard o apiterapia, non si è riusciti a notare una differenza o miglioramenti clinici. Un altro studio del 2005 ha riportato sicurezza del trattamento con veleno d’api in soggetti affetti da SM di età compresa fra i 21-55 anni. Su tredici soggetti testati, 4 hanno avuto peggioramento dei sintomi, cinque hanno tratto beneficio personale e solo due hanno avuto evidenza clinica dimostrabile. Uno studio più diretto eseguito su ratti di laboratorio è stato pubblicato otto anni fa (Karimi A et al. 2012).
Esistono, poi, reports personali e casistiche libere (non controllate) di soggetti che si sottopongono o si sono sottoposti ad apiterapia stagionale, per il trattamento dei sintomi motori della loro malattia. La regione più frequentemente trattata è la schiena, in corrispondenza delle sporgenze ossee della colonna vertebrale. Nonostante il dolore causato dalla puntura nella zona di inoculazione, questo non sembra durare così tanto come nelle persone normali. L’apamina del veleno dell’ape è, come detto, un bloccante dei canali del potassio coinvolti nella percezione del dolore e nella comunicazione cellulare. La PLA2, invece, è capace di modulare le cellule immunitarie Treg. Insieme, quindi, potrebbero influire sulla componente sia nervosa che immunitaria dei soggetti colpiti dal disturbo, contribuendo al miglioramento soggettivo riferito e alla loro qualità della vita.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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