Centrali elettriche, industrie chimiche, industrie metallurgiche, campo del tessile, plastiche e microplastiche, emissioni degli autoveicoli e quelli aerei; mettiamoci gli incendi a perdita d’occhio, le eruzioni vulcaniche e il quadro dovrebbe essere completo. E invece no: il sistema sanitario, esatto, proprio quello che dovrebbe prendersi cura della salute globale, è dentro con la sua fetta “inquinante”. Il suo contributo maggiore dipenderebbe dall’uso delle plastiche; in secondo piano la produzione di scarti chimici da gestire evitando di riversarli nell’ambiente. Le sue emissioni proverrebbero dalla produzione chimica (combustibili fossili e prodotti chimici) e dalla catena di approvvigionamento sanitaria, che comprende, produzione, trasporto, utilizzo e smaltimento dei beni sanitari.
E’ stato stimato, in base ai dati disponibili del 2014, che il sistema sanitario mondiale inquinava come l’equivalente di 500 centrali a carbone. Non è una stima che lascia indifferenti, considerando l’emergenza climatica che stiamo attraversando. I dati provenienti da Francia e Inghilterra stimano che l’intera filiera dei farmaci potrebbe essere responsabile fino al 30% delle emissioni registrate. E non si pensi che l’Italia ne sia fuori: dalle stime pre-COVID si è rilevato che il sistema sanitario italiano (SSN) produce oltre 200.000 tonnellate di rifiuti connessi, di cui almeno il 35% sono materie plastiche. Ma perchè finora non se ne è parlato? In realtà, non è un argomento mediatico ricorrente e la posizione dei sistemi sanitari nazionali è stata debole, per le qualsivoglia ragioni di ordine economico e/o politico.
Eppure c’è già chi ha avanzato le sue proposte di correre ai ripari. Il sistema nazionale sanitario britannico (NHS) si propone di arrivare all’impatto zero entro il 2045, condiviso da altri 13 paesi. Purtroppo Italia, Germania, Francia e Stati Uniti devono mobilitarsi sull’argomento; e opare che ci sia una imposizione per loro entro il 2050. Nel febbraio dell’anno scorso, l’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEA) ha varato un provvedimento pre sviluppare uno strumento internazionale, giuridicamente vincolante, sull’inquinamento da plastica con l’obiettivo di completare i negoziati entro la fine del 2024. Lo scorso novembre la UE ha aderito alla proposta High Ambition Coalition to End Plastic Pollution (HACEPP), confermando l’intenzione di aderire all’accordo globale per abbattere l’inquinamento da plastiche entro il 2040.
Anche perchè non abbatterebbe solo il problema della plastica o delle microplastiche, ma anche quello dei composti chimici battezzati “interferenti endocrini” (EDC) presenti nelle palstiche stesse, che hanno vari azioni biologiche. Una classe di EDC incriminata è quelle degli ftalati, plastificanti che servono ad impedire che carta, cartone e involucri assorbano acqua e composti oleosi. Il problema è che gli ftalati sono antagonisti di funzioni endocrine dipendenti da ormoni estrogeni, androgeni e tiroidei. Sono stati già sospettati di causare diabete, obesità, infertilità e aumentato rischio di tumore uterino e alla prostata. Questo negli adulti; gli ftalati in ambito gravidico, pediatrico e adolescenziale è stato dimostrato causare difetti di maturazione sia organica che sessuale (es. criptorchidismo e ipospadia nei maschi).
Ancora una volta, come in ogni cosa, sono le fasce più fragili a fare le spese delle irresponabilità degli adulti. Il lato buono (o meglio della speranza) è che se ne comincia a parlare e che le autorità compententi in materia cerchino di regolamentare il fenomeno a livello giuridico. Altrimenti, buona fortuna a chi arriva a vederlo, quel 2050.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.