Nel 2022, circa 2,9 milioni di persone in tutto il mondo sono state stimate avere la sclerosi multipla (SM). Attualmente non esiste una cura finale e i sintomi della malattia possono diventare gravi nel tempo, causando problemi permanenti. Mentre il corpo attraversa un ciclo di riacutizzazioni e remissioni dei sintomi, la gravità della malattia può aumentare, portando a problemi di mobilità permanenti, perdita della vista e persino forme di paralisi. Ora, i ricercatori dell’Università della California, a San Francisco, hanno scoperto il primo marcatore genetico associato alla gravità e alla sua progressione. Per questo studio, il Dr. Sergio Baranzini, professore di Neurologia e co-autore senior dello studio, ha affermato che lui e il suo team hanno deciso di cercare una variante genetica correlata alla progressione più rapida della SM, perché la malattia si evolve in modo diverso in ogni persona dopo la diagnosi. Gli scienziati ritengono che questa scoperta possa aiutare nello sviluppo di nuovi farmaci per aiutare a rallentare la progressione della malattia.
Il dottor Baranzini e il suo team hanno utilizzato i dati di due grandi consorzi di ricerca sulla SM, The International Multiple Sclerosis Genetics Consortium (IMSGC) e The Multiple MS Consortium. I dati di entrambi i gruppi sono stati combinati per fornire i dati di oltre 12.500 persone con SM per uno studio di associazione su tutto il genoma (GWAS). Da lì, gli scienziati dello studio hanno setacciato oltre 7,5 milioni di varianti genetiche, trovandone infine una associata a una maggiore progressione della malattia nelle persone con SM. Questa variante specifica si trova tra due geni senza alcuna precedente connessione con la malattia, chiamati DYSF e ZNF638. Il primo aiuta a riparare le cellule danneggiate e ZNF638 aiuta a controllare le infezioni virali. Per assicurarsi che i loro risultati fossero corretti, il dottor Baranzini e il suo team hanno poi esaminato la genetica di quasi 10.000 persone con SM. Hanno scoperto che quelli con due copie di quella variante hanno sperimentato una progressione più rapida che ha portato alla disabilità.
Secondo il dott. Baranzini, questi risultati dei dati aiuteranno a spianare la strada a una nuova classe di terapie che affronteranno la progressione e probabilmente prenderanno di mira il sistema nervoso centrale: “La progressione neurologica è una caratteristica comune nelle persone con sclerosi multipla, che è inesorabile e indipendentemente dal fatto che le ricadute siano controllate o meno. Alcune persone hanno una malattia molto aggressiva che può avere un impatto sulla loro mobilità e funzione neurologica in pochi anni, mentre altre sperimentano un decorso molto più benigno. Sapevamo che la genetica è importante per il rischio, ma questa variabilità dei risultati ha suggerito che la genetica può anche svolgere un ruolo nella gravità. Tutti i farmaci sviluppati per controllare le ricadute sono immunomodulatori, il che corrisponde alla genetica delle oltre 200 varianti associate al rischio di SM. La genetica della gravità della malattia ora suggerisce che il sistema nervoso centrale dovrebbe essere il bersaglio di questa nuova classe di terapie”.
In verità, la causa esatta della malattia non è ancora chiara, ma una caratteristica centrale è la perdita dello strato protettivo isolante degli assoni – le connessioni neuronali nel sistema nervoso centrale – che è innescata da processi autoimmuni. Il rivestimento degli assoni, noto come mielina, è formato da cellule gliali altamente specializzate (gli oligodendrociti) e consente la rapida trasmissione degli impulsi elettrici nervosi. Ad oggi, si è ipotizzato che nella SM gli oligodendrociti e la mielina siano degradati dalle cellule immunitarie e che gli assoni allora vulnerabili subiscano danni irreversibili a seguito di ulteriori processi infiammatori locali. La perdita di assoni gioca un ruolo decisivo nella gravità della SM nei pazienti e nel corso della malattia. Una recente ricerca condotta da un team di scienziati dell’Università di Lipsia e del Max Planck Institute for Multidisciplinary Sciences di Gottinga suggerisce che la comprensione della malattia ora deve cambiare.
In quest’ultima ricerca, gli scienziati sono stati in grado di dimostrare che la mielina, che in precedenza era considerata una struttura esclusivamente protettiva, può effettivamente minacciare la sopravvivenza degli assoni. Questo è il caso, ad esempio, quando le guaine mieliniche sono state attaccate dalle cellule immunitarie, ma continuano a circondare gli assoni e quindi a isolarli dall’ambiente. Gli oligodendrociti non sono solo responsabili della formazione della mielina. Svolgono anche importanti funzioni che supportano il metabolismo energetico degli assoni. Gli assoni mielinizzati, in particolare, dipendono fortemente dal supporto metabolico perché da soli hanno scarso accesso ai nutrienti. Il supporto degli assoni mielinizzati attraverso una guaina mielinica richiede che l’architettura della mielina sia intatta, compresi gli stretti canali di comunicazione tra gli oligodendrociti e gli assoni. Siccome questo nella malattia non avviene, si rischia di fare più danno che altro.
Per testare la loro ipotesi, i ricercatori hanno esaminato campioni di tessuto di pazienti con sclerosi multipla, nonché vari modelli murini di questa malattia per simulare sperimentalmente l’attacco autoimmune alla mielina. Per la prima volta, i ricercatori sono stati in grado di dimostrare mediante microscopia elettronica, nei campioni di tessuto dei pazienti, che il danno irreversibile si verifica quasi sempre negli assoni che sono ancora rivestiti di mielina. Al contrario, utilizzando modelli murini geneticamente modificati, i ricercatori sono stati in grado di dimostrare che gli assoni “nudi” in una regione infiammatoria acuta del cervello sono meglio protetti dalla degenerazione. Sfidando l’immagine prevalente della mielina come struttura esclusivamente protettiva, gli scienziati possono ottenere una comprensione più profonda della malattia e, potenzialmente, sviluppare nuove strategie terapeutiche che manterranno la funzionalità degli assoni.
In parole povere, invece di preservare la mielina danneggiata potrebbe essere terapeuticamente migliore promuovere effettivamente la sua rapida degradazione e supportare la rigenerazione delle funzioni. L’ennesima dimostrazione pratica del vecchio proverbio “Non si finisce mai di imparare”. Infine, sempre questo mese è stata fatta un’altra scoperta: ricercatori del Dipartimento di Microbiologia, Immunologia e Biologia del Cancro dell’Università dellea Virginia hanno identificato una serie di processi cellulari che sopprimono il nostro rischio di sviluppare la sclerosi multipla. A capo di questi processi c’è un gene che funge da controllore principale per molti altri geni importanti per la suscettibilità alla SM e per il corretto funzionamento del sistema immunitario. Il gene principale che hanno identificato, DDX39B, è un importante custode della tolleranza immunitaria in modo che il sistema immunitario non inizi ad attaccare le cellule del corpo, come nel caso della SM e di altre malattie autoimmuni.
DDX39B è un enzima della famiglai delle RNA elicasi e lavora gli RNA messaggeri preparandoli alla loro traduzione a proteine. Questo gene principale, hanno scoperto i ricercatori, dirige l’attività di un altro gene fondamentale nella produzione di importanti cellule immunitarie chiamate linfociti T regolatori (Tregs) precedentemente collegati alla SM. Questo secondo gene, FOXP3, è un fattore di trascrizione nucleare già noto per svolgere un ruolo fondamentale nelle malattie autoimmuni. La sclerosi multipla ha un impatto enorme sui pazienti e sulla società, colpendo in modo sproporzionato le giovani donne. Queste nuove intuizioni su come funziona, o dovrebbe funzionare, il sistema immunitario, aiutano medici e scienziati a comprendere meglio le cause alla base della sclerosi multipla e forniscono loro obiettivi per sviluppare nuovi trattamenti “personalizzati” o misure preventive.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Schäffner E et al. Nature Neurosci 2023 Jun 29; in press.
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