La sclerosi laterale amiotrofica o SLA, nota anche come morbo di Lou Gehrig, è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce le cellule nervose del cervello e del midollo spinale. Porta alla graduale perdita del controllo muscolare, con conseguente paralisi e difficoltà nel parlare, deglutire e respirare. La causa esatta della SLA non è completamente compresa e attualmente non esiste una cura per la malattia. Esistono due tipi di SLA: la SLA familiare, che si trasmette attraverso le famiglie e rappresenta circa il 10% dei casi, e la SLA sporadica, che si manifesta senza alcuna storia familiare e costituisce circa il 90% dei casi. Un’ultima ricerca si è concentrata sulla SLA sporadica, una forma infiammatoria della malattia. Ciò significa che in questo caso le cellule immunitarie come i linfociti T citotossici, i mastociti e i macrofagi infiammatori attaccano erroneamente i neuroni nel cervello e nel midollo spinale, come una sorta di autoimmunità.
Questa nuova ricerca suggerisce che prendere di mira l’infiammazione autoimmune associata alla SLA utilizzando due farmaci, uno dei quali già approvato per la sclerosi multipla, potrebbe essere un approccio promettente di trattamento. Per testare la loro ipotesi, i ricercatori del Dipartimento di Biologia e Fisiologia Integrativa dell’UCLA guidati da Milan Fiala, MD, della David Geffen School of Medicine hanno trattato le cellule immunitarie di pazienti affetti da SLA sporadica con due sostanze: il dimetilfumarato (DMF) e il cosiddetto H -151. Il DMF è un farmaco già approvato per il trattamento della sclerosi multipla. H-151 ha dimostrato di bloccare l’autoimmunità nei modelli di laboratorio. È un antagonista della via cGAS-STING regolata dagli interferoni. La proteina stimolatore dei geni dell’interferone (STING) si impegna nel rilevamento del DNA citosolico per avviare le risposte immunitarie guidate da frammenti di DNA libero.
Gli scienziati hanno esaminato le citochine e i regolatori delle citochine durante il decorso della malattia e hanno scoperto che, sin dagli stadi iniziali, le cellule mononucleate del sangue periferico mostrano una maggiore espressione dei fattori di trascrizione STAT3 e STAT4, che a loro volta potenziano le citochine infiammatorie IL-12A, IFN-γ e TNF-α, così come il granzima. Nelle fasi successive, i globuli bianchi hanno sovraregolato le citochine IL-23A e IL-17B associate all’autoimmunità e le chemochine CXCL9 e CXCL10. Queste attirano cellule T citotossiche e monociti nel cervello. L’infiammazione è alimentata dalla downregulation di IL-10, TGFβ e dei co-recettori inibitori delle cellule T CTLA4, LAG3 e PD-1 e, in vitro, dalla stimolazione con il ligando PD-L1. Sia DMF che H-151 hanno sottoregolato l’espressione di granzimi, interleuchine e IFN-γ e hanno indotto un fenotipo macrofagico risolvente dell’infiammazione.
I ricercatori hanno anche scoperto che l’effetto del DMF era potenziato se combinato con gli acidi epossi-eicosatrienoici (EETs), acidi grassi prodotti dalle cellule ma che si possono trovare anche nella dieta. I ricercatori non sanno perché gli acidi EETs hanno questo effetto sinergico. Gli EETs sono antinfiammatori (antagonisti della ciclo-ossigenasi), condizionano certi flussi ionici cellulari (antiporto sodio-protoni) e promuovono la ricrescita degli assoni cellulari, sebbene tutti i meccanismi dietro a questi effetti siano ancora oscuri. E’ possibile che qualcuno di questi meccanismi possa essere responsabile degli effetti sinewrgici. I ricercatori affermano che sulla base di questi risultati, DMF e H-151 dovrebbero essere considerati potenziali candidati per uno studio clinico per mirare all’infiammazione autoimmune nella SLA che non risponde alle attuali terapie. E vogliono chiedere l’approvazione per una sperimentazione clinica, dopo ulteriori indagini sulle cellule immunitarie di altri pazienti affetti da SLA.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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