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Antibiotico-resistenza resta “alta emergenza”: e l’inquinamento atmosferico gli apre la strada

La resistenza agli antibiotici rimane un problema urgente di salute pubblica, poiché milioni di persone muoiono ogni anno a causa di infezioni batteriche causate da agenti patogeni che sono diventati resistenti a più antibiotici. Nel 2019, circa 1,3 milioni di decessi sono stati attribuiti alla resistenza agli antibiotici, che è quasi il doppio del numero stimato riportato nel 2016. La resistenza agli antibiotici è il risultato dell’uso eccessivo e improprio degli antibiotici. In particolare, i geni responsabili della resistenza agli antibiotici vengono trasferiti tra i batteri. Sia questi geni che i batteri resistenti possono diffondersi rapidamente in tutto il mondo, così come attraverso le specie e gli ecosistemi. I batteri e i geni resistenti agli antibiotici sono comunemente isolati da ospedali e allevamenti, dove successivamente entrano nei sistemi fognari e in altre parti dell’ecosistema, tra cui l’aria.

L’aria è la via principale per la diffusione atmosferica della resistenza agli antibiotici, con il particolato fine 2.5 (PM2.5) noto per contenere più tipi di questi batteri e geni. Il PM2.5 da solo può permeabilizzare la membrana cellulare, facilitando così il trasferimento efficiente dei geni di resistenza agli antibiotici tra i batteri. Ciò può contribuire allo scambio più rapido di questi elementi e, in ultima analisi, accelerare l’evoluzione di elementi di resistenza agli antibiotici più letali. Uno studio appena pubblicato ha fornito prove quantitative di come il PM2.5 influisca sulla resistenza agli antibiotici. A tal fine, sono stati ottenuti dati da oltre 11,5 milioni di isolati in coltura, con 43 tipi di antibiotici testati contro nove agenti patogeni tra cui Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae ed Escherichia coli.

Un’associazione significativa di PM2.5 è stata osservata con la resistenza agli antibiotici in varie regioni del mondo. Questa relazione è stata costantemente osservata con la maggior parte dei batteri resistenti agli antibiotici, con un aumento dipendente dal tempo della forza dell’associazione. Il PM2.5 è il singolo fattore più importante, in quanto supera gli effetti dell’uso di antibiotici, della fornitura di acqua potabile e della spesa sanitaria corrente. L’abbondanza di geni di resistenza agli antibiotici nel PM2.5 è maggiore che nel suolo, nei fiumi, nei sedimenti e in alcuni sistemi di trattamento. Ad esempio, con K. pneumoniae, un aumento dell’1% del PM2,5 è stato associato a un aumento dell’1,5% della resistenza ai carbapenemi ed agli aminoglicosidi; mentre la resistenza ad altri antibiotici comuni quali amoxicillina-clavulanato, fluorochinoloni, polimixine e cefalosporine di terza generazione è aumentata dello 0,6-1,4%.

L’aumento della resistenza agli antibiotici era dovuto all’acquisizione di elementi di resistenza attraverso il PM2.5. Nel 2018, ciò ha rappresentato circa 500.000 morti premature, il che equivale a una perdita di quasi 18 milioni di anni di vita in tutto il mondo. In termini di spesa sociale, la conseguenza finanziaria della resistenza agli antibiotici è stimata in 400 miliardi di dollari all’anno. Complessivamente, ogni unità di aumento del PM2,5 potrebbe portare a un aumento della resistenza agli antibiotici dello 0,43%, che è paragonabile all’aumento dello 0,48% per unità di aumento dell’uso di antibiotici. Il PM2,5 è stato tra i fattori principali della resistenza agli antibiotici, poiché rappresentava circa l’11% delle variazioni. Nel nord Africa e nell’Asia occidentale, la resistenza agli antibiotici è salita a circa il 20%.

Questi continenti hanno attualmente i più alti tassi di resistenza agli antibiotici e probabilmente soffriranno maggiormente dell’aumento dei livelli di PM2,5. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha stabilito uno standard di qualità dell’aria che raccomanda non più di cinque μg/m3 di PM2,5. Se i paesi di tutto il mondo raggiungeranno questo standard entro il 2050, la prevalenza globale della resistenza agli antibiotici diminuirà probabilmente di circa il 17%, oltre a prevenire circa il 25% delle morti premature e un risparmio annuo di circa 640 miliardi di dollari. Senza intervento, la resistenza agli antibiotici aumenterà di circa il 17%, con decessi annuali per infezioni resistenti che salgono anch’essi al 56%, pari a circa 840 mila di decessi nel 2050. Si vuole sottolineare che vari interventi hanno ridotto con successo gli esiti avversi associati alla resistenza agli antibiotici.

Alcune di queste misure includono il raddoppio dell’attuale spesa sanitaria, la riduzione dell’attuale uso di antibiotici di almeno il 50%, il raggiungimento dei livelli di PM2,5 standard dell’OMS e l’accesso universale all’acqua potabile di base. Come si può vedere, i cambiamenti climatici frutto delle attività umane hanno messo in moto meccanismi aggiuntivi di compenso o disregolazione che minacciano la nostra razza. Molti non sono consapevoli dei numeri citati sopra, ma le infezioni mortali tipo setticemie avvengono ogni giorno nel mondo, anche in Italia. E nonostante la copertura antibiotica da linee guida e la tipizzazione del batterio responsabile tramite antibiogramma. La comunità scientifica è consapevole, per esempio, dell’escalation del fungo patogeno Candida auris, che è quasi del tutto insensibile ai farmaci ed ha già fatto vittime anche nel nostro paese.

E c’è chi ha ipotizzato che la pandemia di COVID-19 sia stata un allarme generale infettivologico del disastro ambientale e climatico in atto e che stenta a recedere. Nessuna prova al riguardo, ma non farebbe meraviglia se si trovasse.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Zhou Z et al. Lancet Planet Health. 2023 Aug; 7(8):e649-e659.

Zhou Z, Shuai X et al. J Environ Sci (China). 2022; 122:62-71.

Zhou ZC, Liu Y, Lin ZJ et al. Environ Int. 2021 Aug; 153:106501.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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