La malattia di Parkinson provoca sintomi ad ampio raggio; alcuni non sono visibili ma altri eventualmente non possono essere nascosti. Questi possono includere tremore, movimenti involontari, difficoltà di equilibrio, postura curva, sbavatura e “mascheramento facciale” – una perdita di controllo muscolare che si traduce nell’incapacità di mostrare correttamente le espressioni facciali. La malattia di Parkinson comporta un carico di malattia che comprende sintomi sia visibili che invisibili. Lo stigma che ne deriva può portare ad ansia sociale e isolamento, riluttanza a cercare cure mediche, solitudine, depressione e ansia. Infatti, una revisione sistematica della letteratura ha rilevato che il 35% delle persone con Parkinson manifesta sintomi di depressione clinicamente significativi, mentre la prevalenza dell’ansia è stimata al 25%. Le concettualizzazioni di queste esperienze hanno tradizionalmente assunto una base neurobiologica, suggerendo che il disagio psicologico si verifica come conseguenza diretta di processi patologici.
Tuttavia, oltre al ruolo riconosciuto dei cambiamenti neurobiologici, prove crescenti suggeriscono che i fattori sociali e psicologici sono importanti nello sviluppo del disagio psicologico. In particolare, due fattori psicosociali attualmente poco esplorati che potrebbero essere rilevanti per una comprensione più completa del disagio psicologico tra le persone con Parkinson sono lo stigma e l’autocompassione. Anche i migliori approcci terapeutici per la malattia di Parkinson sono inadeguati se non affrontano i sentimenti di rifiuto sociale, isolamento e altri effetti psicosociali dei pazienti, che possono comprendere quelli dello stigma. Un nuovo rapporto, redatto in collaborazione dal neurologo e ricercatore dell’UCLA Health Dr. Indu Subramanian, afferma che molte idee sbagliate e pregiudizi fanno sì che i pazienti con Parkinson siano stereotipati, svalutati ed evitati, il che, insieme alla progressiva perdita di indipendenza, spesso portano a “auto-convinzione-stigma”, con un calo dell’autostima.
Il Dr. Subramanian, neurologo e ricercatore della UCLA Health, si prende cura del lato “invisibile” di questa malattia, che come tutti sanno ha un elevato grado di disabilità progressiva che spesso resiste alle terapie convenzionali. Egli afferma che è noto che lo stigma ha un impatto negativo sulla qualità della vita dei pazienti con Parkinson, ma sono state condotte poche ricerche sull’argomento. E si è espresso in questo modo: “Anche se i sintomi motori e le limitazioni della malattia di Parkinson devono essere al centro della diagnosi e del trattamento, se ci occupiamo solo della disfunzione neurologica senza perseguire anche le cause e gli effetti dei disturbi dell’umore, renderemo un grave disservizio ai nostri pazienti. Lo stigma non è semplicemente un piccolo inconveniente associato a questa malattia. Contribuisce in modo significativo alla qualità della vita. Qualsiasi malattia cronica può provocare cambiamenti nell’aspetto fisico e nelle funzioni corporee, distorcendo non solo il concetto di sé di una persona, ma anche il modo in cui la persona viene percepita dagli altri. Le persone spesso esprimono giudizi su chi ha la malattia di Parkinson, in particolare se ha sintomi visibili come la postura curva, le anomalie dell’andatura, il mascheramento del viso e il tremore, queste percezioni di “disabilità” perpetuano stereotipi negativi e la conseguente svalutazione sociale”.
Il nuovo articolo esamina i risultati di studi precedenti su stigma, isolamento sociale, stress, vergogna e altri fattori correlati prima di concentrarsi su come medici, équipe mediche, pazienti e sostenitori possono lavorare insieme per gestire gli effetti dello stigma. La sensibilizzazione è un inizio e gli operatori sanitari devono sviluppare uno strumento per valutare regolarmente lo stigma e identificarne gli effetti sui pazienti. E se non vengono avviati dal medico, i pazienti devono sentirsi abbastanza responsabilizzati da portare questi problemi all’attenzione del loro team medico. Subramanian e colleghi hanno sottolineato la necessità di implementare svariati punti al riguardo, in primis attraverso consulenza e focus individuali del paziente, “con interventi diretti alla conoscenza, al concetto di sé, all’autostima e allo sviluppo di capacità di coping”. Poi è giusto supportare i gruppi per migliorare l’autostima e le capacità di affrontare la situazione e ridurre l’isolamento. L’educazione non è da accantonare, compreso “fornire al grande pubblico informazioni accurate sulla malattia, sull’esperienza vissuta e contrastare i falsi presupposti su cui si basa lo stigma”. In altre parole, è possibile che lo stigma nasca non perché gli estranei lo risaltino, ma perché il paziente si comporta “sottolineandosi”.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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