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Vitamina K: un attore sottovalutato per le maggiori condizioni mediche nella salute pubblica

Vitamina K: connessioni con il microbiota intestinale e la dieta

La vitamina K alimentare è un modulatore dell’asse dieta-microbioma-salute; pertanto, i ricercatori stanno cercando prove di come influisce sulla composizione microbica intestinale e sulle attività metaboliche implicate con gli esiti sulla salute dell’ospite, specialmente negli anziani della popolazione generale. Nel 2020 le persone di età superiore ai 60 anni erano più numerose dei bambini al di sotto dei cinque anni e questa popolazione anziana quasi raddoppierà fino a raggiungere i 2,1 milioni, superando i giovani entro il 2050. Pertanto, vi è un urgente bisogno di attuare interventi sullo stile di vita che potrebbero effettivamente ridurre, prevenire o invertire malattie croniche legate all’invecchiamento.

La dieta o il modello alimentare è un forte determinante della salute umana ottimale. Il Global Burden of Diseases, Injuries, and Risk Factors Study (GBD) 2019 ha mostrato che una dieta povera, cioè povera di frutta e verdura, cereali integrali e ricca di alimenti trasformati/zuccheri, è il secondo e terzo fattore di rischio di morte su 13,5 % e 14,6% di donne e uomini a livello globale. Allo stesso modo, la Commissione EAT-Lancet ha sostenuto che il passaggio da una dieta industrializzata a una a base vegetale potrebbe evitare circa 11 milioni di morti. L’impatto di un’alimentazione sana come strategia preventiva e terapeutica per combattere l’invecchiamento potrebbe essere tanto immenso quanto semplice.

Il microbioma intestinale è un altro fattore chiave che media la relazione tra dieta e salute correlata all’età. Pertanto, svelare l’interazione tra dieta, microbioma intestinale e salute dell’ospite potrebbe aiutare a ideare una strategia salutare per promuovere un invecchiamento sano e ridurre il divario tra salute e durata della vita. Le verdure verdi sono la fonte primaria di vitamina K alimentare o vitamina K1 (fillochinone). La vitamina K2 (K2) è costituita da un gruppo di menachinoni (MK-n, varia da MK-4 a MK-13) è presente in tuorlo d’uovo, carne, fegato, formaggio, ricotta, natto e burro ed è biosintetizzata anche da certi ceppi di batteri intestinali.

Vitamina K e declino cognitivo: implicazioni per la salute pubblica

Il sistema nervoso centrale è stato collegato al microbiota intestinale attraverso l’asse intestino-cervello ed è fortemente associato a condizioni psichiatriche come, ansia, attacchi di panico, depressione e disturbi. In uno studio pubblicato recentemente, è stato studiato nei topi il ruolo della vitamina K2 (MK-7) nel declino cognitivo associato alla disbiosi intestinale. La disbiosi intestinale è stata indotta nei topi somministrando ampicillina per 14 giorni e vitamina K2 (0,05 mg/kg) per 21 giorni con o senza trattamento antibiotico; in seguito è stato determinato il profilo di espressione genica alterato dei microbi intestinali. Questo è stato seguito da studi comportamentali per valutare i cambiamenti cognitivi e da rilevamenti istopatologici, ossidativi e infiammatori cerebrali e intestinali nei tre gruppi di animali.

Con l’uso di antibiotici, la relativa abbondanza di Lactobacillus, Bifidobacterium, Firmicutes e Clostridium si è ridotta. Quando la vitamina K2 è stata aggiunta al farmaco, i loro livelli sono stati ripristinati. Il deterioramento cognitivo è stato osservato negli studi comportamentali nel gruppo antibiotico, ma questo calo è stato ripristinato nei topi trattati sia con un antibiotico che con vitamina K. I livelli di mieloperossidasi nel colon e nel cervello sono aumentati a causa della disbiosi intestinale, prevenuta dalla vitamina K2. Ciò vuol dire che questa vitamina serve non solo all’organismo. O meglio, il microbiota usa la vitamina K per stare in salute lui e poi fare stare in salute noi. E questo giustifica il motivo perché parte della vitamina K che ci serve viene prodotta dai batteri intestinali.

Ruolo di una dieta contenente vitamina K nell’invecchiamento sano

Mentre la vitamina K1 è una fonte alimentare di vitamina K, i menachinoni o vitamina K2 sono un sottoprodotto della biosintesi del microbioma intestinale. Il formaggio, una ricca fonte di grassi saturi, è un’altra buona fonte di K2. Poiché il fillochinone derivato da piatti pronti potrebbe avere una maggiore biodisponibilità rispetto a quello da frutta e verdura fresca, le domande fondamentali riguardanti la fonte alimentare e la biodisponibilità del fillochinone e dei menachinoni rimangono senza risposta. I cibi pronti come hamburger, pizza, patatine fritte, ecc., comprendono altre fonti di fillochinone, principalmente a causa degli oli vegetali utilizzati durante la loro preparazione, suggerendo una sottostima dell’assunzione di vitamina K1 nella dieta negli attuali pool di dati sul consumo alimentare.

Chiarire il legame tra dieta e salute, ad esempio la stima della dimensione della porzione, potrebbe aiutare a risolvere i dati equivoci da studi epidemiologici che valutano l’assunzione di nutrienti di vitamina K attraverso il richiamo dietetico. Sebbene gli studi abbiano coinvolto molti altri composti bioattivi nella ricerca sull’invecchiamento, studi osservazionali hanno scoperto che la vitamina K e le proteine dipendenti dalla vitamina K (VKDP) sono associate a un ampio spettro di malattie legate all’età. Sebbene l’impatto salutare della vitamina K sulla salute umana rimanga poco chiaro, gli studi hanno stabilito il suo effetto sui segni distintivi dell’invecchiamento, come l’instabilità genomica, la senescenza cellulare, la disfunzione mitocondriale e le anomalie epigenetiche.

La vitamina K guida i processi di invecchiamento cellulare e macromolecolare attraverso l’assorbimento diretto delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) e mitigandone i danni. La sua attività antinfiammatoria arresta anche i carichi infiammatori cronici di basso livello che accompagnano l’invecchiamento. Inoltre, la vitamina K inibisce l’attività del fattore di trascrizione infiammatorio NF-кB. Il corpo umano immagazzina piccole quantità di vitamina K e le sue riserve si esauriscono rapidamente in mancanza di integratori alimentari. Esistono studi che dimostrano che una diminuzione a breve termine dell’assunzione di vitamina K nella dieta non è compensata dai menachinoni sintetizzati dai batteri intestinali. In realtà, dieta sbilanciata, morbo di Crohn, cirrosi epatica, insufficienza renale cronica e terapie con antibiotici potrebbero causare una carenza di vitamina K.

Tuttavia, curiosamente, il corpo umano ha un sistema di riciclaggio della vitamina K che consente l’utilizzo di piccole quantità di vitamina K nella γ-carbossilazione delle VKDP. Esse sono coinvolte in vari percorsi fisiopatologici: ad esempio, la protrombina è un VKDP del sistema di coagulazione e le proteine ​​Gla extraepatiche, come la proteina Gla della matrice (MGP) svolgono un ruolo essenziale nella salute ossea e vascolare. Dati in crescita, inoltre, legano la carbossilazione delle VKDPs alla salute renale ed alla comparsa di malattia renale cronica (IRC), che rappresenta un onere sanitario notevole sia come dialisi che come stadi pre-dialisi che comportano terapie farmacologiche non indifferenti. Anche qui, il ruolo del microbiota nella IRC è dimostrato, soprattutto nella dialisi e negli effetti delle tossine metaboliche prodotte in caso di disbiosi.

Conclusioni

E’ stata un sorpresa per gli studiosi scoprire che in effetti anche con una dieta fatta di alimenti con poca vitamina K, c’è sempre la possibilità di compensare con altre forme di vitamina K presenti nei cibi lavorati o conservati. La vitamina K prodotta dai batteri intestinali è sempre stata giudicata come poco biodisponibile, ma il fatto che sia il microbiota che l’organismo ne abbiano bisogno indica che ha sicuramente i suoi ruoli biologici. Ecco perché ancora una volta uno dei dogmi centrali della medicina tradizionale giapponese ha precorso i tempi della medicina moderna: “La salute dell’uomo passa dall’intestino”. Il ruolo del microbiota nelle malattie reumatiche, neurodegenerative, nel diabete e nelle cardiovasculopatie è stato dimostrato; e solo queste rappresentano il 70% di tutto il carico sanitario mondiale, escludendo i tumori. Considerato che parliamo delle più comuni condizioni mediche del pianeta, sembra proprio che è necessario rivedere le nostre abitudini alimentari orientandole verso scelte più sane.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD; specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Dai L, Mafra D et al. Nutrients 2023 Jun; 15(12):2727.

Li XY, Meng L et al. Food Res Int. 2023; 169:112749.

Chatterjee K et al. Physiol Behav. 2023; 269:114252.

Kemp JA et al. Curr Nutr Rep. 2022; 11(4):765-779.

Dai L et al. PLoS One. 2021 Feb; 16(2):e0247623.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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