La depressione ha un peso sanitario enorme e, ancor di più, sulla qualità della vita di chi ne è affetto ed eventualmente di chi bada loro. A parte le cure farmacologiche e psicoterapiche, esistono trattamenti complemetari che possono o meno avere efficacia, soprattutto se combinati con i trattamenti convenzionali. Che nella depressione ci siano stravolgimenti di alcuni aspetti della chimica cerebrale, questo è indubbio. La teoria iniziale “monoaminergica”, implicava che difetti a carico dei neurotrasmettitori dopamina e serotonina fossero alla base del problema. Col passare dei decenni, si è appurato che solo un 30% dei pazienti ha realmente un sistema dopmainergico e/o serotoninergico difettosi. Il resto riconosce delle eziologie diverse, di origine traumatica, metabolica, carenziale e, con l’avvento delle conoscenze sul microbiota, anche su base dismicrobica.
Recenti studi di metabolomica mirati che hanno arruolato pazienti con disturbo depressivo maggiore hanno valutato dopamina, glutammato, GABA e serotonina nel plasma e hanno confermato il loro coinvolgimento e la reciproca interazione nella patogenesi del disturbo. È interessante notare che le fluttuazioni dei livelli dei metaboliti dei neurotrasmettitori, come il MHPG o l’acido omovanillico, sono state collegate alla depressione e al trattamento antidepressivo. Ma anche il glutammato è un neuromediatore che è risultato maggiorment alterato nei disturbi depressivi. In quanto principale mediatore dei segnali eccitatori nel sistema nervoso centrale dei mammiferi, il glutammato è un neurotrasmettitore chiave con un grande impatto nella maggior parte delle normali funzioni cerebrali, tra cui cognitività, memoria e apprendimento.
Il metabolismo di tutti questi neuromodulatori è, in un modo, o un altro dipendente da enzimi che richiedono acido ascorbico come cofattore. La vitamina C, infatti, non serve solamente a prevenire sanguinamenti, a proteggere i capillari sanguigni o raffozare le difese immunitarie, come la maggior parte delle persone è portata a sapere. Essa protegge anche il tessuto polmonare, il pancreas, è relativamente abbondante anche in tessuto come la milza, la tiroide e la retina, dove protegge dallo stress ossidativo. E’ poco diffusa nel sistema nervoso dove il maggiore antiossidante diretto tende ad essere il glutatione (GSH). Nel cervello, invece, la vitamina C fa più da cofattore enzimatico (appunto metabolismo degli aminoacidi da convertire a neurotrasmettitori) e da protettore diretto di tessuti esposti alla luce come il cristallino e la retina.
L’ascorbato è stato anche proposto come modulatore della neurotrasmissione mediata dal glutammato, attraverso un meccanismo di scambio etero che coinvolge i trasportatori del glutammato (EAAT). Parte del ruolo neuroprotettivo della vitamina C, comporta la prevenzione del danno neuronale causato dall’eccitotossicità indotta dal glutammato. I meccanismi con cui essa influisce sulla trasmissione neuronale non sono stati ancora stabiliti, ma potrebbero essere correlati ai cambiamenti redox nel recettore NMDA, che regolano il legame del glutammato. L’interazione tra ascorbato e glutammato si riflette anche nella modulazione del metabolismo energetico neuronale. È noto che i pazienti con depressione maggiore hanno ridotto il metabolismo del glucosio nel cervello, con conseguente squilibrio bioenergetico.
Le evidenze precliniche delle azioni della vitamina C sullo stato depressivo sono note da tempo. In sevariati modelli animali di laboratorio, la somministrazione di adeguate dosi di acido ascorbico induce miglioramenti comportamentali che fanno ritenere essa in grado di ribilanciare, almeno parzialmente, i deficits neurochimici sottostanti allo stato depressivo. Lo stesso dicasi per le evidenze cliniche umane. La prima evidenza di un possibile effetto antidepressivo della vitamina C viene dal 1980, quando un bambino con epatite e sindrome depressiva in trattamento con ormone ACTH guarì improvvisamente dopo infusioni endovena di vitamina C. Studi successivi hanno poi provato che l’integrazione esterna con ascorbato può essere utile nel trattamento di varie forme di depressione (da solo o in combinazione con i farmaci classici).
Con la scoperta che la depressione ha una componente neuro-infiammatoria, che implica la partecipazione del sistema immunitario locale, la scienza giustifica ancor di più l’assuzione di vitamina C per contrastare questa componente. Molto tempo fa, la carenza di vitamina C si manifestava cone lo scorbùto, sanguinamenti e postuma fragilità ossea e della pelle. Ma il nostro terreno biologico è cambiano negli ultimi 100 anni e le malattie degenerative hanno soppiantato (o meglio, si sono integrate con) le malattie infettive che erano l’entità patologica esclusiva del passato. Quindi, oggi è più facile vedere una carenza di vitamina C che si esprime proprio come sindrome depressiva, ansia/attacchi di panico ed anche tendenza all’osteoporosi. La sintesi del collagene e dell’elastina delle ossa, infatti, non avviene senza vitamina C che funge da cofattore enzimatico.
Tutte quest condizioni, quindi, dipendono dalla perdita del potenziale antiossidante del tessuto nervoso. Col lo sbilanciamento lo stess ossidativo prende piede e finisce per condurre alla neuro-infiammazione. E’ chiaro, questo punto, che gli antidepressivi classici ben poco possono fare per togliere lo stress ossidativo e l’infiammazione cerebrale, dato che non sono molecole progettate per questo scopo. L’integrazione con vitamina C, invece, può aiutare a ripristinare lentamente lo stato redox delle cellule cerebrali. Ovviamente non a dosi che fanno parte della quantità minima giornaliera raccomandata (80-90 mg). L’intestino può assorbire senza sprechi da 250 a 500 mg al giorno di questa vitamina. Dosi inferiori possono avere effetto trascurabile, se l’intenzione è quella di usarla per trattare uno stato depressivo maggiore o di una certa importanza.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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