La trasmissione ospedaliera della SARS-CoV-2 rappresenta una delle principali preoccupazioni in ambito sanitario, poiché aumenta il rischio di scarsi risultati per gli operatori sanitari e le persone vulnerabili. Gli interventi non farmaceutici hanno scarso effetto sui tassi di trasmissione tra pazienti malati e personale sanitario negli ospedali. Pertanto, è fondamentale comprendere e colmare le lacune di conoscenza per evitare ulteriori trasmissioni e migliorare la cura dei pazienti. In un recente studio su Nature, i ricercatori indagano sulla trasmissione del coronavirus negli ospedali e sul suo impatto sulla dinamica della pandemia di COVID-19. I ricercatori hanno quantificato la trasmissione intraospedaliera, valutato i probabili percorsi di trasmissione virale e i fattori associati all’aumento del rischio di trasmissione e hanno studiato le conseguenze dinamiche più ampie utilizzando le informazioni fornite da 145 aziende ospedaliere del Servizio Sanitario Nazionale (NHS) che forniscono cure acute in Inghilterra.
I trust comprendevano 356 ospedali con una capacità totale di 100.000 posti letto e 859.000 operatori sanitari con lavoro a tempo pieno. I dati, insieme ad altri set di dati di informazioni a livello nazionale, sono stati utilizzati per stimare il conteggio dei casi nosocomiali di COVID-19 in Inghilterra tra giugno 2020 e febbraio 2021, le vie di trasmissione nosocomiale della SARS-CoV-2 e le variabili che influenzano la trasmissione. I ricercatori hanno studiato l’influenza del COVID-19 nosocomiale sull’efficacia dei blocchi a livello di comunità nella prevenzione delle infezioni modellando le dinamiche della comunità e dell’ospedale. L’analisi dei dati delle serie temporali ha dimostrato che i pazienti che hanno contratto la SARS-CoV-2 in ospedale erano la fonte primaria di trasmissione ad altri pazienti. L’aumento della trasmissione ai pazienti ricoverati era correlato al minor numero di stanze singole e a un volume riscaldato inferiore per letto negli ospedali.
Pertanto, una ridotta trasmissione ospedaliera potrebbe migliorare l’efficacia dei futuri blocchi nel ridurre la trasmissione comunitaria. Tra giugno 2020 e febbraio 2021, ci sono stati 19.355 casi probabili e 16.950 casi sicuri di COVID-19 correlati all’assistenza sanitaria tra i pazienti ricoverati in ospedale. Gli autori hanno calcolato che una strategia di test PCR su individui con sintomi di COVID-19 identificherebbe rispettivamente il 26% e il 12% delle infezioni nosocomiali, soddisfacendo i criteri per le infezioni sicuramente correlate all’assistenza sanitaria. Ulteriori test PCR per soggetti asintomatici nei giorni tre e sei di ricovero hanno aumentato la percentuale riscontrata al 33%, ma non hanno modificato in modo significativo la percentuale di infezioni sicuramente correlate all’assistenza sanitaria. L’integrazione dei test PCR per tutti i pazienti COVID a intervalli di una settimana ai test PCR sintomatici ha aumentato sicuramente la percentuale di infezioni correlate all’assistenza sanitaria al 17%.
La scarsa probabilità di identificazione e classificazione delle infezioni sicuramente correlate all’assistenza sanitaria era dovuta alla breve durata del ricovero e ai bassi tassi di sensibilità dei test PCR nei primi giorni dell’infezione da SARS-CoV-2. Ci sono stati nove milioni di ricoveri in questo periodo, indicando così che l’1-2% dei soggetti ospedalizzati aveva COVID-19 nosocomiale. I tassi cumulativi di infezioni associate all’ospedale variavano notevolmente tra i trust, con i tassi più alti nell’area NHS nordoccidentale e i più bassi nelle regioni sud-occidentali e di Londra. I tassi di trasmissione comunitaria erano simili in situazioni di elevata trasmissione ospedaliera, che corrispondeva a una trasmissione intraospedaliera autosufficiente, così come in situazioni di trasmissione ospedaliera intermedia e bassa, che riducevano tutti i tassi di trasmissione ospedaliera rispettivamente del 25% e del 50%.
Collettivamente, le infezioni contratte in ospedale rappresentano ancora una seria preoccupazione nelle strutture sanitarie, con l’1-2% dei ricoveri ospedalieri in Inghilterra che potrebbero contrarre l’infezione da coronavirus durante la “seconda ondata”. L’immunizzazione del personale è stata collegata a notevoli riduzioni dei tassi di infezione, oltre a determinate strutture ospedaliere che possono influenzare la trasmissione virale. Questo studio è localizzato, ma il principio di fondo può essere applicato potenzialmente applicato in ogni nazione europea. I suoi risultati sottolineano l’importanza dell’identificazione precoce del COVID-19, delle misure di mitigazione per le infezioni nosocomiali incidenti e della priorità data alla vaccinazione del personale sanitario per la protezione diretta e indiretta contro il coronavirus. Molti penserebbero all’inutilità di un ragionamento simile, non fosse altro per il “caos” sulle mascherine (almeno in Italia) e sul fatto che la pandemia è stata dichiarata conclusa.
Ma nel mondo, e in ogni nazione europea (dato il caso), ci sono ancora 10-20 decessi giornalieri legati al COVID, soprattutto fra gli individui più fragili (cardiopatici gravi, oncologici, dializzati, ecc). Se non si considera il rispetto per chi è in buona salute, lo si abbia almeno per chi non lo è; ed è a rischio.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Cooper BS, Evans S et al. Nature 2023 Oct 18; in press.
Terbot JW 2nd et al. bioRxiv. 2023 Jul 17:2023.07.13:548462.
Stimson J, Pouwels KB et al. BMC Infect Dis. 2022; 22(1):922.