L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune comune caratterizzata da infiammazione cronica dei rivestimenti articolari e provoca la progressiva distruzione articolare e altre complicazioni sistemiche. L’uso di farmaci biologici modificanti la malattia consente ai pazienti di ottenere una bassa attività della malattia e la remissione. Ma le cliniche devono somministrare tali farmaci per via sottocutanea o endovenosa, il che è spiacevole per i pazienti e col tempo questi farmaci diventano comunemente meno efficaci. Recentemente gli scienziati hanno sviluppato inibitori orali della Janus chinasi (JAK) per il trattamento dell’artrite. Precedenti ricerche hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza di questi farmaci in studi randomizzati e controllati. Tuttavia, alcuni ricercatori hanno messo in dubbio la potenziale efficacia degli inibitori JAK per un uso diffuso da parte di tutti i pazienti.
In pratica, i medici trattano principalmente i pazienti con inibitori della JAK proprio perché costoro hanno altri problemi di salute e quindi i farmaci convenzionali come il metotrexato sono meno efficaci su di essi. Come si può comprendere, i pazienti del mondo reale hanno caratteristiche distintive rispetto ai pazienti reclutati in studi randomizzati e controllati da parametri scelti. Secondo un nuovo articolo pubblicato sulla rivista Rheumatology gli inibitori JAK (JAKIs), che i medici hanno utilizzato per curare i pazienti affetti da artrite nonostante le preoccupazioni sull’efficacia di tali farmaci, in realtà funzionano piuttosto bene. In uno studio retrospettivo multicentrico, i ricercatori giapponesi hanno scoperto che i farmaci hanno portato a tassi di remissione impressionanti nei pazienti, la maggior parte dei quali sceglie di continuare tale trattamento.
Nell’ultimo studio multicentrico e retrospettivo, utilizzando i dati di 622 pazienti trattati in sette importanti ospedali universitari in Giappone, i ricercatori hanno confrontato l’efficacia e la sicurezza di quattro comuni inibitori della JAK: tofacitinib, baricitinib, peficitinib e upadacitinib. I ricercatori hanno scoperto che circa un paziente su tre ha raggiunto la remissione, tre su quattro hanno raggiunto almeno una bassa attività della malattia, ed entrambi i numeri rappresentano un’efficacia impressionante. Hanno notato che oltre l’80% dei pazienti assumeva ancora i farmaci inibitori della JAK dopo 6 mesi. Ritengono che ciò sia particolarmente rilevante dato che il fallimento del trattamento immunologico secondario, in cui i farmaci cessano di essere efficaci perché producono risposte avverse del sistema immunitario nei pazienti, non può verificarsi con questi farmaci orali.
In effetti, il fallimento del trattamento secondario è comune nei pazienti che curano la loro artrite con farmaci come il metotrexato o altri DMARD convenzionali come l’idrossiclorochina o la sulfasalazina. Questo è principalmente per riferirsi al fatto che c’è l’intervento del microbiota intestinale che processa buona parte delle tipologie di farmaco usate per trattare queste malattie immunitarie. Inoltre, non c’è potenziale effetto diretto dei biologici sul microbiota intestinale, eccetto la regolazione immunitaria locale di cui si sa ancora poco. Il ruolo del microbiota nelle autoimmunità (sclerosi multipla, lupus ed altre, artrite reumatoide inclusa) è ormai assodato, quindi una migliore conoscenza della farmacologia dei JAKIs e dei loro effetti sul microbiota intestinale potrebbe spiagare, almeno in parte, perchè funzionano così a lungo senza che si sviluppi resistenza veloce.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD; specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Hayashi S et al. Rheumatology 2023 Oct 30; in press.
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