Un nuovo studio mostra miglioramenti cognitivi quando i partecipanti si mantengono attivi e socialmente impegnati, controllano la pressione sanguigna e il diabete. Mentre sempre più farmaci si avvicinano all’approvazione federale per il morbo di Alzheimer, un’indagine separata e “diversa” della San Francisco University e della Kaiser Permanente Washington ha scoperto che cambiamenti personalizzati nella salute e nello stile di vita possono ritardare o addirittura prevenire la perdita di memoria negli anziani ad alto rischio. Lo studio, durato due anni, ha confrontato punteggi cognitivi, fattori di rischio e qualità della vita tra 172 partecipanti, di cui la metà aveva ricevuto un coaching personalizzato per migliorare la propria salute e il proprio stile di vita in aree che si ritiene aumentino il rischio di Alzheimer, come il diabete non controllato e l’inattività fisica. I partecipanti allo studio attuale, così come al sondaggio precedente, erano arruolati presso la Kaiser Permanente Washington e avevano un’età compresa tra 70 e 89 anni.
Avevano almeno due degli otto fattori di rischio per la demenza: inattività fisica, ipertensione non controllata, diabete non controllato, scarso sonno, uso di farmaci da prescrizione associati al rischio di declino cognitivo (soprattutto ipnotici della classe delle benzodiazepine), sintomi depressivi elevati, isolamento sociale e attuale stato di fumatore. I partecipanti all’intervento hanno incontrato un infermiere e un coach sanitario e hanno selezionato i fattori di rischio specifici che volevano affrontare. Hanno ricevuto sessioni di coaching ogni pochi mesi per rivedere i loro obiettivi, che andavano dal monitoraggio dell’ipertensione al camminare un certo numero di passi al giorno o all’iscrizione a un corso. Gli incontri sono iniziati di persona e sono passati alle telefonate durante la pandemia. I partecipanti al non intervento erano simili per età, fattori di rischio e punteggi cognitivi e hanno ricevuto materiale educativo, spedito ogni tre mesi, sulla riduzione del rischio di demenza.
Lo studio, noto come SMARRT, per uno studio sistematico multi-dominio sulla riduzione del rischio di Alzheimer, fa seguito al lavoro precedente di altri ricercatori che ha prodotto risultati contraddittori sugli effetti degli interventi sulla salute e sullo stile di vita. Questa indagine, tuttavia, differiva nel fornire un coaching personale personalizzato per ciascun partecipante. A differenza dei farmaci anti-amiloide, i programmi di riduzione del rischio non sono costosi, né prevedono criteri di ammissibilità rigorosi né richiedono un monitoraggio approfondito degli effetti collaterali. È stato riscontrato che questi partecipanti hanno sperimentato un modesto incremento nei test cognitivi, pari a un miglioramento del 74% rispetto ai farmaci anti-amiloide. il gruppo di non intervento. Sono stati notati miglioramenti anche tra i due gruppi nelle misurazioni dei fattori di rischio e della qualità della vita, che si traducono rispettivamente in circa il 145% e l’8%.
Anche le sindromi geriatriche come demenza, depressione, disabilità e disturbi cognitivi sono più diffuse tra le persone che vivono in comunità di età pari o superiore a 65 anni, variando dall’8 al 16% per la demenza, dal 5 al 40% per la depressione, dal 40 al 50% per i disturbi cognitivi. disabilità, 9–34% per disabilità nelle attività della vita quotidiana e 12–58% per disabilità visive e uditive. Inoltre, le sindromi geriatriche influenzano la qualità della vita in modi e livelli diversi per ciascun anziano e influenzano un determinato ambito della qualità della vita nei pazienti che ricevono assistenza domiciliare. Allo stesso modo, non sempre gli anziani sono in grado di progredire nel cammino verso il benessere e la salute, e la fragilità costituisce un fattore limitante decisivo. Ecco perché una buona prevenzione dovrebbe essere parte integrante dello stile di vita a partire dai 45-50 anni, onde tamponare noti fattori di rischio come ipertensione, fumo di siagaretta, diabete e cardiopatie.
Kristine Yaffe, professoressa nei dipartimenti di Neurologia, Psichiatria, Epidemiologia e Biostatistica dell’UCSF, ha dichiarato: “Questo è il primo intervento personalizzato, focalizzato su molteplici aree cognitive, in cui gli obiettivi dei fattori di rischio si basano sul profilo di rischio del partecipante, preferenze e priorità, che riteniamo possano essere più efficaci di un approccio unico per tutti. In un precedente sondaggio condotto su 600 anziani, abbiamo scoperto che la maggior parte era preoccupata per la demenza senile. Volevano conoscere i loro fattori di rischio personali ed erano fortemente motivati ad apportare modifiche allo stile di vita per ridurre questo rischio. Siamo rimasti piacevolmente sorpresi dal fatto che i risultati positivi dello studio non siano stati compensati dall’impatto della pandemia. Sappiamo che l’isolamento dovuto al distanziamento sociale ha avuto un impatto pesante su cognitività, vita sociale e sulla salute mentale e fisica di alcuni anziani. Ma i partecipanti al gruppo di intervento hanno avuto risultati migliori dal punto di vista cognitivo e hanno avuto meno fattori di rischio dopo lo studio, durante la pandemia, rispetto a prima”.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Yaffe K et al. JAMA Internal Med 2023 Nov 27; in press.
Song Y, Niu J et al. Psychogeriatrics. 2023; 23(1):71-76.
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