sabato, Dicembre 21, 2024

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Depressione in rivoluzione: comprendere la neuroinfiammazione per combattere il problema fuori e dentro la gravidanza

Circa il 6% degli adulti nel mondo è affetto da depressione maggiore (MDD) e circa il 33% di loro è resistente ai trattamenti attualmente disponibili. Si osserva un’eterogeneità nei pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore e la necessità di una migliore comprensione meccanicistica delle cause della depressione. Rapporti recenti hanno rivelato che anomalie immunitarie possono essere rilevate in sottopopolazioni di pazienti con depressione. In condizioni fisiologiche, il sistema immunitario protegge dalle infezioni ed elimina le sostanze estranee attraverso risposte sequenziali e coordinate chiamate immunità innata e adattativa. Le risposte immunitarie innate sono mediate da popolazioni di leucociti, come monociti, granulociti e cellule dendritiche, che reagiscono rapidamente e in modo non specifico agli agenti patogeni e li eliminano attraverso diversi meccanismi, inclusa l’induzione dell’infiammazione.

Lo stress, un importante fattore di rischio per la depressione, induce processi infiammatori attraverso l’attivazione del sistema immunitario innato, che è stato associato alla depressione negli esseri umani e nei modelli murini. Lo stress cronico da sconfitta sociale (CSDS) nei topi induce anomalie comportamentali che in parte assomigliano ai sintomi clinici della depressione. Nel modello CSDS, i topi sensibili allo stress (SUS) mostrano evitamento sociale, mentre i topi resilienti (RES) sono privi di tali anomalie comportamentali. È stato precedentemente osservato un aumento dei livelli di monociti e neutrofili circolanti, livelli elevati di citochine infiammatorie (es. IL-6) e disfunzione della barriera ematoencefalica nel modello CSDS e in pazienti con depressione. In particolare, è stata riscontrata evidenza di un aumento della permeabilità della BEE nel nucleo accumbens, nella corteccia prefrontale e nell’ippocampo.

Queste regioni cerebrali sono implicate nello stress e nella depressione, nei topi SUS a seguito della sconfitta sociale e nei soggetti depressi. Mentre gli studi che indagano i meccanismi infiammatori della depressione si concentrano in gran parte sul sistema immunitario innato, diversi rapporti suggeriscono il coinvolgimento del sistema immunitario adattivo nei disturbi neurocomportamentali, ma i contributi specifici delle anomalie immunitarie adattative alla depressione rimangono poco chiari. Pertanto, i ricercatori del presente studio hanno esaminato il potenziale legame tra stress, anomalie immunitarie adattative e depressione utilizzando modelli murini CSDS e campioni clinici di pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore. In un recente studio, ricercatori americani hanno indagato la relazione tra stress e autoimmunità analizzando campioni di sangue e cervello di topi socialmente stressati e di pazienti con disturbo depressivo maggiore.

Hanno scoperto che i topi mostravano un aumento delle concentrazioni di anticorpi nel siero e di anticorpi reattivi al cervello correlati a comportamenti simili alla depressione. Inoltre, negli esseri umani, hanno trovato un’associazione tra livelli periferici più elevati di anticorpi reattivi al cervello e aumento dell’anedonia. Il presente studio ha eseguito CSDS per 10 giorni su topi di età compresa tra 6 e 7 settimane. Sui topi sono stati quindi eseguiti test di interazione sociale, in cui i topi stressati sono stati classificati come SUS o RES in base al rapporto SI (rapporto del tempo di interazione in presenza e assenza di un topo bersaglio sociale). L’immunoglobulina G (IgG) sierica è stata misurata utilizzando un test ELISA. Inoltre, i ricercatori hanno visualizzato la localizzazione delle risposte anticorpali post-CSDS. La citometria a flusso è stata utilizzata per analizzare le cellule immunitarie nei linfonodi e nella milza degli animali.

Per verificare l’ipotesi che lo stress sociale innesca risposte anticorpali contro antigeni espressi nel cervello, i ricercatori hanno misurato gli anticorpi reattivi cerebrali post-CSDS nei sieri. Durante il test SI, rispetto ai topi di controllo non stressati, sia i topi RES che quelli SUS hanno percorso distanze più brevi quando il topo bersaglio sociale era assente, senza differenze significative nella locomozione nei due gruppi. Questi risultati confermano i risultati di studi precedenti. Inoltre, i topi SUS hanno mostrato livelli aumentati di IgG nei loro sieri rispetto ai topi di controllo, che erano correlati negativamente con il rapporto SI. Ciò indica che lo stress sociale induce una risposta anticorpale, contribuendo potenzialmente al comportamento di evitamento sociale. Nell’analisi dei tessuti, i linfonodi dei topi SUS hanno mostrato una percentuale significativamente aumentata delle cellule germinali e cellule T rispetto ai controlli e alle RES.

Sebbene sia stato riscontrato un aumento delle plasmacellule in tutti gli organi linfoidi, il loro aumento era 17 volte superiore nei linfonodi cervicali rispetto ad altri organi estratti. I risultati suggeriscono che la CSDS innesca risposte anticorpali nei linfonodi che drenano il cervello, specialmente nei topi suscettibile. Inoltre, i sieri dei topi SUS hanno mostrato una maggiore reattività cerebrale rispetto ai topi CON, correlandosi con l’evitamento sociale e con i livelli di plasmacellule nei linfonodi. Nello studio di visualizzazione, il nucleo accumbens dei topi SUS ha mostrato un’intensità di fluorescenza maggiore rispetto a quello dei topi CON e gli autoanticorpi avevano più bersagli proteici all’interno di varie regioni del cervello. Anche i lisati cerebrali dei topi SUS hanno mostrato livelli di IgG aumentati rispetto ai controlli e sono fortemente correlati con il comportamento di evitamento sociale.

L’imaging e la ricostruzione 3D delle regioni cerebrali suggeriscono che dopo la CSDS, gli le IgG cerebrali si accumulano nell’unità neurovascolare. I risultati indicano i potenziali benefici derivanti dall’identificazione di autoanticorpi rilevanti per la malattia nei pazienti depressi, aprendo la strada ad approcci terapeutici per mitigare i sintomi dell’anedonia. Studi clinici hanno dimostrato un’elevata comorbilità tra disturbi psichiatrici e autoimmuni. Le reazioni autoimmuni cerebrali sono state implicate nella patogenesi di sintomi psichiatrici come la psicosi e il deterioramento cognitivo. Diversi studi recenti su malattie autoimmuni con sintomi psichiatrici suggeriscono che alcuni autoanticorpi prendono di mira le proteine espresse nel cervello e regolano le anomalie neuro-comportamentali. Aggiungendo valore traslazionale alla presente ricerca, esiste un’associazione tra i livelli periferici di anticorpi reattivi al cervello e la gravità dell’anedonia negli esseri umani.

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Rapporti recenti hanno indicato una disfunzione delle risposte immunitarie adattative, inclusa l’autoimmunità, negli adolescenti e nei giovani adulti con comportamento suicidario e attivazione delle cellule B nella depressione postpartum. La depressione post-partum (DEPO) colpisce molte neomamme e può portare a esiti avversi sia per la madre che per il bambino. In particolare, uno dei fattori che contribuiscono in modo significativo alle morti materne è il suicidio materno. Le fluttuazioni dei livelli di estrogeni e progesterone durante e dopo la gravidanza e il parto possono essere tra 10 e 50 volte quelle della donna sana non incinta. Ciò successivamente influenza l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), che, a sua volta, altera i livelli di cortisolo. I processi neurologici dipendono fondamentalmente dalla loro regolazione da questi ormoni steroidei e svolgono un ruolo chiave nell’origine della depressione nelle donne.

I livelli di cortisolo possono influenzare vari neurotrasmettitori, come dopamina, serotonina, glutammato e GABA, oltre a regolare il collegamento stress-HPA in molte fasi. Eppure i ricercatori sono convinti che non è solamente una questione di neurochimica: deve esserci una base genetica di fondo che supporti la comparsa del fenomeno. Anche perché non tutte le donne dopo una gravidanza sviluppano una DEPO. L’ambiente può concorrere ma ci deve essere un terreno biologico su cui lo stress faccia perno. I ricercatori della School of Medicine all’Università di San Francisco hanno guidato un team internazionale di colleghi per condurre la più grande meta-analisi mai realizzata di studi di associazione sull’intero genoma (GWAS) per studiare l’architettura genetica della DEPO. La ricerca mostra che circa il 14% della variazione osservata nei casi di DEPO può effettivamente essere attribuita a fattori genetici comuni.

La depressione post-parto di una paziente spesso non è semplicemente il risultato di fattori ambientali, come un trauma passato. Invece la suscettibilità alla DEPO porta con sé una componente genetica significativa. I ricercatori hanno anche rivelato l’architettura genetica della DEPO, che secondo loro è correlata in modo significativo con quella della depressione maggiore, del disturbo bipolare, dei disturbi d’ansia, disturbo da stress post-traumatico, insonnia e sindrome dell’ovaio policistico. Ciò significa che i sintomi della DEPO probabilmente si verificano come risultato dell’interazione tra gli stessi geni coinvolti in queste altre condizioni psichiatriche e legate agli ormoni. I ricercatori hanno anche scoperto che c’è associazione con le regioni genetiche che coinvolgono i neuroni GABAergici, in particolare nel talamo e nell’ipotalamo. Tale tipo di neuroni controllano il rilascio del GABA, che è associato alla calma, alla sedazione, alla memoria ed altri meccanismi di freno su strutture eccitatorie.

Sebbene i ricercatori abbiano rivelato molto sulla genetica della DEPO, più che mai, disponevano ancora di un set di dati limitato. I migliori studi di associazione sull’intero genoma estraggono dati da centinaia di migliaia di individui con una condizione particolare, come la depressione maggiore o la schizofrenia. La DEPO viene trattata con gli stessi farmaci utilizzati per i disturbi depressivi maggiori al di fuori della gravidanza e del parto, i più comuni dei quali includono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI). Tuttavia, questi farmaci non sono né specifici per la PPD né efficaci in tutti i casi e hanno un effetto lento. La DEPO può insorgere a causa di vari fattori, tra cui una maggiore sensibilità agli ormoni sessuali durante la gravidanza e il periodo perinatale, assieme ad un’attività HPA scarsamente regolata. Quindi il concorso degli ormoni steroidei (In questo caso sessuali) è presente.

Il Brexanolone è un farmaco che è stato studiato per il trattamento del trattamento della DEPO e della depressione maggiore. Ad oggi, il brexanolone è il primo antidepressivo specifico per la DEPO ad azione rapida approvato dalla FDA americana. Attualmente è approvato per l’infusione endovenosa nell’arco di 60 ore nelle neomamme. Questo trattamento ha dimostrato di alleviare rapidamente e cronicamente i sintomi della DEPO nelle donne trattate. Il brexanolone fa parte della famiglia dei neurosteroidi: sono molecole con struttura simile al progesterone ma che agiscono sul sistema nervoso in modo diretto e spesso mediato dagli stessi recettori per i neurotrasmetttitori. Derivano da un precursore chiamato allopregnanolone (ALLO): il progesterone viene convertito in allopregnanolone, che agisce sui neuroni del cervello per modulare i recettori A del GABA. Questi sono i principali inibitori dell’attività neuronale del cervello e della risposta allo stress.

L’ALLO riduce le vie infiammatorie nei modelli cellulari, principalmente attraverso i recettori Toll-like (TLR) che rilevano un’ampia gamma di molecole e agenti potenzialmente pericolosi. Questi includono modelli molecolari associati ai patogeni (PAMP), associati al danno fisico (DAMP) e xenobiotici (XAMP). L’allopregnanolone riduce la produzione di diversi mediatori dell’infiammazione attraverso la sua azione su TLR2, TLR4 e TLR7 nel cervello dei roditori. In vitro, il brexanolone riduce i marcatori infiammatori in correlazione con il miglioramento dei sintomi della depressione, impedendo inoltre alle cellule del sangue di reagire alla presenza di attivatori infiammatori del sistema immunitario, impedendo così l’attivazione di TRL4 e TLR7, una risposta che è stata predittiva del miglioramento sintomatico. La durata del blocco dell’infiammazione sistemica rimane sconosciuta ma potrebbe spiegare perché l’infusione rimane efficace a 90 giorni.

Brexanolone è stato approvato a seguito di uno studio in aperto nel 2019. Lo studio ha incluso madri con diagnosi depressione maggiore durante o dopo il terzo trimestre di gravidanza fino a 12 settimane dopo il parto. A ciascuno dei pazienti sono state prescritte dosi stabili di antidepressivi per almeno due settimane al momento dell’inclusione. Brexanolone è stato infuso a dosi titolate, aumentando fino a raggiungere la dose di mantenimento nell’arco di 12 o 24 ore e poi mantenuto per 36 ore. Il trattamento con Brexanolone è stato successivamente ridotto gradualmente nelle successive 8-12 ore rispettivamente negli studi di Fase I e di Fase II/III, durante i quali è stato misurato il cambiamento dei sintomi della depressione. In tre studi di Fase III che hanno coinvolto 375 donne, la variazione media dei punteggi relativi alla depressione è stata significativamente maggiore nel gruppo di trattamento rispetto al gruppo placebo ed è rimasta più elevata per i successivi 30 giorni.

L’Università della Carolina del Nord (UNCA) ha creato un programma clinico di Brexanolone per il trattamento della DEPO. Tutti i partecipanti devono interrompere o ridurre l’uso di benzodiazepine del 50% o più prima di iniziare il trattamento con brexanolone, che ha dimostrato di ridurre la sedazione eccessiva in questi pazienti. Il programma UNCA è condotto in un reparto medico piuttosto che nell’unità di degenza di psichiatria perinatale. Questo cambiamento di sede ha fornito ai pazienti maggiore libertà durante il trattamento; tuttavia, richiede anche una formazione aggiuntiva per il personale per gestire i pazienti psichiatrici, il che può comportare gravi rischi per la sicurezza o suicidi. Oltre il 55% delle donne trattate ha avuto una remissione dei sintomi, mentre il 94% ha avuto un miglioramento clinicamente significativo alla visita di follow-up di 90 giorni. In particolare, circa il 30% delle donne non risponde a questo trattamento.

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L’effetto del brexanolone sui recettori GABA-A può essere potenziato dalla sua attività antinfiammatoria. Tuttavia, l’infiammazione continuata potrebbe superare i suoi effetti GABA-ergici. Ecco perché eradicare la neuroinfiammazione è fondamentale per poter trattare in modo più efficace il disturbo depressivo sia maggiore che legato al post-parto. Oltre al brexanolone, ci sono infatti altri neurosteroidi al vaglio che possono avere parallelo effetto antinfiammatorio che corrisponderebbe in questo frangente al classico “prendere due piccioni con una fava”. Lo Zuranolone è un neurosteroide orale che modula allostericamente i recettori GABA-A sinaptici ed extrasinaptici, a differenza delle benzodiazepine che agiscono solo sui recettori sinaptici. Inoltre, lo zuranolone agisce rapidamente ed è stato approvato come il primo farmaco orale per la DEPO. Attualmente, è in fase di studio per la depressione maggiore non in gravidanza.

La sedazione è un importante effetto collaterale dello zuranolone, che altrimenti è ben tollerato. Il ganaxolone è un analogo del metil-allopregnanolone con un meccanismo d’azione simile; tuttavia, questo agente non influisce sui recettori degli estrogeni o del progesterone. L’efficacia del ganaxolone nella DEPO è ancora in fase di studio; tuttavia, uno studio non ha dimostrato efficacia nel disturbo da stress post-traumatico (PTSD) tra i veterani. Anche il pregnenolone e il deidro-epiandrosterone (DHEA) sono potenziali steroidi neuroattivi candidati studiati nella depressione e in altre condizioni psichiatriche. La contemporanea presenza di un effetto antinfiammatorio promosso per soppressione dei recettori TLR (o con altro meccanismo) è un valore aggiunto che rappresenta una vera innovazione sul campo del trattamento della depressione come entità clinica generale.

Un’articolo pubblicato lo scorso Marzo ha descritto che gli effetti antidepressivi del brexanolone sono effettivamente dipendenti dall’interferenza con i recettori Toll della tolleranza immunitaria, nello specifico TLR4 e TLR7, che rientrano nei meccanismi infiammatori definiti “sistemici generali”. Il primo è attivato dall’endotossina batterica (LPS) che deriva dai batteri Gram-negativi intestinali e quest’asse è anche respnsabile della comparsa sia del diabete mellito (distruzione delle cellule pancreatiche) che della depressiona partenza dal microbiota intestinale, come la scienza ha appurato recentemente. Il TLR7, invece, è a residenza intracellulare e ha come ligando gli RNA a singola catena (ssRNA), e non è ancora chiaro come quest’asse cellulare intervenga nei meccanismi sottostanti alla depressione, anche se gli scienziati pensano che ci sia una componente immunologica occultata.

Nei modelli di stress di ansia e depressione dei roditori, l’attivazione del recettore cellulare PPAR normalizza sia la downregulation dell’espressione di PPAR-α stesso, che la diminuzione del contenuto di ALLO e migliora il comportamento di tipo depressivo e le risposte alla paura. È noto che il PPAR-α regola i processi metabolici e infiammatori attivati dagli acidi grassi a catena corta; quelli degli endocannabinoidi e congeneri, come la N-palmitoil-etanolamide (PEA), farmaci che trattano le dislipidemie (fenofibrato, gemfibrozil); ed acidi grassi polinsaturi (come gli omega-3) agiscono attraverso questo recettore. Sia PPAR-α che ALLO esercitano potenti azioni antinfiammatorie bloccando la via TLR4-NFκB nelle cellule immunitarie periferiche, nei neuroni e nella glia cerebrale. Essendo questa coinvolta nelle reazioni infiammatorie locali, una sua modulazione attraverso i neurosteroidi (ALLO, ZUR ed altri) potrebbe gettare le basi per una nova modalità di trattamento della depressione.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Shimo Y et al. PNAS USA 2023; 120:e2305778120.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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