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Sclerosi multipla: storia di una condizione che potrebbe partire fuori dal cervello e legarsi allo stile di vita

La sclerosi multipla: basi di patogenesi

L’eziologia della sclerosi multipla (SM) rimane in gran parte sfuggente; tuttavia, è noto che si manifesta in individui geneticamente predisposti, ma per innescare la malattia sono necessari fattori ambientali. I fattori ambientali più studiati sono la dieta occidentale (ricca di grassi saturi, carboidrati semplici e sodio e povera di fibre alimentari), la carenza di vitamina D, uno stile di vita sedentario, il fumo di tabacco e alcune infezioni, come il virus Epstein-Barr. Inoltre, altri fattori di rischio, come l’esposizione a solventi organici, l’infezione da citomegalovirus e la vaccinazione contro la difterite e il tetano, sono associati al rischio di sclerosi multipla. I fattori ambientali sono diventati più rilevanti a causa della loro relazione con le malattie autoimmuni e neurodegenerative, che in precedenza erano spiegate solo da fattori genetici. Altri fattori ambientali associati alle malattie autoimmuni sono le malattie gastrointestinali e la disbiosi del microbiota, nonché la permeabilità della barriera intestinale e la conseguente infiammazione.

Come si correla la disbiosi intestinale alla sclerosi multipla?

Il microbiota intestinale (GUM) è un’entità dinamica e numerosi sono i fattori che predispongono alla sua modificazione e, quindi alla sua funzione, come per esempio la dieta. Ogni individuo, infatti, ha la propria composizione del GUM, simile alle impronte digitali. Questo è ciò che impedisce ai ricercatori di stabilire un unico microbiota come modello da seguire. Tuttavia, ci sono caratteristiche di questi ospiti che li rendono più o meno desiderabili per il tratto gastrointestinale. È accertato che la disfunzione del GUM dipende dal tipo di ceppo batterico e può scatenare diverse patologie. Esistono numerosi studi sulla relazione tra la disbiosi e alcune malattie, come le malattie gastrointestinali, le malattie infiammatorie intestinali e il cancro del colon, nonché l’obesità, il diabete, le allergie, l’artrite e le malattie cardiovascolari.

Da alcuni anni è stato suggerito che il GUM possa avere un ruolo nei disturbi del sistema nervoso centrale. Tuttavia, al momento, si conosce solo la punta dell’iceberg e il ruolo del GUM nella neuroinfiammazione/neurodegenerazione deve ancora essere completamente chiarito. Per molto tempo si è studiato le infezioni come possibile fattore scatenante della SM, riportando dl’esempio sopra per mononucleosi e infezione da CMV. Ora è emerso il concetto di un microbiota proinfiammatorio come fattore scatenante dell’autoimmunità, con la possibile implicazione della disbiosi. È quindi possibile che un fattore scatenante dell’infiammazione intestinale, attraverso la disbiosi, ad es. dieta, possono alterare sia il numero che la diversità delle specie di microbiota. Gli studi hanno indicato che troppo sale a tavola aumenta il rischio di sviluppare EAE, mediato dai linfociti T helper 17 (Th17).

In particolare, i topi alimentati con una dieta ricca di sale hanno sviluppato disturbi neurovascolari e cognitivi attraverso l’espansione delle cellule Th17 nell’intestino tenue, portando ad un aumento dei livelli di interleuchina 17 (IL-17) nel plasma. Questo aumento delle cellule Th17 deriva probabilmente da un cambiamento nella composizione del microbioma, dipende dalla dieta e può essere indotto dall’attivazione della proteina chinasi SGK1 che regola l’assunzione di sodio. Studi su pazienti affetti da SM hanno dimostrato che una dieta ricca di sale ha indotto un aumento delle cellule Th17 nel sangue e una diminuzione dei ceppi intestinali del genere Lactobacillus, ed è associata al peggioramento dei sintomi clinici. Inoltre, prove recenti suggeriscono che la comunità microbica intestinale è uno dei fattori ambientali chiave nello sviluppo della SM.

Studi clinici su pazienti hanno indicato la presenza di uno stato proinfiammatorio che ha origine nell’intestino, in particolare le cellule Th17, che sono coinvolte nella patogenesi della SM e che sono presenti in abbondanza nel sangue periferico, nel liquido cerebrospinale e nelle lesioni cerebrali dei pazienti con La SM, i suoi conteggi e i mediatori infiammatori aumentano ulteriormente durante le ricadute. Le osservazioni mostrano che nella SM c’è un’espansione delle cellule Th17 nell’intestino, che è associata ad alterazioni del microbiota e correla con un’elevata attività della malattia. È stato osservato che la modificazione della composizione del microbiota, cioè lo stato di disbiosi, produce un’ampia gamma di proteine amiloidi che servono per l’attraversamento e la propagazione degli aggregati proteici patologici dall’intestino al sistema nervoso centrale, favorendo i processi neurodegenerativi prodotti dal metabolismo aberrante di queste proteine.

SM: dalla flora batterica intestinale e la dieta vengono gli indizi

L’evidenza clinica mostra che i pazienti con malattie neurodegenerative presentano sintomi di malattia gastrointestinale, anche diversi anni prima della diagnosi della loro malattia. Da notare che è stato osservato un cambiamento specifico nel GM dei pazienti con SMRR: la presenza di cellule Th17 effettrici nel tessuto intestinale è risultata associata ad una diminuzione del genere Prevotella e ad un aumento del genere Streptococcus. In un altro studio è stato riscontrato un aumento del genere Acinetobacter e una minore presenza di Parabacteroides distasonis. In un altro studio su pazienti con SM a cui era stata somministrata una miscela commerciale dei generi Lactobacillus, Streptococcus e Bifidobacterium, questa miscela ha indotto un cambiamento nella risposta immunitaria periferica ai farmaci antinfiammatori e ha ripristinato la composizione del microbiota.

Una miscela probiotica simile (Lactobacillus e Bifidobacterium) è stata valutata in due studi randomizzati, in doppio cieco, controllati con placebo della durata di tre e quattro mesi. I loro risultati suggeriscono che l’integrazione quotidiana con probiotici potrebbe migliorare i sintomi clinici della SM. Oltre ai probiotici, vengono utilizzate altre tecniche per modulare la composizione e la funzione del microbiota disbiotico nella SM. Sebbene gli studi siano scarsi, sono stati ottenuti risultati incoraggianti. Finora questi studi sono stati condotti per trattare sintomi gastrointestinali gravi causati dal decorso della malattia, cioè senza l’intenzione di osservare benefici clinici per la malattia. Inoltre, un altro studio si è concentrato sulla caratterizzazione molecolare di batteri Bacillus sp., isolati da campioni di pasta madre e cagliata, che idrolizzano il glutine e nel loro potenziale come probiotici.

I risultati hanno mostrato che i batteri erano in grado di idrolizzare il glutine e che avevano proprietà antibatteriche, antiadesive e di esclusione degli agenti patogeni. Ma perché l’idrolisi del glutine dovrebbe prevenire la comparsa della SM? Il glutine è un a miscela proteica altamente complessa. Esso è composto da proteine idrofobe (gliadine e glutenine) che interagiscono fra loro formando un reticolo molto complesso, che è responsabile delle proprietà meccaniche del pane e derivati. A parte la sua difficoltà ad essere digerito a causa della presenza dei ponti molecolari zolfo (S-S), le proteine del glutine hanno una struttura ripetitiva con aminoacidi che rendono difficile l’attacco da parte degli enzimi digestivi. Quindi, è inevitabile che sempre qualche frammento proteico di glutine si ritrovi nell’intestino anche in condizioni ordinarie e si apparente buona salute (assenza di disbiosi inclusa).

Il ruolo del glutine nell’autoimmunità non è stato mai approfondito realmente, nonostante gli scienziati sanno che esso ha delle elevate proprietà antigeniche di suo. Prova ne è la celiachia, dove i pazienti con un terreno immunitario (HLA) predisponente sviluppano una reazione autoimmune contro la mucosa intestinale. Ma anche in assenza di ciò, la diffusione delle condizioni di intolleranza al glutine sta crescendo, tanto che la scienza ha creato il l’acronimo GSD (Gluten Spectrum Disorder), per indicare tutte le manifestazioni non-celiache di intolleranza al glutine. Questo basta già a far riflettere che l’esagerata introduzione di glutine può potenzialmente costituire un fattore di rischio aggiuntivo per la SM, anche se non ci sono prove reali al momento. Nel caso dell’artrite reumatoide, invece, pare che i pazienti che adottano una dieta gluten-free subiscano un miglioramento soggettivo e parzialmente clinico dei sintomi.

E’ possibile che il glutine sia antigenico e irritante/immunogeno per una parte delle malattie autoimmuni, o che lo sia per tutte solamente quando altri fattori necessari si incastrino a dovere. Non si sa ancora se questo sia il caso per la SM; quello che è certo, comunque, resta il fatto che l’introduzione di prodotti da forno lievitati con lievito madre hanno una maggiore digeribilità in tutti i sensi e potrebbero essere più adatti per l’alimentazione umana e la prevenzione dei fenomeni autoimmuni. Infatti, i lattobacilli hanno degli enzimi (endopeptidasi/prolidasi) che tagliano il glutine esattamente a livello delle regioni più rigide (chiamate regioni poly-pro) e che gli enzimi digestivi umani non riescono a spezzare. Considerando lo stile di vita odierno, l’uso di antibiotici, una dieta spesso ricca di calorie ma povera di nutrienti, il sempre crescente uso di alcolici fuori pasto e il tabagismo, per citare i maggiori fattori del campo, non è difficile che la maggioranza della popolazione sia in uno stato di disbiosi franca o vicina.

La sindrome dell’intestino permeabile (leaky gut) è una conseguenza immediata dell’infiammazione intestinale duratura (colite cronica), permette il passaggio di sostanze digestive, frammenti di proteine non ancora completamente digerite e persino prodotti batterici come l’endotossina dei batteri gram-negativi (LPS). L’infiammazione quindi dall’intestino si propaga in silenzio verso gli altri tessuti. Ma come arriverebbe a condizionare il cervello, la sua immunità locale e il fenomeno autoimmunitario che conduce alla SM? Non è praticamente possibile, perché la barriera ematoencefalica (BEE) fa da schermo contro particelle e molecole indesiderate. Ciò non significa che non possa andare incontro ad infiammazione come la mucosa intestinale e diventare permeabile anch’essa. Nella SM, invero, la permeabilità della BEE è stata documentata ma si è sempre pensato che fosse la conseguenza della neuro-infiammazione cronica.

E’ stato provato che questa permeabilità dipende da una diminuzione delle specie batteriche intestinali, che a sua volta causa una diminuzione del 75% delle proteine delle giunzioni strette della BEE. Inoltre, metaboliti batterici possono anche attraversare la BEE permeabile e contribuire allo sviluppo e alla progressione delle malattie autoimmuni, poiché causano infiammazione, demielinizzazione e cicatrici della materia bianca. Ci sono dati che indicano come questo effetto potrebbe essere invertito con l’integrazione esterna o alimentare di acidi grassi a catena corta (SCFA), come propionato e butirrato, il che dimostra che la produzione di questi metaboliti da parte del microbiota ha anche un effetto protettivo sulla barriera emato-encefalica. Se il problema dell’autoimmunità nella SM compare, dunque, sarebbe da imputare non all’infiammazione vera e propria, ma allo sbilanciamento del microbiota, che non produce più gli SCFA antinfiammatori.

Questo principio si sta correntemente sfruttando anche nel trattamento del morbo di Crohn, dove ai pazienti spesso vengono prescritti acconto ai farmaci anche degli integratori a base di butirrato di sodio, che possono agire sia come antinfiammatori che ripristinanti della flora batterica intestinale e dell’immunità locale. Da cui l’importanza della continua raccomandazione da parte della comunità scientifica di avere una dieta sana, che non comprenda l’abuso di alcolici e cibi troppo raffinati o cotti. Il consumare alimenti crudi e grezzi fa sa sempre parte della dieta dell’uomo; solamente l’avvento dell’era industriale, specie dell’ultimo secolo, lo stile alimentare si è trasformato ed ha causato notevoli danni alla salute mondiale, come dichiarato dalle pubblicazioni sugli effetti di una scadente alimentazione sulla comparsa delle cardiovasculopatie, diabete, tumori ed altri comuni problemi di sanità pubblica.

In assenza della possibilità di invertire la rotta in tal senso, la scienza propone che almeno si mantenga una buona salute intestinale approcciando agli alimenti fermentati ed all’integrazione con probiotici (fermenti lattici). Yogurt e kefir sono ampiamente disponibili ed apportano un gran numero di tipi di Lactobacillus, alcuni dei quali hanno proprietà biologiche ben individuate. Ad esempio, alcuni batteri commensali come Streptococcus thermophilus, e le specie più rappresentative del genere Lactobacillus, come L. casei, L. rhamnosus, L. gasseri e L. delbrueckii (sottospecie bulgaricus), sono in grado di aumentare i livelli di citochine antinfiammatorie, come la IL‑10. Anche il genere Bifidobacterium può agire sui linfociti Treg, aumentando il livello intracellulare di IL‑10 e del suo recettore (IL‑10Rα), suggerendo che il Bifidobacterium promuove questo circuito molecolare in certe cellule immunitarie intestinali.

Le variazioni di composizione del microbiota è ovvio che possono cambiare per sesso, locazione geografica, etnia e stile alimentare locale o adottato. Ci sono delle variazioni abbastanza specifiche di certe specie batteriche (non molte nello specifico), come Blautia, Methanobrevibacter, Prevotella, Akkermansia, Bilophila e Dorea. Queste specie sembrano ridursi significativamente nell’intestino dei pazienti con SM semplice o certe sue varianti come quella remittente-recidivante (RRMS). Questo fa sperare che sia possibile un giorno usare queste specie (ingegnerizzate o meno) come probiotici selettivi per ribilanciare il microbiota di questi pazienti, fungendo magari da parziale “ago della bilancia”.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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