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Metabolomica inversa: il metabolismo del microbiota è più importante delle sue stesse variazioni nelle malattie

L’importanza del microbiota nella salute umana ha raggiunto ormai livelli di consapevolezza molto superiore rispetto a 15 anni fa, quando si cominciava a trovare delle correlazioni fra sbilanciamento della sua composizione e comparsa di problemi come allergie, osteoartrosi, diabete tipo 2, poi le cardiovasculopatie ed infine anche le malattie autoimmuni. Gli scienziati, finora, hanno notato che la disbiosi è alla base della comparsa di questi disturbi, ma quanto il metabolismo del microbiota nel determinare questo è ancora a livello di “aver grattato la crosta”. Negli ultimi anni, la ricerca sul microbioma ha iniziato a spostare la propria attenzione dai microbi stessi alle molecole da essi prodotte. Dopotutto, sono queste molecole che interagiscono direttamente con le cellule umane per influenzare la salute di una persona. Ma cercare di identificare quali molecole vengono prodotte dal microbioma di una persona è piuttosto impegnativo.

Un tipico studio di metabolomica può caratterizzare solo circa il 10% dei dati molecolari di un campione di microbioma umano. In un nuovo studio pubblicato adesso su Nature, gli esperti dell’Università della California a San Diego debuttano con un nuovo approccio che chiamano “metabolomica inversa”, una sorta di “reverse engineering” visto nella tecnologia. La tecnica combina sintesi organica, scienza dei dati e spettrometria di massa, per comprendere meglio quali molecole vengono secrete dal microbioma e come influenzano la salute umana. Nella loro prima applicazione della metabolomica inversa, gli scienziati hanno trovato centinaia di molecole che non erano mai state osservate prima nel corpo umano. Utilizzando questi nuovi dati, sono stati in grado di identificare una nuova firma metabolomica per la malattia infiammatoria intestinale (IBD), che include il morbo di Crohn.

Gli autori affermano che queste molecole potrebbero un giorno servire come biomarkers per la diagnosi di IBD o come potenziale bersaglio terapeutico per aiutare a curare la malattia. In un tipico studio di metabolomica, i ricercatori utilizzeranno uno strumento chiamato spettrometria di massa per cercare diverse molecole in un campione. In questa tecnica, ogni molecola ha il proprio “codice a barre” con cui può essere identificata. Tuttavia, gli scienziati devono sapere cosa rappresentano questi codici a barre per descrivere il contenuto di un campione, il che rimane una sfida. Nel nuovo studio, i ricercatori del Dorrestein Lab hanno adottato un approccio all’indietro. I ricercatori hanno utilizzato la sintesi organica per produrre prima migliaia di diverse molecole sintetiche da quattro classi di interesse, e poi hanno definito ciascuno dei relativi “codici a barre”.

I ricercatori hanno quindi utilizzato i dati metabolomici disponibili al pubblico, compresi quelli precedentemente raccolti tramite la Crohn’s & Colitis Foundation. I risultati hanno rivelato che 145 degli acidi biliari sintetizzati erano presenti in campioni biologici provenienti da dati pubblici, 139 dei quali non erano mai stati descritti prima. Gli scienziati hanno poi confrontato le “firme” di campioni provenienti da diverse popolazioni di pazienti e hanno trovato una forte associazione tra IBD e una classe di molecole sintetizzata dai microbi, le ammidi degli acidi biliari. Questa associazione è stata poi convalidata in più coorti, supportando l’idea che queste molecole siano probabilmente coinvolte nella patologia delle IBD. Guardando più da vicino, gli scienziati hanno notato che alcune ammidi biliari erano elevate nei pazienti con malattia di Crohn soprattutto quando avevano sintomi attivi.

La cosa interessante è che questo non era il caso dei pazienti con colite ulcerosa (RCU). I ricercatori hanno quindi iniziato a esplorare come queste molecole potrebbero influenzare la salute dell’intestino. Ulteriori esperimenti hanno dimostrato che diversi composti amidati della bile possono promuovere l’infiammazione intestinale disregolando la funzione delle cellule immunitarie, soprattutto i linfociti T. Ad esempio, un composto microbico ha prodotto un aumento di sei volte di una citochina chiave nota per essere coinvolta nella nel morbo di Crohn. Gli acidi biliari, infatti, si legano sia a recettori di superficie (come il TGR5, presente anche sui linfociti), e a svariati fattori di trascrizione nucleari, come PPAR-alfa, FXR-a ed alcuni recettori definiti “orfani”, posseduti anche dalle cellule immunitarie. A parte enzimi del metabolismo intermedio, queste proteine controllano infatti alcuni aspetti della reattività immunitaria.

Se gli acidi biliari possono essere dei regolatori positivi per la soppressione della reattività immunitaria, non è da escludere che le ammidi biliari identificate in questa indagine possano comportarsi da antagoniste, usando le cellule immunitarie come bersaglio per attivare le risposte infiammatorie osservate nella malattia di Crohn. Nozioni come queste potrebbero un giorno essere utilizzate per aiutare a differenziare e diagnosticare tipi specifici di IBD. Gli autori affermano che le molecole che hanno descritto potrebbero un giorno ispirare nuove terapie per il trattamento di morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa, colite collagenica e patologie similari.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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