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Rischio di obesità legato alla dieta? Le scelte su base vegetale possono impedirlo

Le diete a base vegetale sono state associate a benefici per la salute e hanno contribuito a migliori risultati ecologici. In particolare, molte delle popolazioni più longeve del mondo hanno componenti vegetali che costituiscono una parte importante della loro alimentazione quotidiana, con un consumo minimo o nullo di carne, ad eccezione del pesce. Sebbene sia stato precedentemente segnalato che il rischio alimentare influenza il rischio genetico dell’obesità, sono stati raccolti pochi dati sull’impatto delle diete a base vegetale e sui fattori genetici che predispongono all’obesità. Sono stati identificati geni associati all’obesità con espressione sia centrale che periferica, ma il loro meccanismo d’azione è poco compreso. Ricerche precedenti hanno dimostrato che i geni che mediano il rischio di obesità influenzano i comportamenti alimentari, insieme ad altri geni attivati dall’ambiente come l’esposizione allo stress pediatrico, i livelli di leptina, l’attività fisica e i sintomi depressivi.

Ancora una volta, questi geni sono collegati al comportamento alimentare tramite l’indice di massa corporea (BMI), l’indicatore dell’obesità più comunemente utilizzato. Lo stile di vita, i fattori demografici e psicologici agiscono sui fattori genetici che mediano l’associazione con l’obesità, ma l’impatto della dieta su questo percorso non è chiaro. Alcune ricerche precedenti indicano che le persone con una predisposizione genetica all’obesità seguono diete di qualità inferiore e saltano i pasti, spiegando in parte il collegamento. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista specializzata Obesity Journal ha esplorato il potenziale legame tra modelli alimentari a base vegetale (indici dietetici a base vegetale, PDI) e rischio genetico di obesità. Il presente studio è stato motivato dalla necessità di identificare prove a sostegno di un effetto causale e interattivo delle diete a base vegetale sul rischio genetico dell’obesità. Lo studio si basava sui dati di oltre 7.000 partecipanti alla coorte CARTaGENE, tutti adulti canadesi.

I ricercatori hanno generato due punteggi di rischio poligenico (PRS) per un indice di massa corporea elevato (BMI), tra i marcatori più comunemente usati per l’obesità. Questi erano basati su due milioni di polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) per individui non sani e 92 per persone sane. Al follow-up sei anni dopo, c’erano circa 2.260 adulti con dati associati all’obesità. I risultati mostrano una relazione significativa tra l’obesità e i punteggi complessivi PRS e PDI e tra quelli del gruppo “sano”. C’erano poche prove che suggerissero che i successivi PDI avessero un ruolo moderatore o mediatore nella predisposizione genetica all’obesità. Tuttavia, i risultati suggeriscono un beneficio per gli individui obesi che seguono un modello dietetico più strettamente a base vegetale. Le donne avevano maggiori probabilità di avere PDI sane rispetto agli uomini, che avevano un rischio maggiore di PDI malsane. Un aumento del punteggio PDI complessivo è stato collegato a un BMI, girovita e grasso corporeo più bassi.

Le diete poco salutari a base vegetale non erano correlate alla riduzione del rischio di obesità, compreso un maggiore consumo di frutta e verdura, con più bevande zuccherate. Inoltre, il consumo di cereali integrali mediava parzialmente l’associazione con il BMI nei maschi in un dato momento e quando veniva seguito nel tempo. Le persone che consumavano più cereali integrali avevano meno probabilità di diventare obese o di soffrire di complicazioni correlate. Il consumo di carne non sembrava mostrare alcun effetto di mediazione. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che “la suscettibilità genetica alle malattie complesse varia nel corso della vita”, in modo tale che i geni che favoriscono l’obesità potrebbero essere più attivi nei primi anni di vita. I risultati suggeriscono che le persone con un aumentato rischio genetico di obesità potrebbero fare bene a controllare il loro apporto alimentare-

In particolare, la riduzione del consumo di carne e altri prodotti animali, includendo più prodotti a base vegetale sarebbe la scelta più saggia. E’ interessante notare che il consumo di cereali integrali è stato positivamente associato al mantenimento di un peso salutare. Questa è solo una delle conferme che proviene dalle ricerche condotte negli ultimi 10 anni, dove il consumo di cereali integrali (ma non raffinati) è stato trovato associarsi positivamente al una migliore mantenimento della glicemia, del profilo dei grassi sanguigni ed una generale riduzione del rischio associato a sovrappeso, obesità, diabete e prevenzione. Il controllo di questi fattori, di riflesso, si correla ad una confermata minore incidenza di cardiovasculopatie, che rappresentano un gravoso onere di sanità pubblica.

​- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Pubblicazioni scientifiche

Masip G. et al. Obesity (Silver S.) 2023; oby23944:1-14.

Gutierrez-Mariscal FM et al. Eur J Nutr. 2023; 62(4):1903.

Sun C, Zhang WS et al. Nutrients. 2022; 14(7):1406.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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