L’infiammazione è una risposta generalizzata ad un insulto esterno, che comporta la sintesi di mediatori chimici e l’attivazione di popolazioni cellulari effettrici. Usualmente le flogosi possono essere innescate da batteri, virus, miceti e parassiti. Esistono tuttavia delle flogosi asettiche, ovvero indotte per lo più da agenti fisici o chimici in assenza di alcun organismo biologico. E’ quello che succede, ad es. con la dermatite post-solare, in cui la componente ultravioletta riesce ad attivare risposte flogistiche dopo aver esercitato la sua azione molecolare sulle cellule (stress ossidativo, attivazione di proteine ed enzimi, ecc.). La stessa cosa succede con gli alimenti: esiste la possibilità che componenti alimentari poco aggredibili o indigeribili, scatenino una reazione simil-antigenica che conduce alla flogosi del tubo digerente, localizzata o sistemica. E’ quello che succede, ad esempio, col glutine di frumento e le caseine del latte vaccino.
La medicina moderna si confronta quotidianamente con fenomeni di infiammazione a bassa intensità, spesso duraturi e che per tanti anni sono stati scarsamente compresi. L’infiammazione da cibo è un fenomeno che rientra tra questi. Di positivo c’è che oggi è possibile misurarla e definirla, andando quindi al di là della conoscenza di VES e PCR che da oltre 50 anni restano incredibilmente i maggiori due “indicatori di flogosi” usati dalla medicina. La scoperta che un alimento può indurre la produzione di mediatori chiamati PAF e BAFF e provocare tutti i sintomi infiammatori che usualmente sono ascritti al cibo, risale a circa 15 anni fa, ma solo da poco è stata inclusa in ambito clinico. La definizione della “Gluten sensitivity” come entità patologica ha gettato altre luci sui fenomeni infiammatori da cibo. Questa intolleranza al glutine è presente in oltre il 20% della popolazione sana.
Gli studi di Finkelman hanno permesso di capire che le IgG nei confronti di un alimento possono essere il segno di una precedente attivazione immunologica nei confronti di quel cibo. In accordo agli studi di Ligaarden, invece, potrebbero indicare l’eccessiva utilizzazione di un alimento o la sua assunzione ripetuta, voluttuaria e sistematica. Quindi le stesse IgG verso gli alimenti vanno viste per quello che sono: un semplice segnale dell’avvenuto contatto immunologico con l’alimento. La flogosi da cibo sembra avere come perno molecolare i recettori Toll (TLR2, TLR4, TLR6, ecc.). Come dice la radice del nome, sono proteine implicate nei fenomeni di tolleranza immunitaria nei confronti di agenti esterni, per lo più batteri e virus. Più recentemente, è stato appurato che i recettori TLR possono avere ligandi anche più piccoli come DNA e proteine batterici, polisaccaridi ed anche sostanze chimiche esogene.
Secondo una ricerca relativamente recente condotta dall’Università di Bonn in Germania, la dieta occidentale evoca una risposta del sistema immunitario simile a come reagisce alle infezioni da batteri pericolosi. Un altro risultato inquietante dello studio è che, a più lungo termine, una dieta occidentale può rendere il sistema immunitario reattivo a qualsiasi stimolo infiammatorio. Ad aggravare la cosa, sembra che il ripristinare una dieta salutare non annulla il danno. I cambiamenti a lungo termine possono contribuire al diabete di tipo 2, all’arteriosclerosi ed altre condizioni collegate al consumo di una dieta occidentale, in cui si pensa che l’infiammazione svolga un ruolo. Il team ha anche scoperto che una proteina chiamata NLRP3 è il sensore del sistema immunitario che riconosce la dieta occidentale come agente patogeno e quindi attiva la risposta infiammatoria.
Inoltre, sembra che oltre a scatenare l’infammazione attraverso NLRP3, la dieta occidentale provochi anche cambiamenti “epi-genetici”. Essi consistono in modifiche a lungo termine nella regolazione di materiale genetico, così che le parti del DNA che sono normalmente difficili da accedere sono più facili da leggere. Di conseguenza il sistema immunitario reagisce anche a piccoli stimoli con risposte infiammatori inopportune. Per lo studio, i ricercatori hanno nutrito topi a rischio di aterosclerosi su una dieta occidentale comprendente cibi ipercalorici, da fast food, ricchi di grassi e a basso contenuto di fibre. Dopo solo 1 mese, i topi hanno mostrato cambiamenti nel loro corpo che sono simili alle forti reazioni infiammatorie che si verificano nelle infezioni batteriche. La dieta malsana ha portato ad un inaspettato aumento del numero di alcune cellule immunitarie chiamate granulociti e monociti.
Ciò ha portato il team a esplorare ciò che potrebbe accadere più a monte, nel midollo osseo, dove si trovano i precursori o progenitori di questi particolari tipi di cellule immunitarie. I ricercatori hanno confrontato i principali progenitori del midollo osseo delle cellule immunitarie di topi che erano stati nutriti con una dieta occidentale, con quelli di topi di controllo che erano stati nutriti con una dieta di cereali più sana e normale. Hanno scoperto che la dieta occidentale aveva attivato una forte componente genetica nelle cellule progenitrici, tra cui quella che stimola la proliferazione e migliora le risposte dell’immunità innata. La risposta infiammatoria acuta si è attenuata nei topi di dieta occidentali dopo che sono stati immessi nella loro normale dieta per 4 settimane. Ma il passaggio a una dieta più salutare non è riuscito a invertire le alterazioni fondamentali nel sistema immunitario innato; molti dei geni attivati dalla dieta occidentale sono rimasti attivi.
In una serie finale di esperimenti i ricercatori hanno confermato il ruolo di NLRP3 dimostrando che i topi geneticamente privi di questa proteina non sviluppavano l’infiammazione sistemica da una dieta occidentale. E nemmeno hanno mostrato alcuni degli altri cambiamenti a lungo termine descritti. I ricercatori concludono che NLRP3 regoli l’immunità addestrata che deriva da una dieta occidentale, potendo quindi mediare i suo ieffetti potenzialmente deleteri nelle malattie infiammatorie. NLRP3 è anche chiamato “inflammosoma”; è un complesso proteico scoperto dieci anni fa che si scoprì essere implicato nel rilascio di interleuchina-1 da parte delle cellule che vengono a contatto con stimoli infiammatori fisicamente grossi. Più tipi di recettori sono presenti sulle cellule che riconoscono diverse forme; i principali sono proprio i recettori Toll descritti prima
Ognuno di loro è specializzato nel riconoscimento di agenti esterni, come batteri, virus, frammenti di DNA, proteine allergeniche o antigeniche introdotte col cibo, fino a microcristalli di quarzo, colesterolo o acido urico. Durante gli ultimi dieci anni, la ricerca ha visto l’inflammosoma protagonista nell’infertilità, nelle malattie infiammatorie croniche, negli esiti di ictus cerebrale e in molte forme di autoimmunità. Considerato il potenziale coinvolgimento dell’inflammosoma nelle flogosi internistiche di origine non batterica, l’idea di un antagonismo farmacologico ha stimolato la ricerca scientifica. Alcuni antagonisti sono già presenti in Natura come principi attivi vegetali. Uno di questi è il partenolide, un terpene presente nel tanaceto (Tanacetum parthenium) che agisce sulla componente NRLP3 e sull’attivazione parallela dell’NF-kB. Il partenolide è un ottimo antiflogistico cortison-simile ed è parente strettissimo dei terpeni presenti nella camomilla (matricarina).
Anche un componente attivo della liquirizia, la iso-liquiritigenina, ha azione anti-infammatoria mista, bersagliando sia l’inflammosoma che il fattore nucleare NF-kB. Un altro composto ad azione antagonista sull’inflammosoma è la epigallo-catechina gallato (EGCG), uno dei principi attivi del thè verde. Infine l’aloemodina, uno dei principi attivi dell’Aloe vera, interferisce direttamente con la sua attivazione.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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