Gli acidi grassi Omega-3 sono già stati collegati a una serie di benefici per la salute. Gli studi hanno suggerito, ad esempio, che riducono il rischio di malattie cardiache, trombosi che causa ictus, alcuni tumori e la demenza senile. I ricercatori dell’Università della Virginia hanno, invece, esaminato l’associazione tra i livelli plasmatici di acidi grassi omega-3 e la progressione della fibrosi polmonare, nonché per quanto tempo i pazienti potrebbero resistere senza aver bisogno di un trapianto. La fibrosi polmonare (IPF) è una condizione irreversibile che lascia i polmoni incapaci di scambiare correttamente ossigeno e anidride carbonica. Ciò può causare ai pazienti mancanza di respiro, debolezza, incapacità di esercitare e una serie di altri sintomi. Nel 2016 ci sono stati 127.500 decessi nel mondo per IPF, con un aumento del 40% rispetto al 2006.
Il dottor John Kim dell’Università della Virginia e i suoi colleghi volevano determinare se gli omega-3 potessero svolgere un ruolo protettivo nelle malattie polmonari interstiziali, un gruppo di malattie polmonari croniche che possono portare alla fibrosi polmonare. I ricercatori hanno esaminato dati anonimi sui pazienti con malattia polmonare interstiziale raccolti nel registro della Pulmonary Fibrosis Foundation, nonché informazioni fornite volontariamente dai pazienti dell’UVA Health e dell’Università di Chicago. In totale, gli scienziati hanno esaminato le informazioni su più di 300 persone affette da malattia polmonare interstiziale. I ricercatori hanno scoperto che livelli più elevati di omega-3 erano associati a una migliore funzionalità polmonare e a una sopravvivenza libera dalla necessità di trapianto più lunga.
La maggior parte erano uomini e la maggior parte soffriva di fibrosi polmonare “idiopatica”, una delle condizioni che rientrano nella bandiera della malattia polmonare interstiziale. I ricercatori hanno scoperto che livelli più elevati di acidi grassi omega-3 nel plasma sanguigno erano associati a una migliore capacità di scambiare anidride carbonica e a una sopravvivenza più lunga senza la necessità di un trapianto di polmone. Questo non variava molto indipendentemente dalla storia di tabagismo o dal fatto che i pazienti avessero malattie cardiovascolari. Sebbene siano necessarie ulteriori ricerche, i ricercatori affermano che i loro risultati giustificano studi clinici per determinare se gli interventi che aumentano i livelli di omega-3 potrebbero essere uno strumento utile per migliorare i risultati per i pazienti con fibrosi polmonare e altre malattie polmonari croniche.
I medici affermano che sono necessarie ulteriori ricerche per capire come gli omega-3 potrebbero avere questo beneficio protettivo, per ottenere ulteriori approfondimenti e determinare se i farmaci a base di acidi grassi omega-3 o i cambiamenti nella dieta potrebbero migliorare i risultati dei pazienti. Gli omega-3 inibiscono la produzione di eicosanoidi infiammatori (prostaglandine, leucotrieni, ecc.) e vengono metabolizzati in mediatori lipidici risolutivi (resolvine, marensine) che attenuano l’infiammazione polmonare e la fibrosi. Alcuni meccanismi molecolari degli omega-3 sulle azioni antinfiammatorie sono già noti agli scienziati. Questi metaboliti ω-3 inibiscono la fibrosi riducendo la moltiplicazione dei fibroblasti indotta dal fattore di crescita TGF-β1, che li stimola a produrre troppo collagene (che causa irrigidimento degli interstizi polmonari).
L’attivazione mediata dal DHA del recettore perossisomiale PPAR-γ può conferire protezione contro la fibrosi polmonare inibendo l’espressione delle citochine infiammatorie IL-6 e TNF-α mediata dal fattore di trascrizione NFκB nei fibroblasti polmonari e nelle cellule epiteliali alveolari di tipo II. Ulteriori prove provengono da uno studio di associazione sull’intero genoma che ha identificato una variante genetica associata a una ridotta capacità vitale forzata in più coorti umane. Livelli più elevati di DHA hanno attenuato questa associazione negativa, il che suggerisce che il DHA può avere effetti benefici sulla funzione polmonare negli esseri umani. Qualche ricerca pubblicata pochissimi anni fa riporta che è stato possibile evidenziare proprio delle variazioni di imaging TC di miglioramenti polmonari umani indotti da integrazione omega-3.
Senza dubbio, sarebbe opportuno organizzare dei trials clinici mirati sia attraverso l’integrazione alimentare mirata e con dosaggio non inferiore al minimo richiesto per un effetto biologico visibile. Altro lato importante, quello della dieta. La maggior parte degli adulti non raggiunge adeguatamente il proprio obiettivo giornaliero di assunzione di ω-3 attraverso la dieta o gli integratori, nonostante le raccomandazioni dell’OMS di consumare 200-500 mg di DHA ed EPA (che equivalgono a 1-2 porzioni di pesce) a settimana. Livelli più elevati di DHA e altri acidi grassi ω-3 possono essere correlati a stili di vita più sani, che potrebbero guidare il collegamento tra ω-3 e minori rischi di malattie croniche, fra cui la stessa malattia interstiziale polmonare.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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