La malattia di Alzheimer (ALD) è una malattia cerebrale progressiva che colpisce prevalentemente individui anziani, caratterizzata dalla degenerazione dei neuroni cerebrali. Si stima che colpisca il 5% degli individui di età compresa tra 65 e 74 anni, il 13,1% tra 75 e 84 anni e il 33,3% sopra gli 84 anni, colpendo attualmente 44 milioni di persone, con un numero in aumento ogni anno. L’ALD è riconosciuta come la principale causa di demenza in tutto il mondo, senza alcuna cura attualmente nota e il trattamento è limitato alla gestione dei sintomi. Anche se il fondamento definitivo della malattia deve ancora essere identificato, si ritiene che la causa della malattia sia genetica e l’esposizione ambientale. Ricerche recenti hanno identificato che l’ALD non è una singola malattia ma un termine generico per uno spettro di condizioni che variano in modo significativo a livello molecolare.
Sfortunatamente, questi progressi nella ricerca invalidano un ampio corpo di letteratura precedente che tentava di chiarirne la fisiopatologia clinica. La proteomica è lo studio delle interazioni, della funzione, della composizione e delle strutture delle proteine e delle loro attività cellulari. Incorpora tecniche di sequenziamento all’avanguardia di “prossima generazione” come la spettrometria di massa (MS) per identificare e caratterizzare migliaia di subunità proteiche nei biofluidi. Il liquido cerebrospinale (CSF) è il più accessibile di questi biofluidi relativi alle condizioni neurologiche grazie al suo costante contatto con il cervello e al suo ruolo di proxy per il processo fisiopatologico del cervello. In un’ultima indagine, i ricercatori hanno utilizzato un approccio di coorte caso-controllo, utilizzando il CSF di pazienti affetti da ALD e controlli sani di pari età, per rivelare le proteine differenzialmente up e down-regolate in queste coorti tramite analisi proteomiche.
Il gruppo campione dello studio è stato derivato dall’Amsterdam Dementia Cohort (ADC), uno studio in corso su tutti i pazienti che hanno cercato cure presso il Centro Alzheimer di Amsterdam dal 2000. I criteri di inclusione nello studio comprendevano la diagnosi di ALD, confermata sulla base della presenza di un’amiloide anomalo (casi) e controlli corrispondenti per età, sesso e dati demografici. Il liquido cerebrospinale di entrambe le coorti è stato raccolto e sottoposto a spettrometria di massa (MS) con cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC). I campioni di sangue provenienti da casi e controlli sono stati ulteriormente sottoposti alla genotipizzazione dell’apolipoproteina E (APOE) per individuare polimorfismi a singolo nucleotide noti per potenziare o sopprimere l’AD. La risonanza magnetica (MRI) è stata utilizzata per visualizzare i modelli di atrofia cerebrale e valutare le differenze nelle neuroimmagini dei pazienti con AD e dei controlli.
Il presente studio ha incluso 609 casi e 187 controlli. Dei casi di AD inclusi, 107 mostravano cognizione normale, 103 mostravano un lieve deterioramento cognitivo (MCI) e 209 mostravano demenza. Le analisi LC-MS/MS hanno identificato 3.863 proteine uniche nel liquido cerebrospinale, di cui 1.309 proteine erano comuni a tutti i partecipanti inclusi e sono state utilizzate per ulteriori analisi. Di questi, le analisi dei cluster hanno rivelato 1.058 proteine correlate all’AD. La combinazione dei risultati del clustering con le caratteristiche cliniche dei pazienti ha rivelato cinque distinti sottotipi di AD. Il sottotipo 1 è caratterizzato da iperplasticità neuronale, il sottotipo 2 dall’attivazione immunitaria innata, il sottotipo 3 da disregolazione dell’RNA, il sottotipo 4 da disfunzione del plesso coroideo e il sottotipo 5 da disfunzione della barriera ematoencefalica.
La genotipizzazione APOE ha confermato i cluster identificati e ha suggerito un supporto genetico unico per ciascun sottotipo. È stato riscontrato che i sottotipi differiscono significativamente in base alla loro patologia clinica, come evidenziato dai test neurofisiologici: il sottotipo 3 sembra più aggressivo nel suo tasso di progressione rispetto agli altri sottotipi. Inoltre, ogni sottotipo ha dei fattori genetici di rischio che sembrano abbastanza “dedicati”. Dato il grado di unicità genetica e fisiopatologica di questi sottotipi, diventa evidente la necessità di una medicina personalizzata. Anche perché il grado di atrofia corticale e, quindi, di margini di sopravvivenza sono diversi fra loro. In base ai fattori sottostanti, i ricercatori sostengono che possono essere usati infatti modalità di trattamento mirate.
Ad esempio, gli individui del sottotipo 1 possono trarre beneficio dai trattamenti che attivano TREM2, il sottotipo 2 dagli inibitori del sistema immunitario innato, il sottotipo 3 dagli oligonucleotidi antisenso che ripristinano l’elaborazione dell’RNA, il sottotipo 4 dall’inibizione dell’infiltrazione dei monociti e il sottotipo 5 dai trattamenti cerebrovascolari, dato che è coinvolta la barriera ematoencefalica. Quindi queste nozioni potrebbero finalmente aprire la porta alla medicina personalizzata che si auspica così tanto.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
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