Classificazione e diagnosi dell’emicrania
Le emicranie furono inizialmente classificate dalla International Headache Society (IHS) nel 1988, rappresentando una svolta nella gestione delle malattie poiché consentì, per la prima volta, l’uso di terminologie comuni nella ricerca medica e scientifica. L’ultima edizione, intitolata “Classificazione internazionale delle cefalee (versione beta dell’edizione ICHD-3a)”, fa parte della classificazione internazionale delle malattie dell’OMS (ICD-11) sin dalla sua pubblicazione nel 2018. La classificazione riconosce più di 300 tipi unici di mal di testa, classificati in modo gerarchico in 14 gruppi, ciascuno dei quali ha una maggiore accuratezza diagnostica rispetto al precedente.
I gruppi da uno a quattro vengono utilizzati per diagnosticare le cefalee primarie, che di solito hanno una base genetica. I gruppi da 5 a 12 vengono utilizzati per diagnosticare l’emicrania che si presenta come comorbilità in altre malattie. Infine, i gruppi 13 e 14 vengono utilizzati per identificare i mal di testa secondari che si verificano a causa di fattori non genetici, come traumi cranici, disturbi psichiatrici, squilibri ormonali e abuso di sostanze. Sorprendentemente, nonostante decenni di ricerca sul campo, mancano ancora test clinici diagnostici per l’emicrania, con la diagnosi limitata allo screening dei sintomi associati alla malattia.
Terapia medica dell’emicrania
Tradizionalmente, gli interventi clinici sull’emicrania (farmaci) sono stati mirati a ridurre la frequenza degli attacchi attraverso il trattamento delle patologie associate all’emicrania e si sono quindi concentrati sui gruppi da 5 a 12 della classificazione sopra menzionata. Ad esempio, nel caso dell’emicrania come effetto collaterale di patologie cardiache preesistenti, i beta-bloccanti vengono utilizzati per trattare questi problemi cardiaci partendo dal presupposto che i miglioramenti cardiovascolari si tradurrebbero in esiti benefici dell’emicrania. Gli interventi focalizzati sulla gestione degli attacchi una volta che si verificano vengono trattati caso per caso in base alla gravità dell’attacco: gli attacchi lievi vengono trattati con antidolorifici (come l’ibuprofene), mentre quelli più gravi comportano l’uso di combinazioni di antiemetici e antidolorifici. triptani insieme a liquidi per via endovenosa per compensare quelli persi con il vomito.
In particolare, nessuno dei farmaci convenzionalmente utilizzati contro l’emicrania ha una bassa efficacia (scenario migliore: una riduzione del 50% nella frequenza e nella gravità degli attacchi). È incoraggiante che recenti ricerche abbiano identificato il ruolo del recettore del peptide correlato al gene della calcitonina (CGRP) nella patologia dell’emicrania. CGRPR è un recettore accoppiato a proteine G (GPCR) ed è espresso prevalentemente nei gangli neurali del trigemino. La scoperta di questi recettori e la delucidazione della loro associazione con l’emicrania ha consentito il rapido sviluppo di antagonisti del CGRP e, più recentemente, di anticorpi monoclonali anti-CGRP, nuovi farmaci solitamente iniettati per via sottocutanea, che migliorano sostanzialmente gli esiti dell’emicrania. Olcegepant è stato il primo antagonista del CGRP sviluppato specificatamente contro l’emicrania, ma dato il suo ampio volume richiedeva una frequente somministrazione endovenosa.
Telcagepant è stato successivamente sviluppato come alternativa orale a Olcegepant. Sfortunatamente, come tutti gli antagonisti del CGRP che seguirono, questi farmaci avevano il notevole effetto collaterale di causare mal di testa più lievi simili all’emicrania nei pazienti. Al contrario, i progressi nella ricerca sugli anticorpi monoclonali hanno consentito lo sviluppo di anticorpi monoclonali anti-CGRP, che hanno dimostrato di essere sicuri e privi di effetti collaterali anche in caso di uso prolungato, superando gli antagonisti del CGRP in termini di efficacia del trattamento. La ricerca ha dimostrato che la terapia con anticorpi monoclonali può comportare una riduzione del 50% della frequenza dell’emicrania, migliorando sostanzialmente la qualità della vita dei pazienti. Più recentemente, la bioprospezione sta esplorando l’utilità dei veleni derivati dagli artropodi e dai serpenti come futuri interventi anti-emicrania, date le proprietà vasocostrittrici e antinfiammatorie dei loro peptidi.
Alimenti e diete come possibili complementi?
La ricerca ha rivelato una forte associazione tra il cibo e vari tipi di emicrania, con alcuni alimenti e diete che aumentano il rischio di emicrania mentre altri prevengono o gestiscono la condizione. Il caffè costituisce un ottimo esempio della regola del “tutto con moderazione”: è stato scoperto che il suo uso eccessivo ha un effetto che induce l’emicrania, mentre il suo uso controllato è una delle pratiche di gestione naturale più conosciute contro gli attacchi. Lo stesso vale per il vino e alcuni alimenti contenenti ammine biogene (triptamina, tiramina, ecc.) come il cibo in scatola, il salame, la pancetta, le banane e il cacao. Gli alimenti ricchi di carboidrati complessi, fibre e minerali (in particolare calcio e magnesio), al contrario, si sono dimostrati utili nel trattamento della condizione, con recenti rapporti che evidenziano l’efficacia dello Zingiber officinale (zenzero) e della Cannabis sativa (cannabis) come scelte alternative naturali prive di effetti collaterali come i farmaci antiemicrania.
Anche se gli alimenti scatenanti variano da paziente a paziente, i colpevoli più comuni sono i formaggi stagionati, il cioccolato, le uova, la carne, il grano, le noci e specifici tipi di frutta e verdura (pomodori, cipolle, mais, banane e mele). I fattori scatenanti peggiori e quasi onnipresenti, tuttavia, sono le bevande alcoliche, in particolare il vino rosso. Al contrario, la ricerca del Dietary Approaches to Stop Hypertension (DASH) ha rivelato che l’emicrania negli adulti può essere gestita attraverso l’astinenza di sodio (< 2,4 g/giorno) e un aumento dell’assunzione di calcio e magnesio. Basandosi su questo lavoro, studi clinici hanno dimostrato che diete come la dieta Mediterranea, ricca di alimenti di origine vegetale e grassi sani, possono ridurre significativamente la frequenza e la durata degli attacchi attraverso la loro associazione con il microbioma intestinale.
La dieta chetogenica (Keto-dkiet) è una dieta a basso contenuto di carboidrati e ricca di grassi inizialmente sviluppata negli anni ’20 per trattare l’epilessia infantile, ma si è rivelata sorprendentemente benefica contro altre patologie, inclusa l’emicrania. Sorprendentemente, la dieta chetogenica ha portato alla completa scomparsa dell’emicrania in alcuni pazienti clinicamente testati, evidenziandone l’utilità come modifica comportamentale sicura contro la malattia. Sfortunatamente, la ricerca non ha ancora svelato il meccanismo attraverso il quale questo modello alimentare altera la patologia dell’emicrania. Gli scienziati ritengono che le diete come quella Mediterranea e la chetogenica siano interventi sicuri ed efficaci in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti e, in alcuni casi, nel tempo poter arrestare del tutto l’emicrania.
Considerando le decine di milioni di persone in tutto il mondo che soffrono di emicrania, il peso sanitario che rappresenta, le spese mediche e l’inficiamento della qualità di vita e del lavoro, qualsiasi approccio complementare di aiuto può essere ben accetto.
- A cura del Dr. Gianfranceasco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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