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Le conquiste della ricerca contro il cancro alla prostata: da farmaci “riscoperti” a nuovi bersagli e nuove strategie di previsione

Il cancro alla prostata è il secondo tumore più comune negli Stati Uniti e il quarto tumore più comune nel mondo. I ricercatori hanno identificato una proteina recettore nota come CHRM1 che svolge un ruolo chiave nella resistenza delle cellule tumorali della prostata al docetaxel, un farmaco chemioterapico comunemente utilizzato per trattare il cancro avanzato che ha originato metastasi. La scoperta apre la porta a nuove strategie che potrebbero superare questa resistenza. Ciò potrebbe in definitiva contribuire a prolungare la vita delle persone affette da cancro alla prostata. Condotto da un team di scienziati della Washington State University, lo studio ha dimostrato che il blocco di CHRM1 nelle linee cellulari resistenti del cancro alla prostata e in un modello animale basato su tessuto resistente derivato dal paziente ha ripristinato la capacità del docetaxel di uccidere le cellule e fermare la crescita del tumore.

I ricercatori hanno utilizzato la diciclomina, un farmaco che inibisce selettivamente l’attività del CHRM1. La diciclomina è già sul mercato come farmaco generico ed è attualmente utilizzata per trattare i sintomi della sindrome dell’intestino irritabile. Pubblicati sulla rivista Cell Reports Medicine, i risultati dei ricercatori supportano test clinici per confermare se l’uso combinato di docetaxel e diciclomina potrebbe aiutare a superare la resistenza al trattamento nei pazienti affetti da cancro alla prostata. La resistenza al docetaxel può svilupparsi nel cancro alla prostata dopo circa sei mesi di trattamento. I farmaci chemioterapici come il docetaxel sono tra le pochissime opzioni disponibili per i pazienti con cancro alla prostata resistente alla castrazione (CRPC) ottenuta per via ormonale. Oltre a testare linee cellulari tumorali resistenti, il gruppo di ricerca ha anche testato cellule che rispondevano ancora al docetaxel.

Hanno scoperto che l’uso della diciclomina per bloccare CHRM1 in queste cellule rendeva il docetaxel più efficiente nell’ucciderle. Ciò dimostra che i pazienti affetti da cancro alla prostata potrebbero potenzialmente beneficiare di una strategia di trattamento combinato anche prima che si sviluppi resistenza al docetaxel. Nel frattempo, nonostante i progressi nella scoperta e nel riutilizzo dei farmaci, esiste la possibilità di trarre vantaggio dai dati esistenti e migliorare le conoscenze precedenti, combinando gli sforzi di altri campi. Ad esempio, ora i ricercatori della Rutgers hanno ideato una strategia che potrebbe far sì che il trattamento funzioni più a lungo. Per lo studio, gli scienziati hanno sviluppato algoritmi computazionali per scoprire perché il popolare farmaco enzalutamide (marchio Xtandi) non funziona mai per alcuni pazienti e perché alla fine smette di funzionare in altri.

I ricercatori hanno analizzato i dati avanzati dei pazienti affetti da cancro alla prostata per mappare le interazioni tra i percorsi molecolari e i relativi fattori di trascrizione a monte nelle cellule tumorali della prostata. La loro attenzione si è concentrata sul percorso MYC a causa del suo ruolo noto nel cancro alla prostata. Hanno scoperto che un’altra proteina e fattore di trascrizione, NME2, lavora a stretto contatto con c-Myc nelle cellule di cancro alla prostata avanzato che resistono all’enzalutamide e continuano a diffondersi. L’analisi delle cartelle cliniche ha rilevato che i pazienti con livelli elevati di c-Myc e NME2 avevano cinque volte meno probabilità rispetto agli altri di beneficiare del farmaco. L’analisi ha inoltre rilevato che i livelli proteici sono aumentati in modo significativo nella maggior parte dei pazienti che hanno risposto al farmaco solo temporaneamente.

I ricercatori hanno collaborato con i colleghi della Northwestern University per confermare questi risultati con esperimenti su topi di laboratorio e tessuti tumorali. Il loro lavoro ha dimostrato ancora una volta che livelli elevati di c-Myc e NME2 erano associati a una scarsa risposta all’enzalutamide, sia nei campioni di tessuto che nei topi vivi, e che c-Myc e NME2 potrebbero aumentare in risposta all’uso di enzalutamide, il che spiega perché il farmaco potrebbe alla fine smettono di funzionare. Ma c’era un lato positivo: la riduzione dei livelli di NME2 e, quindi, di c-Myc ha ripristinato l’efficacia di enzalutamide nei tumori che erano diventati resistenti ai suoi effetti. I dati indicano che i pazienti con livelli elevati di c-Myc e NME2 resistenti alla enzalutamide possono comunque rispondere a farmaci alternativi, come l’abiraterone (Zytiga), e potrebbero beneficiare in modo significativo del targeting terapeutico contro MYC, ripristinando l’efficacia di enzalutamide e facendola funzionare più a lungo per questi pazienti.

Infine, possono essere sfruttati nuovi targets molecolari (proteine o enzimi) una volta che, capita la loro biologia o osservando un fenomeno cellulare inatteso, si trovino le correlazioni molecolari da sfruttare in campo terapeutico. Ricercatori e clinic sanno che la segnalazione cellulare mediata dal recettore degli androgeni (AR-alfa) è un fattore importante nella progressione del CRPC mentre solo una frazione del tumore diventa AR-negativa. Gli scienziati hanno scoperto che per neutralizzare AR-alfa non si può solo usare farmaci, fa anche incentivare le cellule a toglierlo di mezzo. Questo si può fare inibendo un enzima chiamato N-miristoil-trasferasi (NMT1), che attacca code di acido miristico alle proteine per far si che possano ancorarsi alle membrane cellulari. Gli scienziati hanno così sintetizzato (1R,2R)-LCL204, un farmaco ha inibito la miristoilazione proteica globale.

Dopo questo effetto, i livelli proteici, la traslocazione nucleare e l’attività trascrizionale dell’AR integrale o delle sue varianti nelle cellule PCa sono state soppresse. Ciò era dovuto alla maggiore degradazione dell’AR-alfa mediata dall’asse ubiquitina-proteasoma. L’abbattimento dei livelli di NMT1 ha inibito la crescita del tumore e la proliferazione delle cellule tumorali. Questa ricerca illustra una nuova funzione della NMT1 e fornisce una potenziale strategia per il trattamento del CRPC. E non solo: conferma che i recettori ormonali del testosterone non vagano liberi nel citoplasma come ritenuto in passato. Da tempo si sa che i recettori per gli steroidi possono ancorarsi alle membrane biologiche, anche se non se ne era capita la ragione. Era stata avanzata l’ipotesi che attendessero l’entrata dell’ormone (estrogeni, androgeni, ecc.), per poi staccarsi e migrare nel nucleo.

Questa ipotesi fu messa da parte quando si scoprì che esistono recettori per gli ormoni sessuali anche all’esterno delle cellule, che mediano effetti veloci non diretti al DNA ma che possono, comunque, preparare il “terreno biochimico” alla futura trascrizione genica. Inoltre, la miristoilazione appartiene anche alle proteine G accoppiate ai recettori di superficie, incluse proteine G oncogeniche come Rap1, Rac1 ed il famoso H-Ras, contro cui la ricerca ha sviluppato inibitori molto specifici. Questi farmaci, tuttavia, faticano ad essere efficaci nella sperimentazione clinica per ragioni che sono ancora da comprendere. Gli scienziati non sanno se bloccando tutta la miristoilazione globale e vedendo la degradazione di AR-alfa ci sia di mezzo lo zampino di una proteina G come H-Ras, ma difettosa.

Il dialogo Ras/MAP-chinasi con i recettori del testosterone è dimostrato da tempo e comunque la scoperta merita approfondimenti di ordine farmacologico e terapeutico. Aprendo anche curiosità derivate da nuove nozioni molecolari che possono portare a riscoprire meccanismi accantonati, ma che vale la pena sfruttare in nome delle terapie oncologiche volte alla cura dei pazienti.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Wang J, Wei J et al. Cell Reports Med 2024 Jan; 5:101388.

Panja S et al. Nature Commun. 2024 Jan; 15(1):352.

Alsaidan OA, Onobun E et al. Prostate. 2024; 84(3):254-68. 

Mullen SA, Das D et al. Prostate. 2024; 84(3):277-84.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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