venerdì, Dicembre 27, 2024

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Gli effetti delle avversità sociali sulla salute psicologica dei bambini: il ruolo della neuroinfiammazione ed i risvolti

Le avversità sociali sono associate a una cattiva salute generale e a un basso stato emotivo nei bambini. I fattori di rischio sociale, come il basso reddito familiare e le esperienze infantili avverse o traumatiche, hanno un effetto cumulativo sulla salute dei bambini. Esempi possono includere separazioni coniugali da incarceramento di un genitore, cyberbullismo, bullismo scolastico, svariate forme di discriminazione razziale ed altro ancora. Il cervello del bambino, per quanto immaturo a paragone con quello pienamente maturo (anche emotivamente) di un adulto, risponde tuttavia allo stress reiterato con modalità similari e quasi del tutto sovrapponibili. Questo significa che anche ormoni dello stress come adrenalina e cortisolo fanno i loro percorsi umorali e metabolici, influenzando il comportamento e quindi la salute mentale. Studi recenti hanno dimostrato che la variazione dei biomarkers aiuta a comprendere meglio i percorsi biologici influenzati dalle avversità sociali.

Questi marcatori potrebbero essere presi di mira per sviluppare nuovi interventi ed alleviare gli esiti della malattia. Le avversità sociali vengono misurate valutando l’attivazione dello stress biologico, che può essere stimato attraverso i livelli di biomarkers di infiammazione, neuromodulazione, processi epigenetici e funzione neuroendocrina. Ogni azione biologica ed ormonale, infatti, si accoppia ad un processo di espressione genica reattiva che lascia la “firma molecolare o genetica” del processo. Portando un esempio pratico, lo stress emotivo di preoccupazione fa innalzare l’adrenalina che causa rialzo pressorio. Se questo stress si prolunga per mesi o anni, c’è molta probabilità che si sviluppi ipertensione perché i cambiamenti cellulari e molecolari (sino al DNA) si sono così stabilizzati da farne portare la “memoria” al tessuto. Cioè, l’adrenalina ha modificato le risposte nei reni e nei vasi sanguigni tanto a lungo da prepararli all’ipertensione.

Gli scienziati hanno evidenziato che l’attivazione dello stress colpisce più biosistemi ed hanno identificato lacune nella comprensione dell’associazione tra le avversità sociali infantili e i biomarkers dello stress. Uno studio pubblicato qualche settimana fa, ha affrontato la suddetta lacuna nella ricerca esplorando l’associazione tra avversità sociali e biomarcatori di invecchiamento epigenetico, neuromodulazione, infiammazione e funzione neuroendocrina. È stato ipotizzato che i bambini che hanno sperimentato avversità sociali avrebbero livelli elevati di biomarkers infiammatori, un invecchiamento epigenetico accelerato e bassi livelli di biomarkers endocannabinoidi, rispetto a quelli che hanno sperimentato avversità sociali relativamente minori. Sono stati reclutati gli operatori sanitari di pazienti pediatrici residenti in cliniche pediatriche per acuti nella California settentrionale.

Alcuni dei criteri di ammissibilità dei partecipanti includevano la familiarità con l’ambiente domestico del bambino, l’aver fornito assistenza a un bambino di età compresa tra 0 e 17 anni e la capacità di parlare inglese o spagnolo. Nell’indagine di base, gli operatori sanitari hanno compilato un questionario. Al caregiver è stato chiesto del paziente, delle sue caratteristiche sociodemografiche e dei rischi sociali della famiglia. Le famiglie sono state assegnate in modo casuale a due gruppi di intervento dopo la raccolta di tamponi di mucosa buccale, saliva e campioni di capelli del bambino per la misurazione dei biomarcatori e l’indagine di base. È stato registrato il livello di istruzione più alto del caregiver. I campioni di saliva sono stati analizzati per individuare marcatori infiammatori, come l’interleuchina-1β (IL-1β), IL-6, IL-8 e dei biomarkers associati al fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α).

Campioni di capelli sono stati utilizzati per quantificare gli endocannabinoidi, gli ormoni steroidei e i loro precursori. Campioni di tamponi di guancia sono stati utilizzati per la metilazione del DNA (modifica epigenetica) dell’intero genoma. In base ai criteri di ammissibilità, per questo studio sono stati reclutati un totale di 537 partecipanti. L’età media dei bambini partecipanti era di 6 anni e la maggior parte di loro erano ispanici e femmine in buona salute. La maggior parte dei caregiver aveva tra i 25 ed i 44 anni e circa il 50% di loro aveva un diploma di scuola superiore o più. Nei bambini è stata osservata un’associazione significativa tra avversità sociali cumulative e infiammazione, basata sulle citochine stimate. Coerentemente con l’ipotesi dello studio, livelli più elevati di biomarkers infiammatori erano presenti nei bambini che avevano sperimentato avversità sociali.

Questa scoperta supporta studi precedenti che affermavano che le avversità sociali influenzavano il benessere clinico dei bambini e evidenziavano la necessità di identificarle e affrontare i bisogni sociali di questi bambini. Coerentemente con le precedenti meta-analisi, questo studio ha stimato livelli elevati di proteina C-reattiva (PCR) e IL-6 nei bambini che hanno vissuto condizioni sociali avverse. Inoltre, i bambini con due o più avversità sociali cumulative hanno mostrato bassi livelli di cortisolo, rispetto a quei bambini che non avevano alcuna esperienza di avversità sociali. Questo vuol dire che lo stress cronico ha agito stimolando la sintesi compensatoria del cortisolo nel bambino, fino ad arrivare ad un suo semi-esaurimento da “lavoro biochimico” prolungato. Contrariamente ai risultati di studi precedenti, questo studio non ha trovato alcuna associazione tra tipi specifici di avversità sociali e livelli di cortisone.

Tuttavia, è stata osservata una diminuzione del cortisone quando l’avversità sociale cumulativa era maggiore. Va notato che oltre al cortisone e al cortisolo, nessun altro steroide è stato influenzato da avversità sociali specifiche o cumulative. Parimenti, non esisteva alcun legame stabile tra gli endocannabinoidi e le avversità sociali specifiche/cumulative. Allo stesso modo, non è stata osservata alcuna relazione coerente tra le avversità sociali e i livelli di endocannabinoidi. Questa scoperta ha indicato che le avversità sociali non influenzano la risposta allo stress basata sui neurotrasmettitori. Nonostante i limiti, i dati hanno indicato che una maggiore avversità sociale cumulativa era collegata a livelli ridotti di cortisolo ed a livelli elevati di neuro-infiammazione. E’ una triste verità biologica e medica ammettere che una bambino possa andare incontro ad un fenomeno neuroinfiammatorio dovuto alle sue esperienze negative di vita.

Generalmente si parla di neuroinfiammazione nell’età adulta quando si affrontano temi medici severi come la fibromialgia, la depressione, le encefaliti o la sclerosi multipla e persino nelle manifestazioni neurologiche del coronavirus (neuro-COVID). Già in età adulta il fenomeno della neuroinfiammazione è abbastanza severo da condurre ad anomalie cellulari e susseguenti di una certa rilevanza; figurarsi il pensare che un bambino che non dovrebbe avere altro in testa che divertirsi, essere spensierato, giocare o fare nuove amicizie in un ambiente sociale sereno, si trova a sviluppare un fenomeno infiammatorio cerebrale “silente” analogo a quello di un adulto. E non c’è dubbio che ogni avversità sociale come tra quelle citate sopra possa causare anomalie della chimica cerebrale ed ormonale che influenzino, in sede ultima, il comportamento del fanciullo.

La neuroinfiammazione di per sé non è un processo negativo per la nostra salute. Anzi, viene attivata dal sistema immunitario del sistema nervoso centrale (microglìa) allo scopo di generare una risposta adattativa migliorativa. Nello specifico, se la risposta neuroinfiammatoria si esaurisce nei tempi giusti determina in noi un miglioramento delle nostre funzioni cognitive, ovvero di migliore memoria e apprendimento e di riparazione e crescita dei neuroni (neuroplasticità). Il problema è quando l’intensità e la durata del segnale infiammatorio superano una soglia e determinano invece una risposta neurotossica che amplifica l’infiammazione stessa, aumento della depressione, riduzione della plasticità neuronale e difficoltà cognitive. E’ questo il caso degli stress psicologici cronici che avvengono nell’infanzia sottoforma di abusi, violenze e difficoltà o avversità in ambito familiare o sociale.

Sebbene i dati di questa indagine indichino che particolari reti di neurotrasmettitori non sembrano essere coinvolte nelle risposte ormonali alle avversità sociali nei bambini, non si può escludere che loro alterazioni avvengano in un periodo postumo della vita, quando il “danno è fatto”. In questo caso le alterazioni ormonali che diventano cellulari, che diventano trascrizionali ed anche epigenetiche, potranno portare ad alterazioni neurochimiche sfocianti nella comparsa di fenomeni di ansia o aggressività ed altri disturbi affettivi, fino a quelli schizofrenici. In termini di intervento pratico, quello della prevenzione e del supporto psicologico nei casi riconosciuti suona più di divere morale che obbligo sanitario. Per intervenire sulla neuroinfiammazione, a parte rimuovere le cause sottostanti, la scienza ha dimostrato che anche l’alimentazione dedicata può fare la sua parte in modo non indifferente per controllarla.

E una buona alimentazione comincia dall’infanzia. Nutrienti come gli omega-3 del pesce, il magnesio della frutta (a dosaggi più elevati), alcune vitamine antiossidanti come la vitamina C (molto abbondante anch’essa nella frutta fresca) e integrazione alimentare con altri antiossidanti sicuri come lo zinco e la curcuma, possono essere di aiuto per tamponare il danno biologico causato dalla neuroinfiammazione. Certamente, la prevenzione sul lato morale sarebbe la scelta comportamentale umana più adatta in nome del rispetto per ogni bambino.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Pantell MS, Silveira PP et al. Pediatric Res. 2024 Jan; 1-11.

Hinojosa MS et al. Child Abuse Negl. 2023 Dec; 149:106603.

Sun Y, Koyama Y et al. Front Aging Neurosci. 2022; 14:903455.

Calthorpe LM, Pantell MS. Child Abus Negl. 2021; 111:104804

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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