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Gli effetti della vitamina D sull’invecchiamento: tutto dipende da una buona immunità?

Vitamina D ed effetti sulla salute

La vitamina D svolge un ruolo cruciale nella salute delle ossa regolando l’omeostasi del calcio e prevenendo condizioni come il rachitismo e l’osteomalacia. Tuttavia, la sua influenza sull’immunità va oltre questa funzione. La carenza di vitamina D, legata a fattori legati allo stile di vita moderno come la limitata esposizione al sole, influisce sulla produzione endogena di metaboliti attivi della vitamina D. La vitamina D3 inattiva viene convertita nel fegato e nei reni in 1,25(OH)2D3 attiva, che agisce come un ormone e condiziona vari tessuti. In particolare, varie cellule, comprese quelle del sistema immunitario innato, possono produrre localmente 1,25(OH)2D3, contribuendo agli effetti autocrini e paracrini. Questo composto agisce come un ligando ad alta affinità per il recettore VDR, regolando l’espressione di numerosi geni.

Lo stato della vitamina D, indicato dai livelli sierici di 25(OH)D3, classifica gli individui in gruppi carenti, insufficienti o sufficienti. La reattività alla vitamina D varia da persona a persona a causa di fattori genetici ed epigenetici che influenzano le risposte molecolari. I soggetti con scarsa risposta, che costituiscono circa il 25% della popolazione, potrebbero avere una maggiore suscettibilità alle malattie legate all’immunità compromessa. La modulazione dell’immunocompetenza basata su VDR può contribuire all’invecchiamento e ridurre il rischio di malattie legate all’età. La presente revisione offre approfondimenti sulle funzioni immunomodulatorie della vitamina D e sul suo impatto su vari aspetti della salute oltre al metabolismo osseo.

I meccanismi molecolari della vitamina D

VDR si lega specificamente al DNA genomico, riconoscendo il motivo RGKTSA. In complesso con il recettore X dei retinoidi (RXR-alfa), il VDR si lega preferenzialmente alle sequenze ripetute dirette nella cromatina attiva. Vari fattori facilitanti facilitano il VDR nell’apertura della cromatina, il che è cruciale per un legame efficiente. L’accessibilità della cromatina e il legame VDR possono essere valutati utilizzando tecnologie di sequenziamento di nuova generazione, tra cui ChIP-seq (sequenziamento della cromatina immuno-precipitata) e ATAC-seq (sequenziamento della cromatina accessibile alla trasposasi), in particolare nei globuli bianchi del sangue periferico. Le regioni genomiche dei geni bersaglio della vitamina D dimostrano cambiamenti nell’accessibilità della cromatina e nel legame VDR dopo l’integrazione di vitamina.

I potenziatori e le regioni del sito di inizio della trascrizione, anche a una distanza lineare considerevole, possono interagire tramite il looping del DNA all’interno dello stesso dominio topologicamente associato, influenzando l’espressione genica. Le azioni genomiche del VDR coinvolgono interazioni proteina-proteina con il complesso Mediatore (MED9) e la RNA polimerasi II, influenzando la trascrizione. La vitamina D esercita anche effetti epigenomici, alterando la metilazione del DNA, le modifiche degli istoni (acetilazione) e l’organizzazione della cromatina, modellando dinamicamente il paesaggio epigenetico della cellula. Questi effetti genomici ed epigenomici contribuiscono al ruolo modulatorio della vitamina D nell’ematopoiesi e nell’immunocompetenza, influenzando le cellule immunitarie umane sia in vitro che in vivo.

Ci sono nozioni di come la vitamina D possa avere anche effetti indipendenti dal suo recettori nucleare. E’ ormai assodato che anche gli ormoni steroidei hanno recettori di membrana o comunque diversi da quelli convenzionali, e la vitamina D non fa eccezione. La segnalazione non genomica della vitamina D è associata al membro A3 delle proteina disolfuro-isomerasi (PDIA3). La PDIA3 è una proteina del reticolo endoplasmatico (ER) coinvolta nel ripiegamento delle proteine, insieme ad altri chaperon come la calnexina o la calreticulina. Al di fuori dell’ER, si localizza all’interno della membrana cellulare, del nucleo, del citoplasma o dei mitocondri. È importante sottolineare che è stato dimostrato che questa proteina è coinvolta nel rapido assorbimento di calcio e fosfato nelle cellule intestinali indotto dalla vitamina D stessa.

È anche interessante notare che recenti studi hanno documentato che PDIA3 è anche coinvolta, direttamente o indirettamente, nella modulazione della risposta genomica alla stessa vitamina D. Regola, infatti, la produzione di mediatori lipidici di membrana (acidi insaturi da parte della PLA2), che assieme alla liberazione del calcio nel citoplasma attiva le proteina chinasi PKC e CAMK II, che arrivano alla chinasi ERK2 e fattori di trascrizione centrali (STATs ed NF-kB). Inoltre, è stato dimostrato che PDIA3 regola anche la bioenergetica cellulare, possibilmente influenzando i fattori di trascrizione STAT. Questi (specialmente STAT3 e 5) sono dei regolatori centrali dell’immunità, attraverso la sintesi guidata di molte citochine, soprattutto di  tipo infiammatorio e stimolante la crescita cellulare.

Programmazione epigenetica delle cellule immunitarie

I fattori STAT, però regolano anche la sopravvivenza delle cellule immunitarie stesse. Molte forme di leucemia sono resistenti ai farmaci o alla morte cellulare indotta da chemioterapici e radiazioni attraverso STAT3 e STAT5, che stimolano la sintesi di citochine protettive (IL-2, IL4) e di proteine soppressive della morte cellulare programmata (Bcl-2, Bcl-XL). Le leucemie derivano dalle cellule staminali midollari trasformate e la migliore comprensione di questi meccanismi è avvenuta proprio studiando le cellule leucemiche in vitro. Durante l’embriogenesi e la differenziazione cellulare adulta, le cellule staminali e progenitrici subiscono una programmazione epigenetica, che determina la funzione delle cellule differenziate in modo terminale.

La 1,25(OH)2D3 svolge un ruolo cruciale in questo processo, influenzando l’ematopoiesi e la differenziazione delle cellule immunitarie. Le cellule staminali ematopoietiche (HSC) si differenziano in vari tipi di cellule del sangue e del sistema immunitario e la 1,25(OH)2D3 regola il numero di HSC embrionali. Vari fattori di trascrizione influenzati dalla vitamina D guidano la differenziazione delle cellule progenitrici mieloidi in granulociti e monociti. Le HSC usano la via della proteina chinasi mitogenica (ERK2) non per proliferare o espandersi in forme mature, come le normali cellule embrionali o tumorali, ma proprio per promuovere il loro auto-rinnovamento. La vitamina D potrebbe intervenire in questo processo, proprio perché un suo dialogo molecolare con la ERK2 è stato provato.

La vitamina D tocca anche la differenziazione dei monociti in cellule dendritiche e macrofagi. Tale programmazione epigenetica contribuisce all’adattamento innato delle cellule immunitarie, modulando le risposte a infezioni, infiammazioni e malattie. La variabilità dello stato della vitamina D e dell’indice di risposta tra gli individui influenza la programmazione epigenetica dei monociti e delle cellule derivate, sottolineando il potenziale dell’integrazione ottimizzata di vitamina D3 per supportare la corretta epigenetica delle cellule immunitarie e l’immunocompetenza complessiva. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per convalidare pienamente questo concetto.

Declino dell’immunocompetenza durante l’invecchiamento

L’invecchiamento comporta l’accumulo di danni molecolari, con conseguente disfunzione cellulare e organi indeboliti. L’immunocompetenza, cruciale per risposte immunitarie adeguate, diminuisce con l’età, portando ad una maggiore suscettibilità alle infezioni e alle malattie. Il timo si atrofizza, diminuendo la produzione di cellule T, e ne consegue un “infiammazione”. Un fattore alterato nell’invecchiamento è l’omeostasi dello zinco, un oligoelemento necessario alle funzioni immunitarie perché entra nella costituzione fisico di molti fattori di trascrizione (zinc-fingers) che regolano tutti gli aspetti della maturazione delle cellule immunitarie progenitrici. Una minore immunocompetenza è correlata all’invecchiamento accelerato e all’aumento del rischio di malattie.

Livelli adeguati di vitamina D potrebbero stabilizzare la resilienza immunitaria, proteggere dai tumori preservando l’immunocompetenza, salvaguardare dalle malattie e contribuire a un invecchiamento sano mitigando vari suoi segni distintivi, tra cui l’infiammazione e lo stress cellulare. Le associazioni osservate tra carenza di vitamina D, aumento del rischio di malattie e invecchiamento accelerato possono essere attribuite a una ridotta immunocompetenza. Una sufficiente sintesi di calcitriolo all’interno delle cellule immunitarie previene profondamente le reazioni autoimmuni e controlla l’infiammazione e le infezioni. Queste azioni fisiologiche si manifestano sopprimendo l’espressione di citochine infiammatorie e aumentando l’espressione di quelle antinfiammatorie.

Le implicazioni per la salute pubblica

La scienza ha riconosciuto che il rischio globale di autoimmunità aumenta con l’invecchiamento; a parte alcune forme che si manifestano anche in gioventù, infatti, la maggioranza delle autoimmunità compare dopo i 60-70 anni. Un ampio set di dati precedenti ad altri emergenti suggeriscono che la vitamina D dovrebbe essere utilizzata come terapia preventiva e aggiuntiva in condizioni cliniche severe, come le autoimmunità, la setticemia e l’infezione da COVID-19. Tuttavia, la vitamina D è raramente inclusa nei protocolli clinici o nelle linee guida, o consigliata dalle principali autorità sanitarie o dai governi ai propri concittadini per mantenerli in salute. Ciò nonostante, la consapevolezza pubblica della vitamina D e dei suoi effetti benefici sul sistema immunitario è migliorata dopo la pandemia.

Ciò è dovuto principalmente all’incessante lavoro positivo di piccoli gruppi di scienziati. Inoltre, esiste una forte correlazione tra grave carenza di vitamina D e la tristemente “famosa” tempesta di citochine, causata da uno stato immunitario incontrollato e iperattivo. Le infezioni virali portano a malattie sintomatiche e complicazioni a seconda della vulnerabilità sottostante e della carica virale. Pertanto, la vitamina D potrebbe non impedire a una persona di contrarre il COVID, ma ridurrà la malattia sintomatica, le complicanze e i decessi. La vitamina D migliora la produzione e il rilascio di peptidi antimicrobici come la catelicidina e la beta-defensina. Questi peptidi stimolano i globuli bianchi e le cellule NK e dirigono i macrofagi verso i virus circolanti per distruggerli.

Oltre a legarsi direttamente e uccidere una serie di agenti patogeni, la catelicidina agisce come messaggero secondario, potenziando l’effetto antinfiammatorio della vitamina D durante l’infezione. Poiché lo stato di ipovitaminosi D non attiva le cellule immunitarie, provoca una relativa “paresi” immunitaria e risposte ritardate. Ciò aumenta la vulnerabilità delle persone, in particolare ai batteri (come la tubercolosi) e ai virus respiratori, incluso il COVID-19. Potrebbe essere questo il motivo della prevalenza della tubercolosi in molte aree del globo, dove la carenza di vitamina D (assieme ad altri fattori nutrizionali) è assai più prevalente rispetto all’occidente. Considerando la reattività individuale, gli esperti suggeriscono una dose precauzionale giornaliera di vitamina D3 di 1 µg (40 UI)/kg di massa corporea.

Questo supera le raccomandazioni generali ma rimane entro limiti di sicurezza per rafforzare l’immunocompetenza. Avendo assodato che una carenza prolungata di vitamina D ha effetti negativi sulla salute umana, che possono essere prevenuti in modo economicamente vantaggioso con la sua integrazione e/o una regolare esposizione solare sicura, il mantenimento delle concentrazioni sieriche di 25(OH)D nella popolazione superiori a 40 ng/mL garantisce un sistema immunitario robusto. C’è anche il risvolto sul sistema sanitario globale: il mondo non ha potuto sfruttare questa opportunità altamente conveniente durante la pandemia. Intraprendere un’azione come questa proteggerà anche le popolazioni vulnerabili (che hanno una prevalenza uniformemente elevata di carenza di vitamina D), come gli anziani e le persone istituzionalizzate.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

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Pubblicazioni scientifiche

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Nowak JI et al. Steroids. 2023 Nov; 199:109288.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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