La questione del lavoro per i giovani di oggi non è affatto sovrapponibile a quella dei loro genitori, anzi la si può considerare diametralmente opposta. La maggior parte dei ragazzi oggi resta più a lungo con le famiglie, può permettersi di studiare oltre le suole superiori ed anche l’università, anche grazie al sostegno familiare. Sono sempre di più i ragazzi che arrivano alla laurea o che completano un percorso post-laurea prima di cercare un primo impiego. Senza dubbio, il benessere sociale ed economico è più diffuso, e ha portato a un miglioramento generale delle condizioni di vita. Di questo, quello che le generazioni odierne hanno dimenticato è che quello di cui stanno godendo oggi deriva dai sacrifici fatti dalle generazioni passate. La prima differenza fra le varie epoche storiche nasce proprio da qui: non è più necessario andare a lavorare da giovanissimi, ed è possibile pianificare una carriera professionale che preveda anni di studio. Rispetto agli anni del dopoguerra, quando in molti erano costretti a iniziare a lavorare addirittura ancora minorenni, oggi questa proporzione si è diametralmente invertita.
In epoca passata non tutti i figli potevano permettersi a studiare, al punto che generalmente le donne venivano fatte sposare diventando casalinghe, mentre il figlio più grande veniva mantenuto agli studi per poter trovare un buon impiego. I figli di questa generazione hanno potuto godere di un’istruzione maggiore, ma questo non ha significato sempre arrivare alla laurea: si sceglievano spesso scuole tecniche, che preparassero al lavoro. Istituto tecnico, aeronautico, geometra, alberghiero, ragioneria e scuole magistrali erano le scelte più diffuse, che permettevano di puntare presto a un impiego pratico e manuale. Il liceo e l’università erano scelte riservate alla borghesia media ed alta. C’è da dire che a causa di ciò, l’istruzione base era molto bassa; la licenza elementare era il minimo e quella media una sorta di privilegio. Mestieri come il falegname, il contadino, l’idraulico oggi sono sempre meno richiesti, e spesso c’è difficoltà a trovare queste figure. Tuttavia, la colpa è in parte anche della scuola che non forma ragazzi pronti al lavoro, come invece faceva un tempo.
Uno spaccato storico molto bello della questione è raccontato nei primi due film di Don Camillo. Nel primo capitolo, i “rossi” per poter lavorare con documenti e scartoffie, cercano il “ripasso” dalla vecchia maestra del paese, la quale ribatte che “si doveva studiare quando era il momento”. Uno di loro si giustifica ricordando la loro umile estrazione sociale, ragion per la quale i genitori mandavano i ragazzi a lavorare nei campi piuttosto che a scuola. Nel secondo capitolo, il figlio di Peppone viene mandato in collegio per ricevere un’istruzione superiore. Ma il ragazzo è riluttante e scappa continuamente, poiché desidera essere “un buon contadino per amore, piuttosto che un cattivo professore per forza”. Oggi sappiamo tutti che la frequenza scolastica è obbligatoria, ma per molti ragazzi questa non appare come un’opportunità, ma come una perdita di tempo. E’ probabile che l’atteggiamento derivi dall’estrazione sociale e dalla formazione dei genitori o del capo famiglia. Spesso ciò che scoraggia i giovani è la difficoltà di trovare un impiego, con l’aggravante che gli stessi impieghi che oggi molti giovani qualificati declinano vengono accettati da stranieri immigrati, sfruttati come manodopera a basso costo.
Ed è esattamente ciò che gli italiani nel dopoguerra hanno passato, emigrando dal sud al nord o all’estero alla ricerca di un impiego che permettesse loro di vivere. Forse è proprio questo che la stragrande maggioranza dei giovani ha dimenticato: che ciò che stanno godendo oggi, con tutte le agevolazioni, è frutto dei sacrifici delle generazioni ormai passate. Per molti ragazzi di oggi costruire un futuro non è una priorità: in tanti tendono a vedere il momento della ricerca di un impiego come molto lontano nel tempo e preferiscono concentrarsi sull’attimo e godersi quello che le circostanze hanno da offrire. Esistono anche i casi di coloro che dopo tanti sforzi personali, assieme ai sacrifici economici della famiglia, alla fine abbandonano gli studi adducendo ragioni di stress, improbabilità di trovare lavoro o potersi inserire in un ambiente lavorativo da loro desiderato. Si finisce così per menomare la possibilità di una propria indipendenza economica, che impedisce loro di lasciare casa. Giunti all’età di 30 anni o più, si è ancora “figli di famiglia” che dipendono dalla “paghetta” giornaliera o settimanale, per affrontare le piccole spese o le uscite con gli amici.
Tutto questo è possibile sia perché viviamo in una società evoluta dal punto di vista economico, che però sta rischiando di fare dimenticare il senso di responsabilità tra le nuove generazioni. Ci sono state epoche storiche in cui a 16 o 18 anni si era dei veri uomini, con tanto di famiglia e responsabilità sociale. Oggi fra i giovani c’è solamente incertezza, smarrimento, poca autostima e mancanza di rispetto verso gli altri. L’avvento della tecnologia e dei social media, poi ha funto da “ciliegina sulla torta”. Ed il senso di solitudine, mancanza di obiettivi e frustrazione si trasforma in aggressività e violenza: non sono poche le notizie mediatiche di risse collettive o violenza a privati, con occasionale finale tragico, fatti per frustrazione, disinteresse dei valori, ricerca di denaro e addirittura per noia. Chiude il cerchio di questo contesto la pandemia e le restrizioni sociali con cui abbiamo fatto i conti da due anni a questa parte. L’ultima pandemia è stata 100 anni fa e nessuno ha ricordo o esperienza di ciò che fu. Già fra gli adulti ha provocato i suoi malcontenti e ribellioni, figurarsi fra la gioventù abituata ad avere tutto sottomano.
Molti giovani sono consapevoli di vivere in un mondo dove divertimenti e comodità non mancano; e anzi, ne approfittano, proprio come Lorenzo detto il “Magnifico” che cantava “chi vuol esser lieto, sia; del doman non v’è certezza”. Chi lo sa se sono anche consapevoli che prima o poi arriverà il momento in cui dovranno assumersi la responsabilità della propria vita, chiedendosi se avranno mezzi e cognizioni giusti per affrontarlo?
A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.