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Malattie infiammatorie intestinali sul palco: dieta, microbiota ed espressione genica unite più che mai nella cooperazione

Ricercatori del Mount Sinai hanno rivelato i meccanismi biologici mediante i quali una famiglia di proteine note come istone deacetilasi (HDAC) attivano le cellule del sistema immunitario legate alla malattia infiammatoria intestinale (IBD) e ad altre malattie infiammatorie. Il team del Monte Sinai si è concentrato specificamente sugli HDAC di classe IIa, che presentano funzioni più specifiche per i tessuti rispetto agli HDAC di classe I, che agiscono in modo più ampio. Tra le 18 isoforme identificate finora nei mammiferi, HDAC4 e HDAC7 (entrambe HDAC di classe IIa) si distinguono per il loro ruolo nella regolazione dello sviluppo e della differenziazione delle cellule Th17. Queste cellule sono note per la produzione di interleuchina-17 (IL-17), una citochina altamente infiammatoria associata a uno spettro di disturbi, tra cui IBD, sclerosi multipla e artrite reumatoide.

Questa scoperta potrebbe potenzialmente portare allo sviluppo di inibitori selettivi delle HDACs progettati per trattare la colite ulcerosa e il morbo di Crohn. Data la forte correlazione tra l’eccessiva attività delle cellule Th17 e la malattia umana, gli scienziati si sono concentrati su interventi farmacologici o genetici mirati all’HDAC4/7 per mitigare l’infiammazione mediata dalle cellule Th17. Nel loro studio innovativo, i ricercatori hanno delineato un meccanismo precedentemente non riconosciuto mediante il quale HDAC4 e HDAC7 operano in modo indipendente ma cooperativo per governare la differenziazione e la trascrizione delle cellule Th17. La trascrizione è la fase iniziale dell’espressione genica che coinvolge la copia della sequenza del DNA per generare molecole di RNA; è cruciale per la maggior parte dei processi biologici.

Come aspetto critico della loro indagine, il gruppo di ricerca ha scoperto che un potente inibitore dell’HDAC di classe IIa, TMP269, influenzava la differenziazione delle cellule Th17 in un modello murino di colite ulcerosa. Questa scoperta fondamentale sottolinea il potenziale dell’inibizione farmacologica delle HDAC di classe IIa come un promettente approccio terapeutico per affrontare le malattie infiammatorie e autoimmuni legate al Th17. Di complemento, i ricercatori sanno anche del ruolo della dieta e delle sue proprietà di rimodellare il microbiota intestinale e le risposte immunitarie locali, anche nel contesto della IBD. A questo proposito, esistono anche inibitori naturali delle istoni deacetilasi derivati dal regno vegetale, alcuni dei quali sono contenuti in alimenti comunemente consumati a tavola.

Fra questi si annovera il kampferolo (molto rappresentato in fagioli, cavoli, broccoli, spinaci, mele, pomodori, zucca, cetrioli, fagiolini e patate), il sulforafano delle Crucifere (cavoli, cavolfiori e analoghi) e l’acido sinapico (in segale, spezie come salvia e noce moscata, frutta a guscio, frutti di bosco). Anche metaboliti della vitamina E, la vitamina H (biotina) e l’acido lipoico sono risultati modulatori delle HDACs. Tuttavia, la concentrazione di questi ultimi fattori vitaminici è molto bassa negli alimenti e le dosi per risultare inibitrici sulle HDACs sono superiori ai 100mg. Considerato che nella gestione delle IBD la dieta è un fattore costantemente curato, è possibile sfruttare il concetto di fare adottare ai pazienti un’alimentazione priva degli alimenti considerati “irritanti”, incrementando invece quelli più ricchi di inibitori naturali delle HDACs, come quelli citati sopra.

A tal proposito, come citato poc’anzi, un crescente numero di ricerche suggerisce che la manipolazione dei batteri intestinali può offrire un approccio promettente alla gestione delle malattie infiammatorie intestinali. I trattamenti convenzionali mirano a controllare i sintomi e prevenire le complicanze. Tuttavia, spesso hanno un’efficacia limitata e possono presentare effetti collaterali. Una nuova ricerca esplora il potenziale dei prebiotici, fibre alimentari che nutrono i batteri intestinali benefici, come strategia terapeutica per le malattie infiammatorie intestinali. Gli studi hanno dimostrato che un microbioma intestinale sano svolge un ruolo cruciale nel mantenimento della salute dell’intestino e che le sue alterazioni sono associate alle IBD. I ricercatori ritengono che promuovere la crescita di batteri benefici attraverso i prebiotici possa alleviare i sintomi dell’IBD.

Questa ipotesi è stata valutata in numerosi studi clinici. La ricerca ha valutato il potenziale terapeutico di fibre prebiotiche derivate da svariate fonti alimentari, come ad esempio:

  • β-fruttani (presenti nella radice di cicoria, nell’aglio e nelle banane)
  • Galatto-oligosaccaridi (GOS) (nei legumi come lenticchie e ceci)
  • β-glucani (presenti nell’avena, nei funghi e nel lievito)
  • Glucomannano (GLUM) (presente nella radice di konjac)
  • Xilo-oligosaccaridi (XOS) (canna da zucchero, mais e lolla di riso)
  • Pectina (presente negli agrumi e in altra frutta e verdura)
  • Amido resistente (RES) (nelle banane acerbe e nelle patate)

Studi preclinici su modelli animali di colite hanno mostrato risultati promettenti per l’uso di prebiotici selezionati nel ridurre l’infiammazione, migliorare la funzione della barriera intestinale e promuovere la crescita di batteri benefici. Tuttavia, è importante notare che questi modelli animali dimostrano che la produzione di sottoprodotti della fermentazione delle fibre come gli acidi grassi a catena corta (SCFA) è tipicamente associata a questi effetti benefici e gli SCFA sono generalmente ridotti nei pazienti con IBD. Pertanto, mentre alcuni studi clinici hanno prodotto risultati positivi, diversi studi  hanno recentemente evidenziato effetti dannosi in pazienti selezionati, in particolare quelli il cui microbiota intestinale è alterato in composizione ed incapace di utilizzare correttamente queste fibre prebiotiche.

Il motivo dell’interesse è che il butirrato derivato dalla loro fermentazione è un naturale inibitore cellulare delle istone deacetilasi, oltre ad essere un “carburante” preferenziale per il metabolismo delle cellule della mucosa intestinale. Anche se il butirrato preferisce inibire le HDAC della classe 1, sue elevate concentrazioni nel lume intestinale derivate dalla fermentazione delle fibre prebiotiche possono essere sufficienti a condizionare l’attività enzimatica di tutte le HDACs, sia del tessuto intestinale, che immunitario e nervoso locali. Le prove che il butirrato condizioni l’attività delle cellule immunitarie in caso di malattia di Crohn e rettocolite ulcerosa ci sono già. Quindi, oltre alla terapia farmacologica mirata, il ripristino della funzione produttrice di butirrato da parte del microbiota e l’ulteriore regolazione della componente immunitaria conseguente, possono cooperare nel trattare efficacemente queste patologie intestinali così debilitanti.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Lechner S et al. Nat Commun. 2023 Jun; 14(1):3548.

Aslam H et al. Nutrition Rev. 2023 Nov 25:nuad143.

Martyniak A et al. .Biomolecules. 2021; 11(12):1903.

Lombardi PM et al. Curr Opin Struct Biol. 2011; 21(6):735.

Nian H et al. Environ Mol Mutagen. 2009; 50(3):213.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998; specialista in Biochimica Clinica dal 2002; dottorato in Neurobiologia nel 2006; Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA (2004-2008) alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. Medico penitenziario presso CC.SR. Cavadonna (SR) Si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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