I batteri intestinali rilasciano metaboliti nei nostri sistemi mentre scompongono il cibo che mangiamo per produrre energia. I metaboliti poi interagiscono e influenzano le cellule, regolando processi cellulari che possono essere utili o dannosi per la salute. Gli scienziati hanno collegato tali metaboliti alle cardiopatie, all’infertilità, ai tumori, alle malattie autoimmuni e allergiche nonchè alla demenza di Alzheimer. Prevenire le interazioni dannose tra i metaboliti e le nostre cellule può prevenire le malattie. I ricercatori stanno lavorando per sviluppare farmaci in grado di attivare o bloccare la connessione dei metaboliti con i recettori sulla superficie cellulare. I progressi con questo approccio sono lenti a causa dell’enorme quantità di informazioni necessarie per identificare un recettore bersaglio e, a volte, la sua distribuzione e gli effetti specifici per ogni tessuto.
Precedenti studi hanno dimostrato che i pazienti affetti da malattia di Alzheimer presentano cambiamenti nei loro batteri intestinali man mano che la malattia si sviluppa. Ovvero, non c’è la prova definitiva che sia la variazione di composizione del microbiota a scatenare la malattia, ma sicuramente nel tempo contribuisce. I ricercatori della Cleveland Clinic stanno utilizzando l’Intelligenza Artificiale (IA) per scoprire il legame tra il microbioma intestinale e la malattia di Alzheimer. Lo studio appena pubblicato delinea un metodo computazionale per determinare come i sottoprodotti batterici interagiscono con i recettori sulle cellule e contribuiscono alla malattia di Alzheimer. Il team ha utilizzato una forma di intelligenza artificiale chiamata machine learning (MAL) per analizzare oltre 1 milione di potenziali coppie di metaboliti-recettori e prevedere la probabilità che ciascuna interazione contribuisse alla malattia di Alzheimer.
Le analisi hanno integrato dati genetici e proteomici provenienti da studi umani e preclinici sulla malattia di Alzheimer, diverse forme di recettori (strutture proteiche) e metaboliti e come i diversi metaboliti influenzano le cellule cerebrali derivate dal paziente Il team ha studiato le coppie metabolita-recettore con la più alta probabilità di influenzare la malattia di Alzheimer nelle cellule cerebrali derivate da pazienti con malattia di Alzheimer. Utilizzando la randomizzazione mendeliana di derivazione genetica e analisi integrative dei profili trascrittomici e proteomici del cervello umano, hanno identificato i recettori orfani come potenziali bersagli farmacologici nell’Alzheimer e che l’alcaloide naturale triacantina attiva sperimentalmente quello chiamato GPR84. Una molecola su cui si sono concentrati è un metabolita protettivo chiamato agmatina, pensato per proteggere le cellule cerebrali dall’infiammazione.
L’agmatina deriva dalla decarbossilazione dell’arginina, un aminoacido semi-essenziale. Questa attività enzimatica è posseduta anche da alcuni tessuti umani, ma la maggior parte dei batteri putrefattivi la possiede parimenti, inclusi quelli intestinali. Come modulatore endogeno dei recettori del glutammato di tipo NMDA, è stato ipotizzato che l’agmatina susciti rapidi effetti comportamentali stimolando la via cellulare Akt/mTOR, in modo simile alla ketamina. Quindi potrebbe essere un mediatore endogeno induttore di risposte antidepressive rapide. Lo studio ha scoperto che nella malattia di Alzheimer è più probabile che l’agmatina interagisca con un recettore chiamato CA3R. Il trattamento dei neuroni affetti da Alzheimer con l’agmatina ha ridotto direttamente i livelli di CA3R, indicando che metabolita e recettore si influenzano a vicenda. I neuroni trattati con agmatina presentavano anche livelli più bassi di proteine tau fosforilate (biomarkers).
Queste informazioni corroborano i ritrovati sia di laboratorio e clinici che indichino come i sintomi depressivi sono un prodromo costante prima della comparsa della vera demenza di tipo Alzheimer o senile. E’ possibile che, dunque, le alterazioni del microbiota intestinale siano davvero sottostanti alla patogenesi della demenza senile. Che il microbiota intervenga nella comparsa della depressione è ormai appurato da diversi anni. Sia per alterazioni riflesse derivate dalla neurochimica cerebrale, o quelle dovute all’influenza di cataboliti batterici sui neurotrasmettitori cerebrali, la depressione ha la sua chiara componente di derivazione intestinale che spiega quel 40-45% di pazienti che non risponde alle convenzionali terapie con antidepressivi. Lo stesso si può speculare per la terapia dell’Alzheimer con gli inibitori della colinesterasi (es. memantina o donepezil) o con le molecole neurotrofiche (es. piracetam, colina alfoscerato o acido lipoico).
È ragionevole pensare che se c’è veramente una disbiosi intestinale nei pazienti con demenza senile, sarebbe più opportuno intervenire primariamente su di essa. È per tale ragione che, possibilmente, i farmaci o gli integratori hanno un effetto da minimo a nullo nel condizionare positivamente la progressione della malattia. Questo quadro è sicuramente incompleto perché ci sono altri fattori di rischio e patogenetici che sottostanno sia alla demenza senile (come la vasculopatia cerebrale cronica e l’ipertensione), che al fenomeno depressivo che compare nell’Alzheimer. Ma se le informazioni sono giuste, anche l’Alzheimer può iniziare a considerarsi l’ennesima patologia dell’era moderna che trae origine dalle sbagliate abitudini dello stile di vita.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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