Oltre agli interventi clinici e farmacologici (farmaci che riducono il glucosio), le modifiche della dieta rappresentano le principali opzioni terapeutiche per i pazienti con diabete. Mentre gli interventi farmacologici sono stati ampiamente studiati e rivisti per i loro benefici antidiabetici, le loro controparti dietetiche rimangono meno validate scientificamente nonostante i loro minori effetti collaterali e la natura più conveniente. I cereali antichi, cereali alimentari che non hanno subito modifiche genetiche umane o allevamento selettivo, rappresentano una risorsa di biodiversità non sfruttata con potenziali benefici nella guerra contro il diabete. Nonostante le prove limitate a sostegno del loro consumo, si ritiene che i cereali antichi contengano concentrazioni più elevate di sostanze fitochimiche e fibre che abbassano il glucosio rispetto alle loro controparti modificate dall’uomo (in particolare le varietà prodotte dopo la “Rivoluzione Verde” degli anni ’60).
Sfortunatamente, esiste una carenza di dati facilmente comparabili tra le varietà antiche e quelle “nuove”, lasciando irrisolto il dibattito su quale sia la migliore. In una recente revisione e meta-analisi pubblicata sulla rivista Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Diseases, i ricercatori hanno esaminato a fondo la letteratura disponibile che indagava sugli effetti sulla salute dei cereali “antichi”, tra cui avena, riso integrale, grano saraceno, chia e altri. La loro revisione di 29 studi randomizzati e controllati e una meta-analisi di 13 rivela che il consumo di avena, riso integrale e miglio può migliorare gli esiti del diabete mellito di tipo 2 (in particolare i profili lipidici). Tuttavia, l’eterogeneità tra gli studi e le dimensioni insufficienti del campione rendono questi risultati confusi, rendendo necessarie ulteriori ricerche per confermare l’associazione tra cereali antichi e diabete.
Nello specifico, la revisione mirava a fornire 1). una panoramica degli impatti del controllo glicemico dei cereali antichi sul T1DM e sul T2DM; 2). i grani antichi più spesso studiati utilizzando metodologie di studi randomizzati e controllati; e 3). l’efficacia delle diete a base di cereali antichi nella gestione del DM come potenziatori terapeutici convenzionali. Delle 2.634 pubblicazioni iniziali identificate durante la ricerca nel database, il mancato rispetto dei criteri di inclusione nello studio ha lasciato un set finale di 13 pubblicazioni che soddisfacevano i requisiti. Gli studi inclusi comprendevano una popolazione totale di 1.809 individui. Sorprendentemente, solo uno studio ha esaminato l’impatto dei cereali antichi sul diabete di tipo 1. I cereali più comunemente studiati sono stati l’avena (n = 9) e il riso integrale (n = 6), mentre l’orzo e il Khorasan (n = 1) rappresentano i più rari.
I risultati della meta-analisi evidenziano che mentre il consumo di cereali antichi produce esiti generalmente positivi nei pazienti con T2DM (specialmente nel caso di avena, riso integrale e miglio), l’eterogeneità tra gli studi rende questi risultati privi di affidabilità, impedendo le loro attuali raccomandazioni. come interventi correttivi del diabete. Un fattore da considerare nella loro presunta proprietà di non essere diabetogeni o di essere tollerati da soggetti diabetici, è quello della qualità intrinseca del loro glutine. Gli odierni cultivars di frumento hanno un glutine le cui proteine sono estremamente ricche di glutammine frammiste in una matrice molto ricca di residui di prolina e glicina. CIò rende la struttura generale proteica sfavorita per due ragioni: è poco suscettibile alla degradazione profonda da parte degli enzimi proteolitici digestivi ed ha un potenziale immunogeno non indifferente, la cui massima espressione compare nei soggetti celiaci.
Esistono dati della letteratura scientifica che indicano come certi peptidi derivati dalla proteolisi incompleta del glutine siano direttamente tossici per le cellule beta del pancreas, potendo anche interferire col segnale molecolare dell’insulina. Alcuni studi svedesi recenti hanno visto che riducendo l’introito alimentare di glutine in adolescenti da poco divenuti diabetici col tipo 1, impediva la perdita la perdita di queste cellule residue nel pancreas; anzi, dopo un certo periodi di tempo si tornava a vedere una certa loro ricomparsa. Un certo sospetto analogo è a carico di una seconda famiglia di proteine prodotte dal grano, le albumine inibitrici dell’amilasi/tripsina (ATIs). La loro struttura molto rigida a causa di ponto zolfo poco aggredibili, sarebbe parzialmente antigenica e potrebbe avere anch’essa degli effetti diretti sulle cellule pancreatiche.
Non ci sono dati disponibili per altri potenziali cereali che non sono stati mai considerati, perché la loro coltivazione è stata ritenuta improduttiva nel concetto “intensivo” come lo si applica agli allevamenti. Oltre all’avena regolare (A. sativa), esiste la comunissima Avena fatua, che tutti vedono da Aprile in poi nei terreni incolti e che conoscono col termine di paglia o “ina”. I suoi semi molto piccoli sono analoghi a quelli dell’avena comune, ma non incontrano dei parametri di sfruttamento per l’esiguità della materia organica prodotta a maturazione completa del seme. Lo stesso dicasi per il palèo annuale (Brachypodium dystachion), che è estremamente comune vedere spuntare e seccare fino alla fine di Giugno. Le sue fattezze di grano “nano”, unita alla ridotta dimensione del suo seme maturato, ne ha fatto un potenziale cereale completamente accantonato. Ma appartiene alla famiglia delle Poacee a tutti gli effetti.
E poi, rimane, la questione dell’impatto globale. La Rivoluzione Verde ha offerto solo una soluzione temporanea al problema della fame nel mondo, ma non è stata efficace a lungo termine, poiché la crescita della produzione alimentare non è stata seguita da un aumento del valore nutrizionale del cibo. In alcune nazioni industrializzate e in via di sviluppo, c’è stata una transizione graduale da pratiche colturali più intensive a pratiche più sostenibili e a basso input, a causa di preoccupazioni per la salute pubblica e l’ambiente. Nell’ultimo quinquennio, poi, il concetto e la consapevolezza di sostenibilità non si sono approfonditi solamente nelle aziende agro-alimentari e non-, ma anche a carico dei consumatori. Le attuali varietà di grano ad alto rendimento e ad alto contenuto proteico presentano infatti un palese svantaggio, in quanto richiedono molti input agricoli, come fertilizzanti azotati, insetticidi ed erbicidi.
Al fine di cambiare l’attuale modello di qualità alimentare ad alto input/basso valore nutrizionale, sono attualmente disponibili grani antichi che non sono mai stati sottoposti a programmi di selezione e le loro varietà autoctone/forme originali e possono fornire una componente importante nello sviluppo di cereali a basso input/alto valore nutrizionale. sistemi di qualità alimentare. E non sarebbe neppure uno sbaglio il riscoprire cereali ed erbacee del tutto dimenticate, solamente perché lo sfruttamento “capitalista” industriale a suo tempo non ci ha trovato il suo pingue tornaconto.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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