L’ernia lombare è una causa comune di mal di schiena, che colpisce in media fino al 10% della popolazione. L’ernia è anche la diagnosi principale per gli individui in età lavorativa sottoposti a chirurgia spinale, rendendola una delle principali cause di disabilità, perdita di produttività e spese sanitarie. Pertanto, l’ernia è stata al centro della ricerca sin dalla sua comparsa all’inizio del XX secolo. Nonostante i progressi significativi, manca la comprensione della sua patogenesi, in particolare dei suoi meccanismi di inizio e progressione in ambito clinico. Tipicamente, l’ernia viene valutata sulla base dei dati trasversali del paziente e non può essere monitorata nel tempo in ambito clinico. Questa limitazione evidenzia la necessità di una ricerca scientifica di base parallela, che si è sviluppata reciprocamente e sinergicamente con gli studi clinici e ha compiuto progressi significativi negli ultimi 50 anni.
Clinicamente, le ernie del disco vengono comunemente diagnosticate nella regione L4-S1 della colonna vertebrale. Più in particolare, le ernie si verificano tipicamente nella regione posteriore/posterolaterale del disco e possono essere classificate in protrusione, estrusione o sequestro in base al livello di continuità tissutale all’interno dello spazio discale. Le ernie sintomatiche derivano principalmente dalla sostanza tissutale spostata che comprime meccanicamente o irrita chimicamente le radici nervose lombosacrali, causando dolore radicolare (ad esempio sciatica), debolezza dei nervi e/o anomalie sensoriali degli arti inferiori. Molte indagini recenti hanno dimostrato che i pazienti diabetici avevano un rischio maggiore di sviluppare ernia lombare ed erano significativamente più propensi a richiedere un intervento chirurgico a causa dell’ernia.
Secondo uno studio prospettico di 16 anni su una coorte di sole 98.000 donne, il diabete ha aumentato il rischio di ernia di circa il 50% dopo aver aggiustato l’indice di massa corporea, il fumo, il livello di esercizio fisico e lo stato lavorativo. Tuttavia, un recente studio caso-controllo ha suggerito che il diabete fosse un fattore di rischio per la stenosi spinale lombare, che è una probabile conseguenza dell’ernia, anziché dell’ernia stessa. Il diabete di tipo 2 altera il comportamento dei dischi nella colonna vertebrale, rendendoli più rigidi e fa sì che i dischi cambino forma prima del normale. Questo è uno dei risultati di un nuovo studio sui roditori condotto da un team di ingegneri e medici delle Università della California a San Diego, Davis e San Francisco, con l’Università dello Utah.
Lo studio delle proprietà biomeccaniche del disco intervertebrale è fondamentale per comprendere la malattia e sviluppare strategie efficaci per la gestione della lombalgia. Lo studio sottolinea che i meccanismi di deformazione su scala nanometrica delle fibrille di collagene consentono il carico di compressione del disco intervertebrale. Nel contesto del diabete di tipo 2, questi meccanismi sono compromessi, con conseguente infragilimento del collagene. I ricercatori hanno utilizzato lo scattering sincrotonico di raggi X a piccolo angolo (SAXS), una tecnica sperimentale che esamina la deformazione e l’orientamento delle fibrille di collagene su scala nanometrica. Volevano esplorare come le alterazioni nel comportamento del collagene contribuiscono ai cambiamenti nella capacità del disco di resistere alla compressione, confrontando i dischi di ratti sani con quelli di ratti diabetici.
I ratti sani hanno dimostrato che le fibrille di collagene ruotano e si allungano quando i dischi vengono compressi, consentendo al disco di dissipare l’energia in modo efficace. Nei ratti diabetici, il modo in cui i dischi vertebrali dissipano l’energia sotto compressione è significativamente compromesso: il diabete riduce la rotazione e lo stiramento delle fibrille di collagene, indicando una capacità compromessa di gestire la pressione. Ulteriori analisi hanno mostrato che i dischi dei ratti diabetici mostravano un irrigidimento delle fibrille di collagene, con una maggiore concentrazione di legami incrociati non enzimatici. Il collagene maturo, infatti, ha molta resistenza perché possiede legami chimi crociati mediati da specifici enzimi. Nel caso del diabete, la glicemia elevata o scompensata o malgestita a tavola o farmacologicamente, nel tempo conduce allo spostamento della chimica di maturazione del collagene.
L’iperglicemia cronica, infatti, porta alla formazione di polioli ed aldoli che tendono a formare legami chimici diversi da quelli descritti sopra: questi, invero, sono di natura più idrofoba e tenace, quelli formati dai cataboliti tossici del glucosio sono più idrofili. Sostanzialmente, dunque, si viene a modificare la natura chimico-fisica del disco, il cui collagene diventa più idrofilo e tende perciò a rammollirsi. Questi tipi di legami crociati diversi, perciò, cambiano la rigidità del collagene limita le deformazioni plastiche attraverso lo scorrimento fibrillare. Questi risultati evidenziano che il riorientamento, l’allungamento e lo scorrimento delle fibrille sono meccanismi cruciali che facilitano la compressione dell’intero disco. Il diabete interrompe questi efficienti meccanismi di deformazione, portando a un’alterazione della biomeccanica dell’intero disco e a un comportamento più fragile (a bassa energia).
Queste nuove informazioni sui potenziali meccanismi alla base del danno tissutale del disco correlato al diabete e potrebbero informare lo sviluppo di strategie preventive e terapeutiche per questa condizione debilitante. Non solamente: esse lanciano un messaggio più incisivo sul lato endocrinologico, e cioè che la destione metabolica del diabete è essenziale e deve essere disciplinata, poichè la scienza sta avanzando di conoscenze che provano come questa condizione causa complicanze che vanno oltre alle vecchie vasculopatia, neuropatia, nefropatia e retinopatia.
- A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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