La sindrome di Angelman è una malattia genetica rara causata da mutazioni nel gene UBE3A ereditato dalla madre e caratterizzata da scarso controllo muscolare, linguaggio limitato, epilessia e disabilità intellettiva. A differenza di altri disturbi monogenici come la fibrosi cistica e l’anemia falciforme, la sindrome di Angelman ha un profilo genetico unico. I ricercatori hanno scoperto che ai bambini affetti da queste patologie manca la copia del gene UBE3A ereditata dalla madre, mentre la copia del gene UBE3A ereditata dal padre rimane dormiente nei neuroni, come accade negli individui neurotipici. Tipicamente, UBE3A aiuta a regolare i livelli di proteine importanti; la mancanza di una copia funzionante porta a gravi interruzioni nello sviluppo del cervello.
Per ragioni non del tutto chiare, la copia paterna di UBE3A è normalmente “spenta” nei neuroni di tutto il cervello. Pertanto, quando la copia materna del gene UBE3A viene mutata, ciò porta ad una perdita della proteina UBE3A nel cervello. I ricercatori hanno teorizzato che l’attivazione della copia paterna di UBE3A potrebbe aiutare a trattare la condizione. Sebbene non esista una cura per questa condizione, una nuova ricerca presso la Scuola di Medicina dell’UNC sta ponendo le basi per una. Hanno identificato una piccola molecola che potrebbe essere sicura, somministrata in modo non invasivo e in grado di “accendere” la copia dormiente del gene UBE3A ereditato dal padre in tutto il cervello, il che porterebbe alla corretta funzione proteica e cellulare
Inizialmente hanno selezionato più di 2.800 piccole molecole da una libreria chemiogenetica Pfizer per determinare se fosse possibile attivare potentemente l’UBE3A paterno in modelli murini con sindrome di Angelman. I ricercatori hanno modificato geneticamente cellule neurali di topo con una proteina fluorescente (GFP) che si illumina quando il gene paterno UBE3A è attivato. Dopo aver trattato i neuroni con più di 2.800 piccole molecole per 72 ore, i ricercatori hanno confrontato le migliaia di cellule trattate con quelle trattate con topotecano, una molecola antitumorale che può attivare l’UBE3A paterno ma senza valore terapeutico. (S)-PHA533533 ha fatto sì che i neuroni esprimessero una fluorescenza (data dalla proteina GFP) che rivaleggiava con quella indotta dal topotecan.
Ciò significa che il suo effetto è stato abbastanza potente da attivare con successo l’UBE3A paterno. Il topotecano è un farmaco antitumorale inibitore delle topoisomerasi. Era stato già visto che l’inibizione di questi enzimi nucleari poteva attivare l’allele paterno dormiente del gene UBE3A in neuroni isolati. Ma dato che questo farmaco è un antitumorale troppo tossico da impiegare per lungo tempo, non ha trovato sbocco applicativo al riguardo. I ricercatori, invece, sono stati in grado di confermare gli stessi risultati utilizzando cellule staminali pluripotenti indotte derivate da esseri umani affetti dalla sindrome di Angelman, indicando che questo composto ha un potenziale clinico. Inoltre, i ricercatori hanno osservato che (S)-PHA533533 ha un’eccellente biodisponibilità nel cervello in via di sviluppo.
Ciò è degno di nota in quanto le precedenti terapie genetiche per la sindrome di Angelman hanno avuto una biodisponibilità più limitata. Terapie antisenso (ASO RNA) sono attualmente sottoposte a studi clinici per il trattamento della sindrome di Angelman (come gli studi clinici NCT04259281, NCT04428281, NCT05127226). Sebbene le strategie di trattamento ASO per i disturbi del sistema nervoso centrale siano promettenti, presentano anche alcuni gravi inconvenienti. A causa della breve emivita degli ASO e della loro incapacità di attraversare la barriera ematoencefalica, la loro somministrazione richiede vie ripetute e altamente invasive, come quella intratecale o intracerebroventricolare. Se (S)-PHA533533 potrà ottenere effetti migliori per bocca o endovena, sarebbe ufficialmente il primo farmaco su cu condurre trials clinici ufficiali.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
Pubblicazioni scientifiche
Vihma H et al. Nat Commun. 2024 Jul 8; 15(1):5558.