domenica, Settembre 8, 2024

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AP-1: il regolatore maestro della vita cellulare che decide quando abbandonare la gioventù per la vecchiaia

I ricercatori dell’Università del Queensland hanno svelato segreti molecolari dell’invecchiamento cellulare, aprendo potenzialmente la strada al miglioramento della qualità della vita delle persone che invecchiano. Lo studio ha decodificato il processo mediante il quale i geni regolano il modo in cui le persone maturano man mano che crescono e invecchiano. Fino ad ora, infatti, il processo attraverso il quale i geni modificano l’attività dalla nascita all’età adulta e alla vecchiaia era in gran parte sconosciuto. Analizzando set di dati molecolari sia di persone che di topi e confrontando poi diversi gruppi di età nel corso del tempo, gli scienziati hanno studiato l’attività dei geni coinvolti sia nei processi di sviluppo che in quelli di invecchiamento. I geni “master controller” regolano quali geni sono attivati ​​o disattivati ​​in ciascuna delle nostre cellule, assicurandosi che ciascuna cellula svolga il suo lavoro specifico.

I ricercatori hanno seguito l’attività del fattore di trascrizione AP-1, il regolatore principale, e hanno scoperto che attivava progressivamente i geni adulti, mentre l’attività dei geni della “prima infanzia” coinvolti nello sviluppo veniva ridotta e questo processo era condiviso tra i tipi di cellule. Si è scoperto che questo processo nelle nostre cellule è prevedibile nelle diverse fasi della vita, man mano che le persone maturano. È stato riscontrato che persiste nell’età adulta, probabilmente perché l’AP-1 viene attivato anche da una vasta gamma di stimoli, nonché da una proteina nel nostro sangue che aumenta con l’età. Ciò smorza ulteriormente i geni più attivi nelle prime fasi della vita, il che può guidare molti dei prevedibili cambiamenti dell’invecchiamento. Individuando l’AP-1 come principale regolatore collegato all’invecchiamento attraverso i tipi di cellule, ora si possono studiare gli effetti dei farmaci che ne riducono l’attività.

La composizione molecolare del complesso AP-1 è eterogenea. Entrambe le famiglie Fos e Jun di fosfoproteine ​​nucleari possono partecipare alla formazione di un complesso omo-o eterodimerico che modula l’espressione dei geni bersaglio. La famiglia Fos contiene 5 proteine ​​(c-Fos, Fos B, DeltaFosB, Fra-1, Fra-2) e la famiglia Jun comprende 3 membri conosciuti (c-Jun, JunB, JunD). Le proteine ​​Jun, a differenza delle proteine ​​Fos, possono formare omo- ed etero-dimeri. Sebbene il complesso AP-1 sia costituito da dimeri formati tra due molecole Jun o tra Jun e Fos, altre proteine ​​come CREB (espressa in tutte le cellule), possono interagire con i componenti AP-1. Questo “personalizza” ulteriormente, per così dire, la risposta genica a valle. Poiché il trattamento di cellule in coltura con agenti mitogeni determina una forte induzione dell’attività AP-1, è stato suggerito che esso sia principalmente coinvolto nella trasmissione di segnali che promuovono la crescita.

Inoltre molti studi, compreso quest’ultimo, hanno dimostrato che il complesso AP-1 viene indotto nel cervello in condizioni fisiologiche. Nella rigenerazione dei neuroni, l’espressione di c-Jun è correlata alla loro capacità di sopravvivere e rigenerarsi. L’aumento del livello di c-Jun e l’induzione del fattore di trascrizione AP-1 sono stati associati all’apoptosi nelle cellule del sistema nervoso centrale in vivo. La composizione del complesso AP-1 dipende dalle proporzioni relative delle diverse proteine ​​presenti nelle cellule in un dato momento. Lo studio dell’espressione di un solo membro delle famiglie Fos o Jun fornisce informazioni parziali e inefficienti sul complesso AP-1. Precedenti studi hanno scoperto che esiste la tendenza che nel cervello non stimolato sia presente AP-1 composto da Fos-JunD, mentre la stimolazione dell’attività neuronale è associata alla comparsa di complessi AP-1 contenenti c-Fos, c-Jun, JunB.

L’attività prolungata di AP-1 osservata in condizioni di stimolazione neuronale cronica è associata alla presenza di Fras cronico che sembra essere una forma troncata di FosB (DeltaFosB). Un numero crescente di prove suggerisce che la neurodegenerazione derivante dalla morte cellulare programmata è associata ad un accumulo di eterodimeri composti da proteine ​​Fos-Jun o omodimeri di Jun, con particolare abbondanza di c-Jun e JunD fosforilati. Le conseguenze funzionali dei cambiamenti nella composizione delle subunità sono poco conosciute, sebbene è chiaro che le diverse proteine ​​Fos e Jun sono distinte in termini di capacità di effettuare il controllo trascrizionale. Queste capacità trascrizionali sono fortemente dipendenti dallo stadio di vita in cui l’organismo si trova, dalla tipologia di tessuto interessato (abbiamo fatto l’esempio col cervello) e se le cellule in questione di cui si parla sono normali o tumorali.

AP-1 è un fattore che risente moltissimo dell’attivazione della proteina-chinasi mitogeniche (MAPK/ERK), ma anche di quelle stressogene soprattutto le chinasi Jun-specifiche (JNKs) e poi anche quelle stressogeno-infiammatorie (p38/RK). Un punto centrale del problema è che AP-1 è indotto nelle cellule tumorali dai fattori di crescita che attivano la via mitogenica MAPK. Le cellule tumorali, però, sono immortalizzate e questa continua attivazione non fa altro che rinnovare la crescita cellulare in un ciclo virtualmente senza fine. Nelle cellule normali, ma che hanno capacità di rinnovamento (es. pelle, midollo osseo), l’attivazione di AP-1 può condurre alla loro replicazione ma c’è un limite. Dopo circa 50 cicli di duplicazioni cellulari, subentra il cosiddetto “limite di Hayflick”, dal nome del suo scopritore: le cellule smettono di dividersi e subentrano tutti i meccanismi di invecchiamento progressivo (senescenza), anche se esse vengono trattate con fattori di crescita mitogenici.

Il motivo finora ipotizzato implicava che la composizione di AP-1 variasse con l’invecchiamento cellulare a favore di una composizione con ridotte capacità di trascrizione. In aggiunta, la progressiva produzione di radicali liberi e l’accumulo di lesioni o mutazioni nel DNA tali da impedire l’apertura di geni coinvolti nella proliferazione, hanno fatto da corollario a questa ipotesi. Per l’attivazione delle cellule non in grado di replicarsi (definite “perenni” come quelle muscolari o neuronali), l’attivazione di AP-1 può virtualmente comportare uno stato di “mantenimento della memoria originale”. In parole povere, ogni volta che una cellula “perenne” attiva AP-1 con uno stimolo che la inviti potenzialmente a dividersi, questa non può farlo perché la sua cromatina non è resa accessibile per intero al legame con AP-1. Ma la cellula si ricorda di ogni “scatto del contatore” prima che raggiunga il sopradetto limite di Hayflick.

Esebbene non sia stata portata ad una divisione, l’orologio interno continua a scorrere sebbene non con la stessa intensità di quelle cellule che possono rinnovarsi, come detto prima nel caso dei fibroblasti della pelle o delle cellule del midollo osseo. Ogni replicazione cellulare, infatti, è “nel suo piccolo” un immenso stress complessivo che comporta l’espansione di stress ossidativo. Questo è responsabile, come si sa bene, dei danni biologici che compaiono con l’età e che poi condurranno all’invecchiamento dei tessuti. Tornando ai neuroni cerebrali, l’attivazione di AP-1 avviene nel caso del beta-amiloide che causa l’Alzheimer. Ma, come detto sopra, i neuroni terminali non possono replicarsi; questo privilegio rimane confinato ai loro precursori, le cellule staminali neuronali. Quando il beta-amiloide stimola i neuroni ad attivare AP-1, avviene lo stesso meccanismo descritto sopra: la possibilità di replicare non si completa, ma la cellula “conta gli scatti” e si avvicina sempre più al limite della senescenza.

Siccome la presenza dell’amiloide stimola tramite AP-1 la sua stessa sintesi, l’avvicinarsi a questo limite è accelerato enormemente. Nel frattempo, nei neuroni “bombardati” dall’amiloide si riscontrano tutti i markers della proliferazione cellulare (PCNA, cicline, proteina chinasi CDKs, ecc.), che ovviamente non può avvenire. Le cellule, così, nel tempo vanno incontro a quella che è definita una “catastrofe mitotica” che non ha opzioni di riparo, lasciando la cellula con l’unica opzione biologicamente possibile: l’autoeliminazione tramite morte apoptotica (geneticamente programmata). Al contrario, gli astrociti, che sono le cellule cerebrali che possono replicarsi come fanno i fibroblasti, attivano AP-1 anche in risposta alla presenza dello stesso beta-amiloide. Ecco perché nell’Alzheimer, i neuroni cerebrali si perdono progressivamente mentre al loro posto compaiono gli esiti: le cicatrici astrogliali diffuse che restringono la massa cerebrale e si evidenziano alla TC come “atrofia diffusa”.

In parole semplici, l’Alzheimer è un “tumore cerebrale mancato” dettato dal fatto che i neuroni maturi non sono in grado di replicare perché differenziati in modo terminale. I tumori cerebrali di origine neurale, infatti, possono originare dai precursori staminali (neurinomi, schwannomi), mentre la stragrande maggioranza dei tumori cerebrali (gliomi) derivano proprio dagli astrociti, che hanno una potenzialità replicativa alla base. Ed è questa proprietà intrinseca, fra l’altro, che determina la loro maggiore malignità. Ma alla base di tutto questo, ci sta la scoperta dell’ultimo studio pubblicato dai ricercatori dell’Università del Queensland. Propongono che l’apertura della cromatina legata ad AP-1 guidi i processi di maturazione cellulare dell’organismo, interrompendo l’identità cellulare delle regioni regolatrici ricche di fattori di trascrizione, riprogrammando così il trascrittoma e la funzione cellulare,

Questo meccanismo, dirottato nell’invecchiamento attraverso l’apertura continua della cromatina, è stato battezzato il modello SIPHON (Stimulus-Induced Programming Hijacks ONtogeny) come quadro esplicativo proposto per molti dei fenotipi prevedibili dell’invecchiamento. L’apertura della cromatina durante la maturazione/invecchiamento sembra funzionare in sinergia tra l’erosione degli strati epigenetici repressivi e l’aumento dei livelli di espressione di AP-1. Sebbene alcuni rimodellamenti potrebbero essere transitori dopo la cessazione dello stimolo acuto (potenzialmente come osservato per i picchi transitori dell’età della metilazione del DNA in condizioni di stress acuto), i ricercatori propongono un aumento quantitativo dell’attivazione della cromatina alta/identità cellulare bassa AP-1 nel tempo, in combinazione con la derepressione epigenetica. Ciò potrebbe includere la perdita di metilazione del DNA, come osservato nell’apertura di età/maturazione e la perdita facoltativa di eterocromatina inattiva.

Come mostrato dai loro esperimenti, l’esaurimento di questo fenomeno può fenocopiare (riprodurre) aspetti dell’apertura della cromatina mediata da AP-1. Quindi, ogni volta che uno stimolo esterno (infiammatorio, ossidativo, mitogeno, radiante, ecc.) attiva AP-1, si compie inevitabilmente “un passo in più” verso l’invecchiamento. In questo quadro, l’invecchiamento cellulare è parte di un continuum di differenziazione dall’inizio dell’ontogenesi, con le cellule giovani adulte ancora in fase di processo di maturazione e le cellule invecchiate il prodotto finale.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Patrick R et al. Cell Metab 2024 Jul; in press.

Lu AT, Fei Z et al. Nat Aging 2023; 3:1144–66.

Karakaslar E et al. Aging Cell 2023; 22:e13792.

Yang JH, Hayano M et al. Cell 2023; 186:305.

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Dott. Gianfrancesco Cormaci
Dott. Gianfrancesco Cormaci
Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1998, specialista in Biochimica Clinica dal 2002, ha conseguito dottorato in Neurobiologia nel 2006. Ex-ricercatore, ha trascorso 5 anni negli USA alle dipendenze dell' NIH/NIDA e poi della Johns Hopkins University. Guardia medica presso la casa di Cura Sant'Agata a Catania. In libera professione, si occupa di Medicina Preventiva personalizzata e intolleranze alimentari. Detentore di un brevetto per la fabbricazione di sfarinati gluten-free a partire da regolare farina di grano. Responsabile della sezione R&D della CoFood s.r.l. per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari, inclusi quelli a fini medici speciali.

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